“Garanzie economiche da chi organizza cortei”, le parole di Maroni al Senato

Pubblicato il 19 Ottobre 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

La Repubblica: “Maroni: pagare per i cortei. Il ministro propone l’obbligo per gli organizzatori di una fideiussione a copertura dei danni. In carcere il lanciatore di estintore”. “Linea dura del Viminale, Daspo per i violenti e arresti più facili”. In evidenza anche la notizia che “Berlusconi rinvia il decreto sviluppo: ‘Mancano i soldi’”. A centro pagina la notizia di un “maxisequestro” disposto dal Tribunale di Milano nei confronti di Unicredit. Indagato per frode fiscale l’ex Ad del gruppo bancario, Alessandro Profumo. E poi la liberazione di Gilad Shalit, che “torna a casa”. Secondo Lucio Caracciolo “lo sconfitto è Abu Mazen”.

Il Corriere della Sera: “Garanzie economiche da chi organizza cortei”, cioé le parole di Maroni ieri al Senato. “In caso di violenze si pagheranno i danni”. “Allarme di Maroni: sarà un autunno caldo”. Il titolo più grande è per il decreto sviluppo: “Il premier: non ci sono soldi. Frenata sullo sviluppo, il capo del governo parla anche di Bini Smaghi. Le imprese: l’Italia può risalire, ma il tempo è scaduto”. A centro pagina: “Israele riabbraccia il suo soldato”. E poi la notizia del proscioglimento di Berlusconi nella udienza preliminare dell’inchiesta Mediatrade. “Berlusconi prosciolto per i diritti televisivi attacca i pm di Milano”.

Il Giornale insiste sulla “caccia ai criminali” delle manifestazioni di sabato: “Ora arrestate lui. Dopo la foto mostrata dal Giornale, preso il black bloc dell’estintore. Adesso pubblichiamo quella del delinquente che ha distrutto la Madonna. Maroni: una caparra per manifestare”. L’editoriale è firmato da Vittorio Feltri ed è dedicato ai cattolici dopo il forum di Todi: “Una nuova Dc? Si può. Ma non prenderà voti”. In prima anche un richiamo anche alla “Lega nel caos”: “Il Carroccio si ribalta. Bossi: ‘Tosi è uno str.”. Alessandro Sallusti si occupa del proscioglimento del premier nel caso Mediatrade: “Se il Cav può difendersi, non c’è il pm che tenga”. E poi: “Unicredit nei guai: evasione fiscale, indagato Profumo”.

Su Libero, la notizia della indagine su Profumo è il titolo di apertura: “Profumo di frode”. “Il manager che vota alle primarie del Pd e che si candida a governare è indagato (a Milano) per un reato fiscale. Sequestrati 245 milioni di euro alla sua ex banca”. Una vignetta raffigura Berlusconi in festa per il proscioglimento: sulla sua maglietta c’è scritto ‘vi ho purgato ancora’, e il titolo, sul processo Mediatrade: “Crolla il teorema, Silvio prosciolto”. E in prima ancora un richiamo a quanto scritto in un libro intervista dal neosindaco di Milano Giuliano Pisapia: “La ‘legge bavaglio’. Sacrosanta.

Maroni

La Repubblica dedica ancora molte pagine alle conseguenze degli scontri alla manifestazione degli indignati sabato scorso a Roma, con ampi resoconti dall’informativa del ministro dell’Interno al Senato, ieri. La riassume così: “Per difendersi da quello che definisce ‘una nuova forma di terrorismo urbano’ che a Roma ‘cercava il morto’, ‘voleva una nuova Genova’ e aveva intenzione di ‘assaltare Camera e Senato’, il ministro dell’Interno annuncia la sua linea dura”. Proprio mentre fuori il Palazzo i sindacati di polizia di tutto l’arco costituzionale manifestano contro di lui e la politica dei tagli orizzontali. Il Ddl che il ministro presenterà prevede fermo di polizia preventivo, arresto obbligatorio per chi in prossimità di manifestazioni è sorpreso con il kit da guerriglia urbana, estensione del Daspo (divieto di accedere agli stadi per gli ultrà) e dell’arresto in flagranza differita anche alle manifestazioni politiche, un reato associativo specifico per chi esercita la violenza in manifestazioni, con aggravanti speciali. La proposta che ha fatto più discutere, perché limiterebbe il diritto costituzionale di manifestare, è quella che Maroni ha presentato come “l’obbligo, per gli organizzatori di manifestazioni, di fornire garanzie patrimoniali a copertura di eventuali danni causati dai cortei organizzati”.
Sul quotidiano il giurista Stefano Rodotà ammonisce contro i rischi di proporre misure che poi possono rivelarsi pericolose e scarsamente efficaci: “La fuga nella legislazione eccezionale è stata troppe volte la via per apprestare alibi e coprire inefficienze”. Per quel che riguarda la garanzia economica che dovrebbero fornire gli organizzatori di cortei, Rodotà sottolinea “le enormi difficoltà tecniche e pratiche di una garanzia del genere” ma, soprattutto, l’incidenza che una norma simile avrebbe su uno dei diritti politici fondamentali, come quello di manifestare in pubblico: “Certo, questo deve avvenire, pacificamente e senza armi, come vuole l’articolo 17 della Costituzione. Ma è arbitrario aggiungere a queste parole la formula “e avendo adeguata capacità patrimoniale”, poiché tale diritto diventerebbe appannaggio solo di chi può pagarselo.

Due particolari che ci sono parsi comici: su La Repubblica ci si occupa di “Er pelliccia”, il teppista immortalato con l’estintore: malgrado il filmato e i fotogrammi rendano evidente quali fossero le sue intenzioni, dice: volevo solo spegnere l’incendio; Il Giornale, invece, intervista Vincenzo Canterini, il capo della Celere del G8 di Genova. Che dice: “Basta buonismo, o ci saranno morti”. Servono leggi speciali? Canterini: “Non servono a niente. Occorre avere coraggio e palle, affrontare di petto la situazione senza timori, far vedere che lo Stato c’è e non perdona. Va bene la difesa delle sedi istituzionali, ma il resto della città, con migliaia di poliziotti e carabinieri a disposizione, non può essere lasciata in mano ai due o tremila delinquenti antagonisti”.

Economia

Il Corriere della Sera riferisce così le parole pronunciate ieri dal Presidente del Consiglio, in riferimento al decreto sviluppo: “I soldi non ci sono, stiamo cercando di inventarci qualcosa”, “il testo sarà varato quando sarà convincente, non ho particolare fretta. Conto sul varo del decreto quando ci sarà un provvedimento che sia di stimolo a sviluppo e crescita”. Scrive il Corriere che Berlusconi ha così ammesso le difficoltà del governo sull’argomento, e che le possibilità che il provvedimento veda la luce già questa settimana sono molto remote. Il primo nodo è quello delle risorse, Berlusconi non vuole la tassa patrimoniale proposta dalle imprese: “Io sono contrario”, ha detto ieri, ma ha aggiunto “non mi sento di esprimere le opinioni degli altri esponenti della maggioranza”. Nel menu del decreto sviluppo, al momento, ci sono i possibili sgravi fiscali per le infrastrutture, ma solo per le nuove opere da appaltare in project financing, le misure per favorire il lavoro part time e l’apprendistato, lo snellimento della burocrazia per le imprese. E nel frattempo, ieri alla Camera il nuovo articolo 41 della Costituzione sulla libertà di iniziativa economica privata ha perso un pezzo molto enfatizzato dal governo, poiché è caduto il cosiddetto “inciso Tremonti”, quello che recitava “è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge”. Resta la novità di aver aggiunto ai vincoli alla iniziativa privata il rispetto della concorrenza e il divieto dei monopoli, oltre che un richiamo al principio di sussidiarietà. Restiamo allo stesso quotidiano per segnalare la risposta che la Presidente di Marcegaglia ha scritto, con una lettera, all’editoriale pubblicato ieri e firmato da Francesco Giavazzi, molto critico nei confronti della associazione che la Marcegaglia presiede. “Caro direttore, abbiamo appreso ieri dal Corriere della Sera che a impedire le riforme più che mai necessarie al nostro Paese è Confindustria”: inizia così la lettera di Marcegaglia. Risponde all’accusa che l’associazione rappresenti interessi corporativi che frenano le riforme perché interessati a difendere la codecisione con il governo, improntata al do ut des: Confindustria non ha perseguito il modello della concertazione, visti gli strappi operati negli ultimi tre anni sia con parte del sindacato che con governo e politica, esponendosi a polemiche violentissime da parte di Cgil e Fiom. “Il governo è venuto dopo, con l’articolo 8 della manovra”. Alla seconda tesi di Giavazzi, secondo cui nel fronte corporativo associato in Confindustria “comandino” le imprese pubbliche, Marcegaglia obietta che i gruppi pubblici nella associazione pesano per il cinque per cento del totale.
Rilancia l’analisi di Giavazzi Il Foglio, in un editoriale in prima pagina, dal titolo “Giavazzi uber alles”. Secondo Ferrara Berlusconi, anziché lamentarsi per la mancanza di fondi, dovrebbe prendere il manifesto antiConfindustria del grande economista e fare la rivoluzione liberale.
Secondo La Repubblica, per tornare al decreto sviluppo, “spunta il concordato fiscale”, che avrebbe come controparte la Svizzera, che consenta il recupero di fondi attraverso la tassazione di capitali finora protetti dal segreto bancario. Ma servirebbe una ratifica dell’accordo con la Svizzera, e “ormai non ci sono più i tempi”, avrebbe detto Tremonti. Il quotidiano sottolinea anche che lo stesso ministro non ha preso parte al vertice di ieri sera sul provvedimento in cantiere. Secondo il quotidiano il decreto sviluppo potrebbe trasformarsi in una trappola parlamentare, con tanti veti incrociati ad ostacolarne il cammino.

Profumo

Spiega Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera che il decreto con cui il giudice di Milano ha predisposto il sequestro di 245 milioni di euro di Unicredit è legato alla ipotesi di una colossale frode fiscale risalente agli anni 2007-2008. Protagonista è la banca inglese Barclays, la seconda al mondo. Spiega il giudice: “Barclays voleva raccogliere fondi a un tasso inferiore a quello di mercato, Unicredit voleva investire risorse a un tasso superiore a quello di mercato. I due obiettivi, all’apparenza inconciliabili, risultarono concreatamente realizzabili a scapito di un terzo soggetto: l’erario italiano. La prova della frode sarebbe in un appunto trovato ad un dirigente di Unicredit. Unicredit “fingeva” di investire in un contratto di “pronti contro termine”, mentre in realtà si trattava di un investimento in un deposito interbancario presso Barclays. La differenza è abissale nel regime di tassazione, sottolinea Ferrarella. Nel primo caso Unicredit avrebbe dovuto pagare le tasse sul 100 per cento degli interessi sul deposito, ha invece pagato soltanto il 5 per cento sui dividendi dell’apparente operazione “pronti contro termine”, che sono deducibili al 95 per cento.
Su La Repubblica si scrive che nell’appunto sequestrato si riportavano i dettagli dell’operazione e risulterebbe evidente il fine dell’operazione stessa: l’ottimizzazione fiscale, insomma, sarebbe stato vero e proprio obiettivo e non mero effetto. Alla cronaca il quotidiano affianca un “retroscena” secondo cui la pratica è comune ai più grandi istituti italiani: “Tutti i trucchi degli istituti per pagare meno tasse, e sempre con i consigli dell’ex studio Tremonti”. “Tra il 2004 e il 2009 le aziende di credito, sfruttando le norme, hanno eluso tra i due e i tre miliardi”. Ora l’Agenzia delle entrate li rivuole.

Internazionale

“Salvare anche un solo uomo, ecco la forza di Israele” è il titolo di un commento dello scrittore israeliano Meir Shalev, sul Corriere della Sera.
Lucio Caracciolo firma invece su La Repubblica una analisi, dedicata alla liberazione del caporale Shalit: “Lo sconfitto è Abu Mazen”, scrive Caracciolo, sottolineando come lo scambio con la liberazione degli oltre 1000 prigionieri palestinesi non significhi affatto un progresso verso la pace in Medio Oriente. Al contrario. La sproporzione nello scambio rivela i rapporti di forza, e significa che Israele si sente terribilmente più robusta. In secondo luogo, Hamas è il miglior nemico possibile per Netanyahu, essa è stata incentivata da Gerusalemme fin dagli anni 70 per costruire un contrappeso islamista al nazionalismo di Arafat e dividere i palestinesi per meglio controllarli. Allo stesso tempo, dopo la vicenda Shalit, Netanyahu ha rafforzato la sua immagine domestica, poiché 4 israeliani su 5 condividono la sua scelta e, comunque vada, il premier passerà alla storia come il liberatore del soldato Shalit. Anche la scelta dei tempi non è casuale: Gerusalemme è sempre più isolata, la primavera araba per Netanyahu è una iattura, Israele ha perso un fedele amico come Mubarak, due provati nemici del terrorismo islamico come Ben Ali e Gheddafi, si afferma come potenza regionale ostile un ex alleato speciale come la Turchia. Sicché bisognava riportare a casa Shalit adesso perché i rapporti con tutti i vicini, specie con l’Egitto, principale mediatore nei negoziati Hamas Israele, tendono a peggiorare. Ed alcuni analisti israeliani considerano la mossa di Netanyahu come propedeutica alla guerra preventiva contro l’Iran.
Sullo stesso quotidiano, si riproduce l’intervista allo stesso Shalit, rilasciata ieri alla tv egiziana NileTv. Sul fallimento dei precedenti tentativi di negoziato per la sua liberazione, dice: “Credo che gli egiziani ci siano riusciti perché sono in buoni rapporti sia con Hamas sia con Israele, e si sono molto impegnati. Prima della rivoluzione del Cairo i rapporti tra Hamas e il precedente regime erano meno buoni”.
Su Il Foglio si racconta che l’intervista è stata “chiesta dal ministero egiziano dell’Informazione a quello dell’Intelligence” e che è stata realizzata da una giornalista non nota ai telespettatori egiziani. Il quotidiano riferisce anche delle dichiarazioni di un portavoce di Hamas, Mohamed Zahar: “Abu Mazen non sarebbe riuscito a fare un accordo così neanche in un milione di anni”. Eppure ieri a Gaza City le bandiere gialle di Fatah che festeggiavano la lliberazione dei mille e più palestinesi pareggiavano in numero o forse superavano leggermente quelle di Hamas.
Restiamo a questo quotidiano, poiché dedica una intera pagina alle elezioni che domenica prossima si terranno in Tunisia. Con una intervista al leader storico del partito Democratico Progressista, il più grande partito laico della Tunisia. Più di 100 partiti, 1600 liste, quasi 14 mila candidati per una assemblea costituente che ha 218 seggi, e la metà dei tunisini non ha la minima idea di chi votare, sottolinea Il Foglio. In un’altra analisi, il quotidiano si chiede: “Chi ha paura di Ennahda”, dove si sottolinea che al voto di domenica il partito Islamico è favorito, ma ha la preoccupazione di non restare isolato. Vince o stravincere? I leader del movimento fanno i loro calcoli, ma dicono al Foglio: “Siamo pronti a un governo di unità”.
Sul Corriere della Sera, una analisi di Giuseppe Sarcina evidenzia il disinteresse dell’Europa per le elezioni tunisine. Oltre al partito Islamista Ennahda, accreditato al 20-22 per cento, ci sono almeno tre liste comprese nello spazio che va dal Pd italiano alla socialdemocrazia tedesca, fino ai socialisti francesi. Poi ci sono formazioni liberaldemocratiche, un partito comunista, perfino un partito dei Pirati. E il premier turco Erdogan, che per Ennahda rappresenta un modello di democrazia basata sui valori dell’Islam, si è presentato a Tunisi, accolto con entusiasmo dai sostenitori di questo partito. Ciascun partito europeo, ciascun movimento, potrebbe fare altrettanto, come quando, negli anni 70, la politica italiana ed europea si appassionava alle vicende mondiali.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini