Monti candidato premier? Centristi in cerca di benedizione

Pubblicato il 20 Dicembre 2012 in da redazione grey-panthers

Corriere della Sera: “Così Monti sarà in campo”, “Lista unica per il Senato. Farà campagna in tv”, “Niente candidatura diretta, ma sostegno pieno al Centro. Voto il 24 febbraio”.

La Repubblica: “Monti sarà candidato premier”, “Cancellieri: si vota il 24 febbraio. Bersani: se vinciamo, io a Palazzo Chigi”. A centro pagina: “Lo scandalo derivati, condannate 4 banche”. E la foto della copertina di Time, con Obama personaggio dell’anno. Ma il titolo recita: “Bengasi, bufera alla Casa Bianca”.

La Stampa: “C’è intesa, si vota il 24 febbraio”. “Napolitano d’accordo. Monti verso la candidatura a premier”. “Il Cda Rai: basta politici in tv sotto le feste”. “Liste pulite: via libera dalla Camera. Lo spread scende a 290 punti”.

Il Sole 24 Ore: “Spread a 295 punti Btp al 4,39 per cento. Tassi al minimo da due anni. L’euro vola e tocca quota 1,33 dollari”.

Il Giornale: “Monti fa la lista Merkel”, “Il premier detta la linea della campagna elettorale ai suoi: mai criticare la Germania e l’euro”

L’Unità: “Napolitano ferma Berlusconi. Nessun rinvio: si voterà il 24 febbraio. Ma il Pdl blocca la legge di stabilità”. Di spalla: “Monti batteezza il centro nella sede del governo”, “incontri a Palazzo Chigi”. In taglio basso: Bersani a Bruxelles, l’Europa si fida del Pd”.

Il Fatto quotidiano: “Il Monti caos”, “L’unico dato quasi certo è che si vota il 24 febbraio. Il premier scambia Palazzo Chigi per una sede di partito: riceve Montezemolo, Riccardi, Casini e Cesa (ma non Fin) che vogliono candidarlo e candidarsi con lui, ma non scopre le carte. Il già sobrio professore pare ormai un vecchio democristiano”.

Libero: “Pensioni tassate due volte. Il governo che si riempie la bocca di Europa, quando c’è da stangare se ne frega dell’Europa: direttiva disattesa, doppio prelievo sui contributi dei professionisti. Che ricorrono alla Corte Ue”.

Monti

Il Corriere riferisce degli incontri avuti ieri da Monti a Palazzo Chigi: Casini, Cesa, Montezemolo e il ministro Riccardi: “chiedono al presidente di impegnarsi direttamente, di sostenere il loro accordo elettorale, di guidarlo, di continuare -attraverso il loro appoggio- l’opera ‘incompiuta’ del governo”, “non domandano soltanto di usare il nome ‘Monti’, cercano di convincere l’ex presidente dell’Università Bocconi a diventare un politico a pieno titolo”. Per esempio, prova a proporre Casini, Monti dovrebbe partecipare alla campagna elettorale. Monti ascolta per lungo tempo e su questo, a un certo punto, si dirà disponibile. Solo tv, però, niente comizi”. L’ipotesi che circola è quella di una lista unica al Senato, perché la soglia della legge elettorale è alta. Le liste alla Camera, una più “politica” governata da Casini e una più “civile” orchestrata dagli uomini di Montezemolo e dai movimenti cattolici riuniti in “Verso la terza Repubblica” (Riccardi, Olivero, Bonanni, Dellai).

E un retroscena, sulla pagina di fianco, recita: “Il professore è già pronto per la campagna in tv”. Dove si legge che il presidente del Consiglio starebbe mettendo a punto in questi giorni un programma, un manifesto dell’agenda Monti per un Monti bis. A chi gli ha parlato avrebbe descritto i contenuti di una agenda che darebbe da sottoscrivere alla lista o alle liste che lo sosterranno come candidato premier: riforme epocali per il Paese rispetto alle quali quelle approvate nell’ultimo anno appaiono minime, riforme costituzionali, riforma della articolazione delle amministrazioni, liberalizzazioni.

La Stampa intervista Andrea Olivero, che ieri ha deciso di dimettersi dalla presidenza delle Acli per candidarsi: spiega che “si va verso una lista civica per Monti di ‘verso la Terza Repubblica’ e altri soggetti e una lista partitica Udc-Fli alla Camera”, “ma al Senato, stante il Porcellum, dobbiamo essere in grado di superare uno sbarramento molto alto ed è probabile una lista unitaria”. Monti ha dato il suo placet ad usare il suo nome in queste liste? “Abbiamo la netta convinzione che il premier si sia convinto in questo impegno”, “per quel che riguarda una sua candidatura, non ho indicazioni”, “nulla osta che una candidatura, così come una partecipazione alla campagna elettorale, sia compatibile con la carica di senatore a vita”. Secondo Olivero, che è stato leader Acli per sei anni, “molta gente ritiene utile la prosecuzione, con un rinnovato programma, del governo Monti”. Ed è necessario “il superamento di quel bipolarismo muscolare, e per molti versi inconcludente, che ha caratterizzato la seconda Repubblica”.

La Repubblica scrive che il silenzio di Monti non è dovuto a tentennamenti, ma “al riserbo che ancora il ruolo di premier super partes gli impone”, ma tra 48 ore, ovvero approvata la legge di stabilità e date le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato, la riserva sarà sciolta e l’annuncio sarà pubblico. Una volta chiusa la fase istituzionale della conferenza stampa di fine anno in cui parlerà, potrà svelare quanto ha in mente e, secondo il quotidiano, ci sarà un appello finale in cui verrà lanciata la candidatura: lo stesso Monti avrebbe spiegato ai suoi sponsor dentro e fuori Palazzo Chigi che quella dell’impegno diretto “è la strada moralmente migliore” (e il quotidiano chiosa che ha usato come una clava l’avverbio che Massimo D’Alema gli aveva scagliato addosso due giorni fa, commentando l’ipotesi di una candidatura di Monti contro il Pd che l’ha fin qui sostenuto, parlando di “immoralità”). Ma poche righe oltre si legge che il “freddo” con D’Alema non significa comunque che Monti abbia ora in mente di partire “lancia in resta contro il Pd. Tutt’altro. Gli obiettivi polemici dalla campagna montiana saranno altri. In primis Renato Brunetta, considerato l’ideologo della nuova fase populista di Berlusconi – e poi Nichi Vendola”. Quanto al rapporto con Bersani, secondo La Repubblica i due si sentono “complementari”: “sanno bene entrambi che Bersani a Palazzo Chigi e Monti al Quirinale sarebbe il ticket perfetto per tranquillizzare i mercati e l’Europa, la Cgil e la sinistra. Ma al momento il professore ha altri piani in mente. La ‘formula’ dell’impegno pubblico sarà quella di una dichiarazione rivolta al futuro”. “Un appello rivolto formalmente a tutti, a chi è interessato, che quanto fatto finora non vada buttato”.

L’Unità ha in prima un commento di Giovanni Pellegrino sulla decisione di Monti di “battezzare” il centro nella sede del governo: vi è un “galateo istituzionale”, fatto di regole non scritte di una democrazia, di cui fa parte il principio che i luoghi istituzionali sono riservati all’esercizio delle funzioni proprie di ogni singola istituzione (questioni di stile vengono anche sottolineate da Pellegrino, allorché ricorda che le regole attualmente vigenti non vietano a magistrati in servizio di candidarsi in Parlamento, ma per l’appunto “ragioni di stile” avrebbero dovuto consigliare ad Antonio Ingroia una scelta diversa, seguendo un criterio di “autolimite” dovuto alla delicatezza delle inchieste in cui è stato impegnato).

In prima pagina, su Il Giornale, si sviluppa il tema contenuto nel titolo di apertura, secondo cui Monti “sta dettando le condizioni ai partiti che vogliono utilizzare il suo nome”: tra queste,“vietato fare la campagna elettorale contro la Germania, l’Europa e l’euro”. Se Monti scende in campo la coalizione che lo sorreggerà “sarà in pratica una sorta di partito tedesco o come già suggerisce qualcuno una lista Merkel o se volete Forza Germania”. Con l’indicazione agli italiani che se vogliono ancora stare in Europa devono allearsi con la Germania. Ma la battaglia più difficile per Monti sarà il voto, secondo Il Giornale: “le ferite dell’Imu sono fresche e dolorose, l’idea di un candidato premier che vuol tornare a palazzo Chigi con la maschera della Merkel sul volto fa paura”, e si riferisce di un sondaggio del Financial Times secondo cui le popolazioni di tutta Europa “bocciano senza esitazioni il peso eccessivo di Berlino sull’Unione”.

Restiamo al Giornale: “Il Cav vuole oscurare il Prof. E blinda il patto con la Lega”, “Berlusconi pronto a tornare in tv il giorno della conferenza di fine anno di Monti”. “Accordo su Maroni in Lombardia: sondaggio Ipr, possibile pareggio al Senato”. Secondo questo sondaggio, il Pdl sarebbe al 19 per cento, e la Federazione di liste facendo capo a un Monti direttamente impegnato nella partita all’11 per cento. Con un dettaglio importante, ovvero che secondo la rilevazione ci sarebbe un “quasi pareggio” al Senato. E “non è un mistero che sia questo uno degli obiettivi che si è dato il Cavaliere”. Per il pareggio sarebbe sufficiente “portare a casa Lombardia, Veneto e Sicilia, anche nel caso in cui la lista Monti scavallasse il fatidico 8 per cento al Senato. Non è un caso che Berlusconi abbia stretto sia con Maroni per chiudere l’accordo su Pirellone e politiche, sia con Gianfranco Micciché, che con il suo Grande Sud potrebbe essere determinante per la Sicilia. E con la Lega l’intesa è chiusa da giorni, se l’ex ministro dell’Interno ha già investito una cifra cospicua per la sua campagna elettorale. Una cosa che difficilmente avrebbe fatto se ci fosse stato davvero il rischio di scontrarsi ‘a destra’ con Gabriele Albertini”.

La Repubblica riferisce ampiamente delle dichiarazioni rilasciate ieri dal segretario del Pd Pierluigi Bersani, che ieri ha incontrato a Bruxelles il Presidente della Commissione Barroso, i presidenti del Consiglio europeo Van Rompuy e Juncker, (“tutti i leader del PPE e fan di Monti”, chiosa La Repubblica): “Non farò campagna elettorale contro Monti, ma quando il paesaggio cambia cambiano le dinamiche”, “se dovessi essere io il premier, ipotesi possibile ma da molti negata, parlerei subito con Monti”. E’ venuto a convincere gli amici di Monti che è affidabile anche lei, e non solo il Professore? “Si apre una fase di transizione ed era giusto andare a dare elementi di continuità. Sanno benissimo che ho lavorato con Ciampi, con Prodi, con Padoa Schioppa”, “non smonteremo le riforme di Monti, le implementeremo”. Ha offerto garanzie anche per Vendola? “Vendola è un grande europeista, vuole gli Stati Uniti d’Europa”. Cosa farà un governo di centrosinistra sull’Imu, cavallo di battaglia di Berlusconi? “La alleggeriremo sulla prima casa e per i redditi più deboli, mettendo una imposta individuale sui grandi patrimoni”.

La dichiarazione di Bersani ripresa nel titolo de La Repubblica si riferisce tuttavia al conflitto di interessi: “Per prima cosa bisognerà fare una legge sull’antitrust, cioè contro le concentrazioni, e una legge severa sulle incompatibilità: sono i due punti di quelle che chiamiamo norme sul conflitto di interessi”.

Internazionale

Per il Time è ancora una volta Obama la persona dell’anno. Lo aveva designato tale anche nel 2008. La Stampa intervista il sociologo liberal Michael Walzer: dice che Obama ha “l’opprtunità di finire il lavoro iniziato da Franklin Delano Roosevelt, dare all’America un welfare state”. Walzer individua nella “nuova coalizione democratica” uscita dalle urne il “motore di un cambiamento radicale nel rapporto tra governo e cittadini negli Stati Uniti”. Da chi è composta questa nuova coalizione democratica? “Dai gruppi che in modo massiccio hanno consentito da Obama di essere eletto: donne, afroamericani, ispanici, asiatici e giovani”, accomunati dalla convinzione che “l’America abbia bisogno di più solidarietà, di un governo più impegnato a tutelare i diritti individuali e la necessità di più stretti regolamenti per l’economia. Chi pensava che la riforma della sanità avrebbe danneggiato Obama è stato smentito. Chi riteneva che il duello con Wall Street avrebbe indebolito i democratici deve ricredersi”. Il quotidiano ricorda anche chi sono gli altri premiati da Time: dietro Obama c’è Malala, la bambina pakistana che i taleban hanno cercato di uccidere perché voleva andare a scuola, poi Tim Cook (ad della Apple dopo Jobs), Mohamed Morsi, presidente egiziano eletto nel primo voto libero. Tra i finalisti del Time anche Fabiola Giannotti, la scienziata italiana a capo di uno degli esperimenti che hanno portato alla scoperta del bosone di Higgs, che il quotidiano intervista.

Restiamo agli Stati Uniti e alle accuse contenute nel rapporto di indagine indipendenti sulla strage di Bengasi dell’11 settembre, in cui morrì l’ambasciatore in Libia Chris Stevens. L’Unità la racconta così: “E’ un durissimo atto d’accusa nei confronti del Dipartimento di Stato americano” poiché dalle conclusioni emerge che la sicurezza nella struttura diplomatica era “del tutto inadeguata” per mancanza di leadership e per problemi sistemici all’interno della struttura. Il consolato di Bengasi, si legge nel rapporto, “era attrezzato miseramente, tanto da non sembrare una priorità per Washington, che si limitò ad affidarne la difesa a miliziani delle brigate Martiri del 17 febbraio o a contractors assunti dalla britannica ‘Blue Mountain’”. Secondo il quotidiano il Dipartimento guidato dalla Clinton è accusato di aver ignorato le richieste di una maggiore protezione da parte di Tripoli. Umberto De Giovannangeli evidenzia che il rapporto fa emergere anche nuovi elementi sull’attacco: in particolare contraddice quanto finora sostenuto, rivelando che fuori dal consolato non ci fu alcuna protesta contro il film su Maometto, e che l’assalto fu soltanto opera di terroristi.

A seguito della pubblicazione ci sono state tre dimissioni al Dipartimento di Stato: il capo della sicurezza diplomatica Eric Boswelle, la sua vice che era responsabile della sicurezza delle ambasciate, Charlene Lamb, e un funzionario che lavorava per il Bureau for near east affairs, la cui identità non è stata resa nota.

Se ne occupa in prima Il Foglio, che esordisce con una “sintesi” delle considerazioni contenute nel rapporto: “La Libia è quasi una zona di guerra, il Dipartimento di Stato avrebbe dovuto trattarla come tale”. Secondo il quotidiano il rapporto ammette che gli Americani non avevano capito la situazione della post rivoluzione contro Gheddafi. Non avevano capito che il Paese è divenuto un contesto pericoloso, infestato da milizie armate fuori controllo, e per questo non era necessario ricevere un avviso specifico in anticipo su un attentato contro un ambasciatore per proteggerlo. Il Foglio sottolinea anche che il rapporto ha toni durissimi, ma non fa nomi, soprattutto quello del segretario di Stato uscita Clinton, che subito ha reagito che accetta e metterà in pratica le 29 raccomandazioni in appendice: per esempio, “i diplomatici americani vanno e vengono dalla Libia, e restano troppo poco per capire davvero cosa succede. Alcuni meno di 40 giorni. I loro turni dovrebbero essere allungati ad un anno di tempo”. Il rapporto potrebbe essere una macchia sul curriculum della Clinton, se decidesse di candidarsi alla presidenza nel 2016. Ma secondo il quotidiano il suo impatto è ridotto.

E poi

Sul Corriere Arrigo Levi firma un commento (“La nascita dello Stato palestinese a garanzia dell’esistenza di Israele”) in cui ricorda quando, il 1 gennaio 1948, arrivò alla sua unità, la compagna di genio numero 2 della brigata del Negev, cui era stato assegnato poco dopo il suo arrivo in Israele, la notizia che a Cipro era stata firmata la tregua tra lo stesso Israele e i vari Paesi arabi, che avevano dato inizio alla guerra con l’aggressione, rifiutando la decisione Onu di istituire in Palestina due Stato nazionali. Levi critica la “cecità” del premier Netanayahu che, dopo il riconoscimento della Palestina all’Onu come Stato osservatore, ha deciso di costruire nuovi insediamenti in punti strategici. L’Unità riferisce che il ministero israeliano per l’edilizia abitativa ha pubblicato un bando per la costruzione di 1048 unità abitative in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Uno dei negoziatori dell’Anp ha preannunciato che i palestinesi si rivolgeranno alla Corte Penale Internazionale.

di Ada Pagliarulo e Paolo Martini