Liste Pdl, escluso Cosentino

Pubblicato il 22 Gennaio 2013 in da redazione grey-panthers

Il Corriere della Sera: Il Pdl esclude Cosentino. Liti, minacce, ore di caos: il giallo delle liste sparite. L’ex sottosegretario non sarà candidato. Fuori anche molti ex An. SI apre il caso Fitto”. A centro pagina: “Israele vota, la destra vuole stravincere, il rebus delle done. Le indecise, ultimo test per Netanyahu”. Accanto: “Le nuove sfide di Obama. ‘Guerre finite, ora sviluppo. Stessi diritti per i gay’”.

La Repubblica: “Caos Pdl, scaricato Cosentino. Berlusconi: non potevo evitarlo. Bersani a Ingroia: non fate vincere la destra. Consegnate le liste dopo una giornata di scontro. Tornano Carraro, Scilipoti e la Bergamini. Monti replica al Financial Times che corregge il tiro”. A centro pagina: “Obama giura sull’uguaglianza. ‘Diritti a sorelle e fratelli gay’”. A centro pagina anche un richiamo all’inserto R2, dedicato al “cielo nero sopra Pechino”, cioé allo smog nella capitale cinese.

La Stampa: “Pdl, fuori Cosentino e spariscono le liste. Rivolta nel partito. Alfano: scelta giusta l’esclusione. Caso Ruby, sentenza dopo il voto”. “Napoli, candidato riconvocati in extremis”. Di spalla: “Obama, il nostro viaggio continua. Il Presidente degli Stati Uniti ha giurato, si apre il suo secondo mandato”. A centro pagina: “Financial Times, duello con Monti”.

Il Giornale racconta la vicenda Cosentino con una foto dell’ex sottosegretario (“Sulle liste giallo (con sceneggiata)”, e titola in apertura con “tutti gli eletti del Pdl”, spiegando cioè quali saranno i sicuri eletti del partito. Il titolo di apertura è: “Da Londra siluro a Monti: inadatto a guidare l’Italia”. “Il giudizio del Financial Times’”.

Il Fatto: “Cosentino prende le liste e scappa. Finisce male la decisione di Berlusconi e Alfano di non candidare il boss politico della Campania, accusato di rapporti con la camorra. Lui minaccia di distruggere il Pdl. E di vuotare il sacco”.

Libero: “Mastrosilvio”, con caricatura del personaggio simbolo delle pulizie domestiche. “Berlusconi impone il passo indietro ai nomi più chiacchierati. L’ultimo a cedere è il campano Cosenentino: e si scatena il caos. Ma i pm provano a sporcare subito le liste pulite del Pdl: la procura di Bari chiede 6 anni per l’ex ministro Fitto. E la Boccassini vuol fare la requisitoria anti Cav prima del voto. La solita maledizione italiana”:

L’Unità: “Cosentino, il Pdl dei ricatti. Escluso dalla lista, scompaiono per ore le firme in Campania. E il Cavaliere trema”. A centro pagina: “Bersani: Berlusconi è come Schettino”.

Il Foglio: “La Cgil si prepara ad abbracciare il Pd contro la riforma del lavoro bis. Camusso venerdì replicherà all’offensiva dei montiani sulla riforma Fornero. Non va, non abrogarla né approfondirla”.

Pdl

Il Corriere della Sera si occupa nelle prime pagine del giallo che ha accompagnato le ore finali della chiusura delle candidature in casa Pdl. Nicola Cosentino, appreso che non sarebbe stato candidato, avrebbe lasciato il vertice del partito portandosi via le dichiarazioni di accettazione di tutti i candidati. Il quotidiano riproduce, con tanto di virgolette, le telefonate che Denis Verdini e Francesco Nitto Palma avrebbero fatto allo stesso Cosentino: i due, sul sedile posteriore di una Mercedes blu, sulla autostrada Roma Napoli, vanno a Caserta, a casa di Cosentino, per farsi riconsegnare le liste (“Nicola, sono Nitto Palma… Porca miseria, sei impazzito?”). Su Il Mattino, in una intervista, Nitto Palma dice: “Nessun giallo”, “è molto più semplice di quanto si è detto o scritto in queste ore. A Roma vi e’ stata una riunione ristretta sulla candidatura di Nicola Cosentino. Una riunione molto dura, durata due ore. Mancavano solo le liste di Campania 2. Ma alle 16 a Caserta ci siamo visti con Nicola, io e Denis Verdini, e ce le ha consegnate”.

Il caso viene confermato anche da Il Giornale: “Le firme non si trovano più. Ma il giallo si trasforma in sceneggiata napoletana”: “raccontano che Cosentino proprio non ci voleva credere. Si è infuriato, ha protestato, si è detto costernato e amareggiato, e si narra di fogli che volavano, e forse erano proprio quelli delle candidature, e che nella foga della discussione qualcosa è successo. E’ da lì’, pare, che le firme sono cominciate a sparire”.

Stefano Folli, nel suo “punto” sul Sole 24 Ore, scrive che se si vuole vedere il bicchiere mezzo vuoto si deve constatare che “Berlusconi non potrà vantarsi più di tanto di aver compilato delle ‘liste pulite’: su questo terreno il centrosinistra lo sovrasta, sia pure con qualche neo. E lo stesso vale per la lista Monti”. Se invece si vuole vedere il bicchiere mezzo pieno, l’esclusione di Cosentino è un successo del segretario, anche perché non è isolata, poiché altre figure che hanno problemi con la giustizia (non tutte) sono state indotte al ritiro (vedi il caso di Dell’Utri). “Ovvio che non si tratta di una ‘questione morale’, bensì tutta politica”, poiché sacrificare Cosentino a Napoli vuol dire, con ogni probabilità, perdere la Campania: “Ma significa anche – almeno sulla carta – dare una spinta alle liste Pdl in Lombardia e Veneto”.

Un altro articolo del quotidiano scrive che, malgrado nel Pdl la tensione resti altissima sia per il caso degli “impresentabili” che per i “paracadutati” nelle regioni (Domenico Scilipoti è stato spostato dall’Abruzzo alla Calabria, né piace l’atterraggio in Liguria dell’ex direttore del Tg1 Minzolini) Berlusconi è convinto che le scelte porteranno ad un saldo positivo: se il suo obiettivo minimo è impedire al Pd di governare da solo e metterlo in difficoltà al Senato, queste candidature servono, meglio vincere in Lombardia che pareggiare in Campania.

L’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini, candidato numero 2 in Liguria al Senato (il primo è Berlusconi) viene intervistato sia da La Repubblica che da Il Fatto. Peraltro questo avviene nei giorni in cui viene ascoltato dal tribunale per rispondere della accusa di peculato (per aver speso 65 mila euro circa pagati con la carta di credito Rai). Il Fatto intervista anche Claudio Scajola, che della Liguria è da sempre il parlamentare di riferimento. Dice che nessuno lo ha informato della candidatura di Minzolini, e che la cosa lo lascia perplesso.

Monti

Ieri riferivamo dell’editoriale del Financial Times firmato da Wolfgang Munchau, economista tedesco e firma di punta del quotidiano. Riguardava Monti, che veniva definito “uomo non giusto per guidare l’Italia”, poiché “ha promesso riforme che hanno finito per far aumentare le tasse” ed ha provato ad introdurre “modeste riforme strutturali”. Oggi Monti ha inviato al quotidiano della city una lettera, in cui spiega: “Wolfgang Munchau, uno specifico editorialista che ha una notoria frustazione verso la politica economica del governo tedesco, ha una vecchia polemica con Merkel, e vorrebbe che tutti dessero dei colpi d’ariete per far saltare l’eurozona”. “Noi siamo stati quelli che più hanno smosso le politiche europee insieme a Mario Draghi. Tutto questo non sarebbe stato possibile se non avessimo messo a posto i conti e non avessimo fatto approvare il meccanismo anti spread”. Oggi, come riferisce il Corriere, il FT pubblica anche un altro editoriale, che attribuisce sia “al governo tecnico guidato da Mario Monti” che alla “azione decisiva della Bce” il merito di un recupero della credibilità fiscale italiana. Però, scrive il quotidiano, “l’economia è ferma nella recessione più lunga registrata dalla seconda guerra mondiale”, la competitività “non ha fatto passi avanti” e per risolvere i problemi “serve un leader degno di fiducia con un programma economico credibile”. L’editoriale boccia Silvio Berlusconi, che “ha portato il suo Paese sull’orlo del precipizio fiscale”. Quanto a Bersani e Monti, “entrambi hanno credibilità personale”, Bersani “ha varato molte riforme, compresa la liberalizzazione delle professioni e delle farmacie”. “Monti gode della fiducia degli investitori e degli alleati dell’eurozona”. “Tuttavia nessuno dei due ha messo a punto una convincente visione economica per il Paese: “il leader democrat deve provare che non diventerà ostaggio dell’ala sinistra del suo partito, che si oppone a riformare un inefficiente mercato del lavoro. E Monti ha ragione a parlare di taglio delle tasse, ma deve spiegare dove troverà i risparmi necessari per attuarlo”. Ed è ancora il Corriere a intervistare lo stesso Munchau: dice che l’area più importante in Italia è il mercato del lavoro: “servono riforme che eliminino i disincentivi alla assunzione di giovani e permettano ai costi dei salari reali di calare durante le recessioni, e di aumentare solo se in linea con la produttività”. Monti non ha fatto abbastanza, in sintesi, “doveva scegliere le riforme e condizionare l’accettazione dell’incarico a premier al fatto che il Parlamento accettasse la sua agenda di riforme”. Invece il Parlamento “non ha accettato la sua agenda, ma lui è rimasto comunque ed ha prodotto il minimo comun denominatore: l’austerità”. Infine, dice Munchau parlando del prossimo governo: “La storia ci dice che è più probabile che i governi di sinistra – la Germania e ora la Francia – avviino le riforme del mercato del lavoro”.

Il Foglio, in prima, scrive che “la Cgil si prepara ad abbracciare il Pd contro la riforma del lavoro bis”: la segretaria Camusso venerdì, a Roma, presenterà un “piano del lavoro” che costituirà una replica all’offensiva dei montiani sul tema. Il Foglio ha letto alcune bozze di questo piano, in cui il giudizio sull’operato dei tecnici in materia di lavoro è decisamente negativo.

Israele

La Repubblica si occupa delle elezioni che si terranno oggi in Israele: “Israele al voto, la carica dei religiosi, record di rabbini nella nuova Knesset. Per la prima volta il Parlamento avrà 40 deputati religiosi (in quello uscente erano 25). E questo malgrado una inchiesta condotta lo scorso anno indichi che solo il 22 per cento degli ebrei israeliani si dichiara osservante – ortodosso o non ortodosso – mentre ben il 78 per cento si dichiara laico. Con ogni probabilità Netanyahu otterrà il suo quarto mandato, ma non sarà una vittoria trionfale: la sua formazione Likud-Beitenu, con il nazionlista Avigdor Lieberman uscirà, secondo i sondaggi, come partito di maggioranza relativa con 33-35 seggi sui 120 della Knesset (nel 2009 ne conquistarono 42). La novità del panorama politico della destra è il partito nazionale religioso Focolare Ebraico animato dal milionario Bennet, che diventerà forse il terzo partito del Paese. Per anni è stato portavoce dei coloni e ritiene “inevitabile” l’annessione del 60 per cento della Cisgiordania palestinese.

La Repubblica scrive anche che i movimenti religiosi stanno quindi soppiantando, come simbolo auto-dichiarato della missione di Israele, i potenti kibbutz di una volta.

Anche sulla prima de Il Foglio ci si occupa del “volto di Israele”: “Dalle urne uscirà un Israele mai visto prima. Senza i kibbutz” che non sono più, peraltro, rappresentati dalla sinistra, ma dalla destra di Naftali Bennet. Cambiano i volti: “non più gli occhi glauchi e il volto glabro di Rabin, ma le barbe e gli occhi di brace dei timorati. Il Paese si sposta verso gli esterni, l’oriente con la grande componente sefardita (marocchini, libici, iracheni, iraniani). Nota per una posizione più dura nei confronti degli arabi, l’immigrazione ideologica dagli Usa che combatte l’assimilazione e ha una percezione rituale dell’Olocausto e dell’antisemitismo”. Scrive ancora Il Foglio che “non c’è più il labour di Rabin, guidato oggi da Shelly Yakimovich, la seconda donna a prendere la leadership dopo Golda Meir, che ha abbandonato la piattaforma basata su “sicurezza e diplomazia’ a favore di una agenda social-economica. La nuova sinistra è la middle class che non si identifica più con la comunità agricola (i kibbutz), o militare (Barak)”.

E’ La Stampa ad avere una inviata nel Golan, dove Netanyahu ha deciso di costruire un reticolato elettrico di 65 chilometri per contenere la guerra di Siria. Scrive l’inviata che “sebbene alla periferia dell’impero come a Tel Aviv l’economia mobiliti gli elettori più della politica estera, la sinistra che la sponsorizza (anche perché disillusa rispetto alla pace con i palestinesi) uscirà probabilmente acciaccata dalle urne, a vantaggio della destra. Sette kibbutz del Golan hanno già scelto Bennet”.

Il Corriere della Sera sottolinea che un ruolo decisivo lo hanno le donne: la laburista Shelly Yakimovich, la candidata Meravi Micaeli (contraria al matrimonio perché limita le donne, cinque anni fa mostrò il reggiseno in diretta per protestare contro il presidente Katzav, accusato di stupro, e Tzipi Livni, che si ricandida a capo della formazione Hatnuah. Guidano l’opposizione a Netanyahu. Il Sole 24 Ore si occupa dei rapporti tra Israele e l’amministrazione Obama: Netanyahu e il presidente Usa “hanno speso detestandosi i loro primi mandati”. E’ raro che in quattro anni il presidente americano non visiti Israele, il più strategico dei suoi alleati. Se Obama non lo ha fatto è perché a Gerusalemme governava Netanyahu. Che si è vendicato, sostenendo platealmente i Repubblicani durante la campagna per le presidenziali”. La questione più urgente è disinnescare il nucleare iraniano: nella campagna elettorale di Netanyahu è stato un tema minore, ma tornerà ad essere una emergenza appena avrà fatto un governo, soprattutto se l’esecutivo sarà di estrema destra. Secondo Il Sole gli Usa cercheranno di spingere Netanyahu ad una coalizione con i laburisti e gli altri partiti laici di centro.

Obama

I quotidiani si occupano ampiamente del discorso di inaugurazione del secondo mandato del presidente Usa: “Obama: serve un welfare forte”, titola Il Sole 24 Ore, secondo cui il presidente ha difeso l’interventismo del governo nell’economia, ed ha lanciato un appello a ridurre il deficit, ma senza penalizzare le classi più deboli. “Unità ed eguaglianza sono i valori centrali del nostro Paese, della nostra storia”, ha detto Obama, spiegando che “il viaggio non è terminato, non lo sarà fino a quando non avremo posti di lavoro che daranno dignità alla classe media, uno stipendio adeguato, lo stesso stipendio tra uomini e donne, una protezione per gli anziani”. Il presidente ha spesso rievocato gli ideali di Luther King, di cui si celebrava proprio ieri la festività. Secondo il quotidiano Obama ha proposto un compromesso ai Rep, sul tetto al debito e la riduzione del disavanzo pubblico: pronto ad accogliere proposte di riduzione della burocrazia, favorevole ad una riscrittura del codice tributario, ma in cambio del mantenimento delle spese per l’assistenza sociale: ridurremo le spese sanitarie ma rifiutiamo di scegliere tra la generazione che ha costruito questo Paese e investire nella generazione che costruirà il futuro.

Il Corriere della Sera sottolinea come per la prima volta un Presidente abbia usato la parola gay in un discorso di insediamento: “Il nostro viaggio non sarà finito fino a quando fratelli e sorelle gay non saranno trattati come gli altri davanti alla legge”. Secondo il quotidiano si tratta di una battaglia a tutto campo, per riaffermare i valori tradizionali della sinistra americana: il welfare che non si tocca, l’impegno per gli immigrati, per i diritti della comunità gay, per la sicurezza dei cittadini, che vanno protetti con le armi dello Stato, la fine di guerre interminabili.

Riferisce ampiamente le parole di Obama l’inviato de La Repubblica, che riassume così, nel titolo, il senso del messaggio: “Gay, donne, immigrati e clima, il giuramento liberal di Obama, ‘non lasciamo indietro nessuno’”. Sulla politica estera Obama ha sottolineato: “La nostra sicurezza non richiede uno stato di guerra perpetua”. Ha poi garantito che continuerà a “sostenere la democrazia dall’Asia, all’Africa, al Medio Oriente”.

Gran parte del discorso di Obama viene riprodotto da La Stampa: “’Un decennio di guerra è finito, ora comincia quello della crescita’, nelle parole di Obama il richiamo all’eccezionalismo Usa e agli ideali dei padri fondatori da trasformare in realtà”: “Noi, il popolo, crediamo ancora che una sicurezza e una pace duratura non richiedano una guerra permanente”. “I nostri coraggiosi uomini e donne in uniforme, temprati dalle fiamme della battaglia, non hanno rivali in coraggio e bravura. Ma siamo eredi di persone che hanno vinto non solo le guerre, ma la pace. Che hanno trasformato nemici giurati in amici fidati. L’America resterà l’ancora di alleanze forti in ogni angolo del mondo, e rinnoveremo le istituzioni che aumentano la nostra capacità di gestire le crisi all’estero, perché nessuno vuole un mondo pacifico più della sua nazione più potente”.

E poi

Si terranno oggi le celebrazioni ufficiali per i cinquanta anni del Trattato dell’Eliseo: il 22 gennaio 1963, De Gaulle ed Adenaur misero fine alla inimicizia franco-tedesca. Il programma prevede – racconta La Stampa – un consiglio dei ministri comune, una sessione plenaria dei due Parlamenti, una dichiarazione congiunta. E questo malgrado il motore franco-tedesco sembri imballato, anche perché i partner sono sempre meno su un piano di parità, visto che sono i tedeschi a trainare il motore europeo.

Anche su La Repubblica: “Oggi la festa a Berlino. Però i due Paesi sono divisi su tutto, dalle misure anticrisi alla politica estera”. Sul quotidiano un intervento congiunto dei due ministri degli esteri Laurent Fabius e Guido Westerwelle.

di Ada Pagliarulo e Paolo Martini