REFERENDUM: RAGGIUNTO IL QUORUM Segnali dal Paese: il 57% degli Italiani ha votato, il 90% ha detto sì

Pubblicato il 13 Giugno 2011 in da Vitalba Paesano

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Referendum a un passo dal quorum. L’Italia alle urne per decidere su acqua, legittimo impedimento, nucleare. I seggi resteranno aperti fino alle 15. Grande affluenza: alle 22 di ieri ha già votato il 41 per cento. Il Veneto sfiora il 43”. “Segnali dal Paese” è il titolo dell’editoriale, firmato da Massimo Franco. Di spalla il quotidiano milanese offre una intervista con il ministro dell’Interno Maroni, che parla di economia e della maggioranza: “Serve una svolta vera, oppure si voti”.

La Repubblica: “Referendum, vicini al quorum. Affluenza alta, oltre il 41 per cento. Bossi: ‘O si cambia strategia o si muore’. Si vota anche oggi dalle 7 alle 15. su acqua, nucleare e legittimo impedimento. Bologna sfonda il 50 per cento. Prodi: segnale politico forte”. In prima pagina anche una lettera scritta dal conduttore tv Fabio Fazio: “Vieni via con me lascerà questa Rai”. A centro pagina si parla delle elezioni in Turchia: “Erdogan vince, ma non è un plebiscito”. E poi: “In Siria, migliaia di profughi al confine turco”.

La Stampa: “Referendum, affluenza record. Quorum vicino. La consultazione su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento. Seggi aperti anche oggi fino alle 15. Ieri alle 22 oltre il 41 per cento è andato alle urne. Sull’esito finale potrebbe pesare il voto all’estero”. A centro pagina: “Fisco, Tremonti gela Berlusconi. Il ministro dell’economia: “Penso alla riforma da un anno, ma dove trovo 80 miliardi?”. Di spalla le elezioni in Turchia: “Erdogan vince ma fallisce il plebiscito. Il premier non ha i seggi per cambiare la Costituzione”.

Il Giornale: “La svolta del governo. Tagliare le tasse si può. Tremonti si fa coraggio: ‘Voglio fare la riforma’. E Bossi risponde: ‘I soldi li abbiamo trovati’. Subito provvedimenti per produttività, giovani e imprese per rilanciare l’economia”. Il titolo di apertura, più piccolo, è per il voto referendario. “L’affluenza è alta, ma fino all’ultimo il quorum è incerto”. L’editoriale, firmato da Magdi Cristiano Allam, è una lettera al Presidente Napolitano: “Il diritto di astenersi e gli errori del Colle”. A centro pagina il quotidiano di Sallusti ricorda che è in corso ancora la missione Nato in Libia: “Se nessuno parla più della guerra in Libia. I pacifisti non protestano, Chiesa e politici se ne sono dimenticati. Ma i bombardamenti continuano”.

L’Unità: “Sì, siamo a un passo. Vota anche tu”. In alto le elezioni in Turchia (“Erdogan fa il tris ma senza plebiscito”).
 
Politica italiana

Su La Stampa si offrono i pareri di alcuni esperti di sondaggi (Roberto Weber di Swg, Renato Mannheimer, Antonio Noto di Ipr), secondo i quali il quorum è vicino. In realtà Manneheimer sostiene che il quorum è possibile, anche se resta da valutare l’ipotesi che tutti quelli che volevano votare l’abbiano fatto subito ieri, con magari un vistoso calo di partecipazione oggi”. Secondo Weber il quorum potrebbe viaggiare tra il 55 e il 60 per cento dei voti.
Un retroscena sullo stesso quotidiano si sofferma sulla reazione di Berlusconi, che “minimizza”: “Il quorum non cambia nulla”, nel senso che non ci sarà alcuna spallata al governo. “Nelle stesse file della maggioranza la sensazione netta è che il premier abbia perso colpi: non è più lucido, non ha più la presa carismatica e mediatica sugli italiani. Se il referendum dovesse centrare il quorum, con 25 milioni di italiani che si sono recati alle urne, sarebbe la conferma definitiva che iul vento è cambiato veramente. E che si andrà a votare nel 2012, un anno prima della scadenza naturale della legislatura”.
Il Corriere della Sera intervista Rosy Bindi: “Se pure per un soffio non si dovesse raggiungere il quorum, la vittoria politica è a favore dei referendari. Un’affluenza così forte contro tre leggi così importanti del governo Berlusconi conferma una inversione culturale e politica di cui il premier deve prendere atto”. Secondo la Bindi alla verifica prevista il 22 giugno “questa maggioranza non potrà essere salvata ancora una volta dai ‘responsabili’. In Aula “può accadere di tutto”. “In caso di vittoria al referendum chiederete al Capo dello Stato di sciogliere le Camere? “Non credo si possa parlare di automatismo. Come il presidente, io mi attengo alla Costituzione. Il capo dello Stato può sciogliere le Camere se non c’è più la maggioranza che sostiene il governo”.

Lo stesso quotidiano intervista il ministro dell’Interno Roberto Maroni: “Ministro, è vero che la Lega è contro il governo?”. “Lo voglio dire chiaro: il mio non è un attacco a Tremonti (collega che stimo) né tantomeno al governo, ma uno stimolo per entrambi: a differenza di quanto sosteneva Andreotti, per noi tirare a campare vuol dire tirare le cuoia. Vuol dire perdere consenso e arrivare alle prossime elezioni con la prospettiva di una sconfitta annunciata”. Tremonti dice che non ci sono i soldi per fare la riforma fiscale. “Tremonti dice una cosa giusta: non si può fare la riforma aumentando il deficit. Ma proprio per questo noi chiediamo coraggio. Bisogna dare più soldi a famiglie, lavoratori e piccole e medie imprese, prendondoli da qualche altra parte. Su questo ci sono già proposte e simulazioni, ad esempio quella della Cisl che mi sembra da prendere molto sul serio. In ogni caso è arrivato il tempo delle decisioni”.
Maroni racconta di essere andato a votare per i referendum: “Ho ritirato soltanto le due schede sul quesito relativo all’acqua ed ho barrato il sì. Si tratta di un bene pubblico primario e la contrarietà alle privatizzazione è una posizione che la Lega ha sempre sostenuto. Io mi sono impegnato su questo e adesso voglio andare oltre”, nel senso che “se passa il sì nisogna fare una legge per quei Comuni che non gestiscono in modo efficace l’acquedotto”. Ma per Maroni il referendum non ha valore politico sulle sorti della maggioranza: “Gli schieramenti sono trasversali e molti partiti hanno lasciato libertà di voto”.

Su La Repubblica si riferisce del discorso tenuto ieri in tarda serata da Bossi, in provincia di Novara, all’inaugurazione di una nuova sede della Lega: “Quello che abbiamo davanti è un Paese che non funziona, che distrugge l’economia. Quindi, bisogna cambiare o si muore”, “Berlusconi e Tremonti possono fare tutto tranne che tassare le imprese, gli artigiani e i comuni. Piuttosto si possono tassare le grandi banche. Hanno i soldi e non li hanno dati alle imprese”. Per Bossi l’idea di aumentare l’Iva “non va bene, si finirebbe per tassare anche i poveri”. Bossi dice anche che a Pontida la Lega darà la soluzione per riuscire a fare la riforma fiscale, e sottolinea: “Basterebbe chiudere le missioni chiamate di pace, per cui abbiamo speso un miliardo di Euro. Con quella cifra avremmo fatto la riforma fiscale e non avremmo perso a Milano”.

Ampio spazio, su La Repubblica, sulla prossima manovra da 40 miliardi: “Sei miliardi di risparmi nella sanità, piano sanatoria sui processi civili e l’Inps”, si scrive nel dossier dedicato al tema. Si riparla di blocco dei contratti nel pubblico impiego. Una analisi di Tito Boeri, sullo stesso quotidiano, è dedicata proprio ai tagli che probabilmente verranno fatti in vista della manovra. La segretaria della Cgil Susanna Camusso, intervistata ancora da La Repubblica, dice: “Un errore colpire i consumi, meglio una tassa sui grandi patrimoni”. Dice la Camusso: “Sento dire ogni giorno cose diverse. Ma perché non si fa una operazione secca? Il reddito è tassato al 23 per cento, le rendite al 12,5 per cento: equipariamole come in Europa. E poi perché non colpire le transazioni speculative?”.

Secondo Il Giornale, in un articolo dedicato ai palinsesti della Rai, nel Cda di oggi la consigliera di amministrazione in quota Lega Giovanna Bianchi Clerici “potrebbe schierarsi con l’opposizione sui palinsesti della prossima stagione per evitare il commissariamento dell’azienda”. Il titolo: “La Lega tentata dall’idea di votare con il centrosinistra”. 

Politica internazionale

Su Il Giornale si racconta che in Turchia Erdogan e il suo Akp ottengono il 50,3 per cento dei consensi, e 326 seggi. “E’sempre la maggioranza dei seggi. Ma è anche il peggior risultato dal 2002 ad oggi. A sbarrargli la strada, a sgranocchiargli quel quorum indispensabile per il magico 367” (numero dei seggi necessari per fare la riforma della costituzione da solo, ndr) ci pensano gli ultranazionalisti del Mhp che, nonostante la “devastante campagna a base di scandali sessuali e infedeltà coniugali scatenatagli contro” riesce a superare il 10 per cento, arriva al 13,1 e a trasformarsi in una diga di 54 seggi capace di bloccare la piena del Partito della Giustizia e dello Sviluppo di Erdogan”. I dati definitivi danno anche il Partito repubblicano del popolo (CHP) al 25,9 per cento, 135 seggi. 36 seggi anche per il partito BDP, filocurdo. 

Su La Stampa viene intervistato il politologo Cengiz Aktar, analista ed esperto delle relazioni tra Turchia ed Europa. Nonostante Erdogan non abbia conquistato i seggi necessari per fare la riforma della Costituzione senza un referendum, “siamo comunque nelle mani del premier”. “Negli ultimi tempi abbiamo visto un primo ministro assolutamente determinato a fare tutto da solo. Sapeva, probabilmente, che non avrebbe ottenuto i 367 seggi per riscrivere direttamente la Costituzione. Ma probabilmente si aspettava i 330 deputati necessari per lavorare alla bozza e sottoporla a referendum”. Erdogan ha invece meno di 330 seggi, e dunque “si trova di fronte a un rielaborazione di tutta la sua azione e agenda politica. Credo sia una sorpresa anche per lui”.

Sul Corriere della Sera Antonio Ferrari sottolinea che “c’è sempre la possibilità che Erdogan” possa contare su qualche voto ulteriore in Parlamento, ma “il sogno di onnipotenza politica si è comunque infranto”: il primo ministro “ringrazierà in pubblico il popolo turco, ma in privato dirà che la colpa del trionfo dimezzato è di quei circoli intellettuali e di quei mass media stranieri – Economist ma anche New York Times – che potrebbero aver impedito il plebiscito, esprimendo favore per l’opposizione laica”. Quest’ultima si è rafforzata, perchè Il Chp, il partito Repubblicano del Popolo, si è sensibilmente rafforzato (passando dal 20,9 per cento del 2007 al 25,9 per cento di oggi).

Se ne occupa anche Marco Ansaldo su La Repubblica, raccontando come il primo ministro Erdogan, affacciandosi dal balcone del suo quartier generale ad Ankara, abbia festeggiato la vittoria. Citando Ataturk, il fondatore della Turchia moderna: “Saremo modesti nella vittoria”. Ha avuto un mandato chiaro per governare ancora, fino al 2015, con un esecutivo monocolore. Ma gli sono mancati i voti per arrivare ad una riforma della Costituzione che gli consenta di fare della Turchia una repubblica presidenziale in stile francese: non potrà farlo da solo, dovrà mediare con gli altri partiti, sottoporre la modifica al Parlamento, farla approvare in un referendum.

Un ritratto del premier turco Erdogan è offerto da L’Unità. Dove Umberto de Giovannangeli scrive che il sogno di Erdogan è “passare alla storia come ‘l’Ataturk islamico’: figlio di un capitano di nave sul Mar Nero, Erdogan è immigrato da bambino in un quartiere popolare di Istanbul dove, secondo l’inconografia, avrebbe anche venduto focacce arrotolate e limonate per pagarsi la scuola religiosa islamica; ha avuto buoni piedi da calciatore semiprofessionista e un breve soggiorno in carcere quando era islamico militante e spadroneggiavano i generali laici e golpisti. Sindaco di Istanbul, al potere con governi monocolore dal 2003. La sua forza è anche nell’essere in bilico, tra tradizione e modernità, tra islam e secolarismo, tra proiezione verso l’Asia e intendimenti europeisti.

“Nasce Internet-ombra per i dissidenti”: così La Repubblica definisce il piano di Obama contro i dittatori. Washington ha deciso di finanziare un progetto di reti parallele per telefonia e wifi. Sembra un incrocio tra James Bond, la fantascienza di Philip Dick e Wikileaks: una banale valigetta, con dentro computer portatili e telefonini, capaci di bypassare i server internet, attivare reti di comunicazione parallele che resistono ad ogni black out di regime e censure di Stato”. Scrive il quotidiano che è dai tempi della guerra fredda che l’America non progettava una offensiva clandestina così ambiziosa e a vasto raggio. La necessità di costruire delle reti parallele, clandestine e non individuabili, per gli americani è nata anzitutto nel teatro di guerra afghano: perfino in un Paese arretrato come l’Afghanistan, gran parte della popolazione comunica con i cellulari, ma le torri dei ripetitori della telefonia mobile sono un bersaglio facile per i taleban. Così è partito il primo progetto di reti mobili alternative, con un budget di 50 milioni dal Pentagono.
La sua prima applicazione al servizio della primavera araba è nata quando l’ex presidente egiziano Mubarak ha messo in azione un black out generale di internet: a quel punto Casa Bianca e Dipartimento di Stato hanno messo assieme quella che il New York Times descrive come “una improbabile alleanza di diplomatici, ingegneri militari, giovani informatici e dissidenti da una dozzina di Paesi diversi” per cooperare al progetto. La valigetta 24 ore che consente di costruirsi un internet fatto in casa e portatile è una delle creature di questo progetto.
A questa sfida si è appassionato Collin Anderson, specialista dell’Iran, che ha cominciato a lavorare alla sfida nel 2009, quando Teheran dimostrò di poter chiudere l’accesso a Internet durante le rivolte contro i brogli elettorali.
Un lungo articolo dedicato a questo “internet ombra” compare anche sul Corriere della Sera, che descrive la “banda dei 4”, gli esperti impegnati nel progetto della tecnologia internet che sta in una valigia.

Su L’Unità segnaliamo invece un articolo sulla ennesima morte di un dissidente in carcere in Iran, il terzo in dieci giorni. Era in sciopero della fame, il suo nome era Reza Hoda-Saber, noto giornalista e attivista dell’opposizione. Era in carcere da due anni, essendo stato arrestato nel giugno 2009 durante le contestazioni alle ultime presidenziali.

(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)