NOI SUDDITI del “re” ORA SIAMO ORFANI

A Bologna non si é perso nessun bambino, ma i loro padri si, e non riuscivano a trovare riposo. Sono uscito per le vie del centro cercando un po’ di pace, dopo cena, e sopra i tetti la luna mi spiava vispa, anche allegra, come se qualcuno la stesse corteggiando, ricordandomi che presto, troppo presto, quella tristezza passeggera, lunga un tweet, sarebbe passata.. Una nuova luna crescente avrebbe completato il suo ciclo, e non si sarebbe fermata fino al momento di esplodere, per poi cominciare di nuovo da capo, e da capo ancora. Guardavo le persone negli occhi mentre le incrociavo sotto i portici o all’uscita dei ristoranti. Sconosciuti eppure quasi amici, come tutti qui. Bologna è una città in cui forse, più che in altre, quando ti presentano qualcuno, ti viene spontaneo marcare l’accento, la esse sfasciata e la zeta soffocata tra i denti, nelle prime quattro chiacchiere che precedono la confidenza. La o chiusa come il nostro cervello provinciale, la e aperta come la gioia che ci portiamo dentro per tradizione. Come cani che si annusano, i bolognesi scacciano la timidezza cercando l’appartenenza alle stesse radici. Siamo persone che sanno cosa vogliono mangiare, di cosa amano parlare, che storie raccontare. E una di queste, è certamente quella di Lucio Dalla. Che cosa é cambiato a Bologna oggi, senza di lui. Dicevo degli occhi. Le persone sembrano guardarsi come sudditi che, perso il loro amato e odiato re, sentono la responsabilità di un comune destino. Non so chi, fuori da queste mura, possa capire davvero cosa fosse Lucio Dalla per noi bolognesi. Certamente non meno di quello che significava e ha significato per gli amanti della grande musica di tutta la penisola. Ma orfano come mi sento ora, come mi sono sentito ieri sera, sotto quella luna, di un maestro di scrittura inarrivabile, non mi eri sentito mai. Di Lucio Dalla mi colpivano la voce, i testi scritti e cantati, ma anche quelli parlati, di cui si è detto meno. Ho sempre ascoltato le sue interviste con grande attenzione, lo ammetto, perché era uno dei pochissimi che fosse capace di esprimersi con la stessa intensità di chi sta leggendo un testo già corretto, o magari preparato in tre mesi di duro lavoro, mentre invece quasi sfuggiva che stesse solo riversando opinioni ragionate nell’aria attenta di chi lo ascoltava. Mi hanno sempre incuriosito le persone capaci di dire cose fondamentali, di grande acutezza, come a volte capitava nelle sue interviste, mantenendo però l’espressione del volto quasi impassibile, inespressiva. E anche in questo mi ricordava la mente geniale e ricca di Avati. Dire che siamo, (siamo chi? come chi? Noi, tu ed io…), cresciuti davvero, in senso letterale, diventati più grandi con le sue canzoni è banale, ma non troppo. E la parte del “non troppo” ha a che fare con i nostri sogni. Il bene più prezioso della vita. Per sogni intendo le prospettive. Il domani. Il poterci credere, è questo che ci tiene in piedi, più di una madre. Sono sempre gli artisti che da lontano, mentre consumano la loro vita di successi e concerti, eccessi e turbamenti, senza saperlo, forse involontariamente, creano i presupposti perché un ragazzino pensi “quello sì, che è meglio del posto in banca!” E poi magari qualcuno ci riesce davvero, a realizzare i propri sogni. E allora gli sarà grato per sempre. Chiunque egli sia stato, al di la dei suoi lati oscuri e delle sue ombre, o delle sue qualità, Lucio Dalla ha dato questa speranza a una intera generazione di cantautori. Bologna non sarà più la stessa senza di lui, perché una certa Bologna è nata insieme a lui. Ma mentre lui resisteva, come poteva, lei si faceva lentamente da parte. Qualcuno diceva che fosse già morta tempo da tempo. E Lucio, oggi, mi sembra proprio quella moglie, o quel marito, che se ne va in cielo per seconda, o per secondo, per starle vicino.

Di Cesare Cremonini, da Il Corriere della Sera

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