Monti bis?

Pubblicato il 1 Ottobre 2012 in da redazione grey-panthers

Corriere della Sera: “Casini e Fini lanciano il Monti bis.’Lista civica nazionale’. No di Bersani e Alfano”. A centro pagina: “La mina statali sui conti Inps”, “La cassa dei dipendenti pubblici porta il deficit a 9miliardi”.

La Repubblica: “Rimborsi, lo scandalo delle Province”, “Sperperati oltre 20 milioni. Cancellieri: nel Lazio alle urne entro dicembre”. A centro pagina: “Fini e Casini: lista per Monti bis. Renzi: ‘Se vinco sarò premier’”.

 La Stampa: “Il Monti-bis scuote la politica”, “Fini e Casini in pressing. Ma Bersani: basta scorciatoie. Anche Alfano contrario”. A centro pagina, foto dal Kenia: “”Bomba alla messa dei bambini”, “Due morti e otto feriti tra gli allievi del catechismo a Nairobi. Sospettati gli islamisti somali”.

 Il Giornale, su Casini, Fini e Montezemolo: “I furbetti del Monti bis”, “Due non hanno futuro, l’altro non si è ancora deciso. Ora puntano sul Prof, ma non arrivano al 15%. Pdl, sale la tensione: Alemanno si sfoga, gli ex An verso l’addio”.

 L’Unità: “Tobin tax, il governo dica sì”. A centro pagina: “Primarie 20 mila firme per candidarsi”.

Il Sole 24 Ore: “Fisco: record di denunce penali”. “Le segnalazioni alle Procure sono aumentate del 50% negli ultimi due anni: pesano la crisi e il raddoppio dei termini di accertamento”. A centro pagina: “Fondo per i Comuni in difficoltà”, “In arrivo giovedì uno strumento simile al ‘salva-Stati’ Ue per scongiurare possibili default”, “Da Napoli a Palermo, le città che potrebbero accedere al meccanismo”.

Monti bis

Ieri all’Assemblea nazionale dei “Mille per l’Italia” lanciata da Gianfranco Fini, è arrivata quella che il Corriere definisce una “accelerazione”: lo stesso Fini ha proposto una “grande lista civica nazionale per l’Italia, senza nomi e senza simboli di partito”. Il leader dell’Udc aderisce, a patto che “non sia un intervento di plastica facciale di Udc e Fli per non voltare pagina”. Dice ancora Casini: “Da mesi io e Gianfranco diciamo che non si può fare a a meno di Monti, che serve superare il bipolarismo muscolare che ha prodotto macerie a destra e a sinistra”, “se invece si pensa a un contenitore rivolto a quegli italiani che non si riconoscono nel grillismo e che stanno tra il Pdl e il Pd, beh, se questo è il progetto, io aderisco alla Lista per l’Italia”.

Sulla stessa pagina del Corriere, il Pd Giuseppe Fioroni, in un’intervista, invita Mario Monti a “fare un regalo all’Italia”, ovvero a trovare “prima del voto i modi e le forme che ritiene opportuni per essere presente alle prossime elezioni. Il Monti bis ci sarà solo con un passaggio democratico e non grazie all’inciucio di una legge elettorale che non consente a nessuno di vincere”. Fioroni propone un Monti che rappresenti un “ponte tra Bersani e i moderati”. E la pagina di fianco ospita un’intervista all’ex ministro Pdl Franco Frattini: “Con il passaggio al proporzionale, intesa in Parlamento sul Professore. Così potremo trasformare il premier da tecnico a politico”.

Salvatore Tramontano, in un editoriale in prima su Il Giornale dedicato a Fini e Casini, scrive: “sono entrati in Parlamento quando a Berlino sventolavano ancora le bandiere della Ddr e in Italia governava il pentapartito. Casini deve ringraziare Forlani, Fini Almirante. Eterni succhiaruote, tutti e due hanno poi avuto un posto al sole seguendo Berlusconi, il Cavaliere che ora odiano”, “adesso hanno capito che per sperare in un minimo di successo devono prima di tutto cancellare i loro nomi. Casini e Fini sono due prodotti scaduti. Il terzo, Montezemolo, è l’eterna promessa che non ha ancora deciso cosa fare da grande”, “si sentono leader, ma sono solo due poltrone e una Ferrari. La loro ultima speranza si chiama Mario Monti. Ma se Montezemolo vuole dare un presente al proprio futuro politico deve evitare di essere accomunato a Casini e Fini”.

Primarie

L’Unità illustra le regole per le primarie che saranno discusse -e votate- sabato prossimo all’Assemblea del Pd. Una misura che riguarda solo il Pd sarà una regola transitoria che consentirà a Matteo Renzi di correre: è una deroga allo Statuto che prevede che solo il segretario a partecipare alla sfida per la premiership. Poi una norma per evitare il proliferare delle candidature: per scendere in campo bisognerà incassare 300 firme tra i membri dell’Assemblea Pd o il 3% di sottoscrizioni tra gli iscritti al Pd, che sono poco più di 600mila. Perché queste regole vengano approvate, il parlamentino democratico dovrà essere in numero legale: dovranno cioè votare la metà più uno dei membri elettivi (sono poco meno di mille). Il quotidiano racconta che sono partite le telefonate per garantire quante più presenze possibili, ma anche un’opera di convincimento nei confronti di quanti (come Bindi e Fioroni) sono tentati di far mancare il quorum per fermare una sfida che ritengono dannosa. Il fronte bersaniano proporrà il doppio turno: si voterà quindi il 25 novembre, con un secondo, eventuale appuntamento il 2 dicembre. Sarà posto un tetto alle spese per la campagna di 250mila euro. Potranno votare sedicenni e stranieri (era così anche alle scorse primarie, ha ricordato il responsabile organizzazione Stumpo, in risposta alle obiezioni del politologo Galli Della Loggia sul Corriere di ieri). Per votare ai gazebo sarà necessario sottoscrivere il manifesto “Per l’Italia bene comune’, ovvero “la carta valoriale con cui la coalizione dei progressisti andrà alle elezioni di primavera”. Chi firmerà questo manifesto, che verrà pubblicato on line con i nomi dei sottoscrittori, riceverà una tessera elettorale di “sostenitore del centrosinistra”, che darà diritto a votare alle primarie: “entrambe le pratiche si svolgeranno il giorno della consultazione ai gazebo”. Secondo il quotidiano, tali regole sarebbero condivise da Sel e Api.

 La Repubblica intervista il sindaco di Firenze Matteo Renzi. Risponde anche alle critiche di Eugenio Scalfari, che lo considera più di centrodestra che di centrosinistra e secondo cui , in caso di sua vittoria, il centrosinistra si sfascerebbe perché gli elettori non vi si riconoscerebbero più: “le primarie secondo me servono ad allargare il campo del Partito Democratico. Non è un male che le piazze si riempiano dei delusi di vari schieramenti e non solo Pdl. Ci sono, e sono tantissimi, anche quelli di sinistra, del movimento 5 Stelle, quelli che non vanno a votare o pensano di non votare più Pd”, “Altrimenti ci schiacciamo sulla vocazione minoritaria dei Fassina perdendo di vista la vocazione maggioritaria, che è la scintilla originaria del Pd”. Dice ancora Renzi: “Io vorrei un centrosinistra che fosse capace di migliorare e innovare l’agenda Monti, senza tornare indietro. Lo abbiamo già fatto una volta, durante il governo Prodi, abolendo lo scalone sulle pensioni e buttando 9 miliardi”. Secondo Renzi “le primarie sono proprio l’occasione per dare forza al centrosinistra, per evitare la Grande Coalizione”. Destra e sinistra sono categorie superate? “Per essere chiari, sono più di sinistra, per me, le riforme che premiano il merito, anziché quelle che tutelano rendite di posizione”, “l’Ocse ci dice che il figlio di un operaio italiano ha 4 volte in meno le possibilità di laurearsi del figlio di un operaio francese. Invertire questa tendenza è di sinistra”. Se vince lei, passerà la mano a un Monti bis? “Chi vince le primarie sarà il candidato premier”.

Internazionale

Su La Repubblica, l’apertura del congresso laburista e le dichiarazioni del leader Ed Miliband a vari giornali e tv britanniche che delineano la sua strategia per togliere Downing Street ai conservatori: più tasse ai ricchi, una riforma del sistema bancario che separi la speculazione da risparmi e prestiti, ma anche un no deciso alle pressioni dei sindacati per un aumento di salari e spesa pubblica. Un rilevamento statistico pubblicato da The Guardian alla vigilia del congresso, apertosi ieri nella città culla della rivoluzione industriale, Manchester, assegna al Labour il 39 per cento dei consensi, contro il 29 ai Tories e appena il 10 ai liberal-democratici.

Diversa la lettura che Paolo Borioni offre della politica di Miliband dalle pagine de L’Unità: i think tank e le riviste vicine ai laburisti si occupano di ‘pre-distribution’, ovvero della necessità di un rafforzamento del reddito da lavoro al momento della retribuzione, non solo redistribuirlo con il welfare. Il dibattito parte, secondo Borioni, dai fallimenti ideologico-politici di Blair. La società britannica subisce da decenni una disuguaglianza ancor più crescente che altrove, e anche con Blair la quota di ricchezza dei salari, è diminuita. Le proposte che starebbero elaborando Ed Miliband e i tecnici del Labour: allargare l’area del ‘living wage’, ovvero di un salario “equo” più alto del “salario minimo” già inefficacemente in vigore; dare più potere legale ai sindacati nei negoziati con le parti padronali. Per Borioni si tratterebbe di un “ritorno della sinistra britannica ad un concetto più europeo di democrazia: maggiore forza alle organizzazioni partecipate dai ceti di riferimento, e un allontanamento dal concetto individualisticamente ‘anglosassone’ di società”.

Su La Stampa si dà conto delle manifestazioni anti-austerity in corso in Francia, dopo l’annuncio della politica di rigore del governo del presidente socialista Hollande. Sono promosse dal Front de Gauche di Jean-Luc Mélenchon, il candidato di estrema sinistra che aveva ottenuto grande successo alle presidenziali. In ottantamila hanno contestato Hollande per contestare le misure da 37 miliardi. E’ la prova generale dello sciopero proclamato dai sindacati per il prossimo 8 ottobre.

Sulla stessa pagina si racconta “la guerra del pomodoro” scoppiata tra Obama e il Messico. Washington ferma l’import per favorire i produttori della Florida, dopo che, nel 1996, con l’abolizione dei dazi, il Messico aveva conquistato metà del mercato Usa. Così Obama corteggia gli elettori di uno Stato-chiave per le prossime elezioni.

La Repubblica parla di un piano italo-tedesco per l’Europa: sarebbero stati il ministro dell’Economia e Finanze Grilli e il suo omologo Schaeuble ad averlo messo a punto. Prevede che le grandi formazioni politiche europee indichino il nome del proprio candidato a Presidente della Commissione europea prima della elezione del Parlamento di Strasburgo, in modo che il successore di Barroso abbia una investitura politica forte; la Commissione dovrebbe diventare più snella, con un numero ridotto di commissari alla guida di dicasteri chiave; accanto alle figure di commissari forti, si ipotizza la creazione di ‘commissari junior’ con peso minore; infine, si pensa ad una accelerazione dell’europeizzazione dei partiti politici (rivedendo in sostanza il ruolo di quelli che oggi sono i gruppi parlamentari all’Europarlamento).

di Ada Pagliarulo e Paolo Martini