Sicilia, tra sacro e profano

Pubblicato il 7 Gennaio 2018 in , , da stefia

Sono tornata da un meraviglioso giro in Sicilia e non riesco ad immaginare un Capodanno migliore di quello appena trascorso.  La Sicilia è bella in ogni stagione dell’anno e soprattutto è sensuale, la regione più sensuale del nostro Paese.  A cominciare dal cibo, morbido, avvolgente, peccaminoso, quasi erotico, sempre a cavallo tra sacro e profano.

La frutta di martorana con i suoi colori brillanti, piccoli capolavori dolciari, opera delle suore di clausura.  Le minne di monaca, le tette di monache, che sono conturbanti solo a guardare.  Ma qui ogni santo ha il suo cibo, le cassatelle di Sant’Agata, i pani di San Giuseppe, la cuccia di Santa Lucia.  Sono tutti dolci barocchi, sontuosi, principeschi.  Il più sfarzoso di tutti resta la cassata, splendida nei suoi colori e nei suoi profumi. Fabrizia Lanza, proprietaria di una rinomata scuola di cucina, a Regaleali, nel cuore della Sicilia, nonché cuoca straordinaria, ci ha ospitati per le feste e ogni volta che ci fermiamo qui, immancabile, appare la sua cassata, la migliore che abbia mai assaggiato.

Sfacciato, ecco il cibo siciliano è sfacciato.  Ma d’altronde in questa terra tutto è sfacciato, eccessivo.  Sono appariscenti e sfrontati i monumenti, le chiese, sontuose, colorate, barocche, i duomi e le cattedrali schiacciati sotto le rocce come quello di Cefalù con il suo soffitto ricamato di ori e luci.  Persino la grande montagna, l’Etna, il vulcano femmina, che si adagia morbida e voluttuosa, ti avvolge in un abbraccio potente, a gambe spalancate, una di qua e una di là, come una donna discinta, pronta a dare e a ricevere, persino lei, così innevata,  sembra un dolce, una sorta di gigantesco cannolo.

Quando poi arriviamo al mare scopriamo che qui, nonostante sia inverno, la natura si fa più morbida, sono comparsi i fichi d’india, le palme, le bouganville e si avverte già la possibilità della primavera.  La vera sorpresa però ce la riserva la Fondazione Piccolo, un angolo intoccato e misterioso che si inerpica in alto, in mezzo agli orrori edilizi della costa settentrionale della Sicilia, una volta, prima che il mare di cemento la stringesse ai fianchi, doveva essere un Eden incantato.  La magia e il mistero di questo luogo lo si avverte ancora nelle stanze un po’ decadenti dei tre fratelli che da qui non sono mai partiti, nemmeno ora che sono ormai morti da tempo.  L’incanto lo ritrovi nel giardino, ormai abbandonato, creato, curato e amato da Agata Giovanna, grande esperta di botanica, lo avverti nelle liriche del fratello Lucio e soprattutto nelle fotografie e negli acquarelli di Casimiro, l’ultimo tra gli eccentrici aristocratici siciliani, che dormiva di giorno e di notte girava nel bosco per parlare con spiriti e esseri elementari, fate, gnomi, elfi che poi disegnava con incredibile precisione.  Le sue foto e i suoi dipinti sono ancora qui, in questa casa così amata e ci raccontano di una realtà parallela ma non per questo meno autentica.  Raccontano di un mondo ormai scomparso, agricolo, contadino, di facce rugose, sorrisi sdentati, facce italiane di un tempo prebotox e pre lifting, quando ancora non esisteva un canone unico di bellezza.

Ma quello che mi ha più colpito di questo luogo silenzioso sono gli evanescenti fantasmi che ancora si aggirano tra le sue mura, la stanza da pranzo sempre apparecchiata che aspetta ogni sera che giungano i suoi ospiti, dove sembra di avvertire gli echi delle fragranze di quei cibi sontuosi e un po’ gattopardeschi, timballi, sformati, flan, che Agata Giovanna grande amante del cucinare preparava instancabile per la sua famiglia e gli amici in visita.  Sono certa che su quella tavola non potevano mancare i cannoli, piccole miracolose esplosioni di sapore.

In una uggiosa domenica invernale provate a farli.  Mescolate insieme in una ciotola 230 grammi di farina, 20 grammi di zucchero, 20 grammi di strutto, 10 grammi di cacao amaro in polvere, un pizzico di sale, aggiungete poco a poco il vino o aceto sempre mescolando, poi fate passare la pasta nella scanalatura più grande della macchina per la pasta per circa dieci volte, ogni volta piegandola in due prima di farla ripassare, quando è bella compatta continuate a lavorarla con la macchina fino all’ultima scanalatura.  Stendetela su una superficie infarinata e tagliatela in cerchi di circa 10 centimetri di diametro che avvolgerete intorno a forme per cannoli in legno o metallo, bagnando le estremità con un uovo leggermente sbattuto e premendo bene.  Friggeteli in abbondante olio vegetale ben caldo per circa 4 o 5 minuti, fateli asciugare su carta assorbente e poi con molta delicatezza rimuoveteli dalle loro forme.  Frullate insieme 330 grammi di ricotta di pecora e 100 grammi di zucchero e con un cucchiaino riempiteci i cannoli, immergetene poi le estremità in granella di pistacchio e spolverizzateli con zucchero a velo.  E adesso sedetevi comodi sul vostro divano preferito o nell’angolo più amato del vostro giardino, chiudete gli occhi e mangiate in silenzio, a piccoli morsi.  State assaporando l’anima stessa della Sicilia.