“Youth”, di Paolo Sorrentino: la gioventù passa, la giovinezza no

Pubblicato il 24 Maggio 2015 in , da Vitalba Paesano

Secondo i dizionari più accreditati (ma a noi senior basta forse la memoria dell’esperienza) la gioventù è l’età che segue l’adolescenza, quel periodo che faceva dire a Leonardo da Vinci “«Acquista cosa nella tua gioventù che ristori il danno della tua vecchiezza. E se tu intendi la vecchiezza aver per suo cibo la sapienza, adoprati in tal modo in gioventù, che a tal vecchiezza non manchi il nutrimento.„ ». E’ questo, del resto, anche il periodo degli “errori di gioventù” che spesso segnano una vita intera.

Con questa premessa, ben si spiega come il titolo dell’ultimo film di Sorrentino “Youth” debba tradursi, piuttosto, “La Giovinezza”, intendendo con questo termine  uno stato di vitalità e freschezza, di vivacità e di capacità di progettare e sognare, che può durare nel tempo, senza limiti. O che può anche rinnovarsi, nelle diverse età della vita, così da definire “seconda giovinezza” il periodo dell’età matura in cui ritornano la felicità e l’entusiasmo della gioventù.

Cari amici grey-panthers, progettuali e ricchi di aspirazioni e idee, ecco un film da non perdere. Per ritrovarsi ancor più saldi e affrancati sulle potenzialità sorprendenti della nostra seniority (vp)

Youth – La giovinezza (Youth) è un film del 2015 scritto e diretto da Paolo Sorrentino.

Tra gli interpreti principali del film figurano Michael Caine, Rachel Weisz, Harvey Keitel, Paul Dano e Jane Fonda ed è il secondo film di Sorrentino girato in lingua inglese dopo This Must Be the Place. La pellicola è stata presentata in concorso al Festival di Cannes 2015.

Fred Ballinger, anziano direttore d’orchestra, risiede in vacanza sulle Alpi svizzere con la figlia Lena e l’amico Mick Boyle, vecchio regista ancora in attività. I due amici si trovano a pensare insieme al futuro, osservando con curiosità le vite dei propri figli e degli ospiti dell’albergo in cui risiedono. Mick trova delle difficoltà nel portare a termine il suo ultimo film, mentre Fred si è ritirato dalle scene ormai da molti anni; ma c’è ancora qualcuno che vuole ascoltare le sue sinfonie. Infatti da Londra arriva un emissario della regina Elisabetta, che lo invita a dirigere un concerto a Buckingham Palace in occasione del compleanno del duca di Edimburgo. Fred rifiuta secco l’offerta, dato che dice di aver composto quelle melodie esclusivamente perché fossero intonate dalla moglie Melanie, che ora non può più cantare. La stessa Lena rinfaccia al padre di aver ormai abbandonato la figura della moglie, a cui ormai da anni non va più a Venezia a portare un fiore. Un altro rapporto che cresce nell’hotel e che si sviluppa è quello tra Fred e Jimmy Tree, un giovane attore che tenta ormai da tempo di trovare la sua formazione artistica. Nel frattempo Mick è entusiasta della sceneggiatura della sua nuova pellicola, di cui ancora sta cercando il finale adatto, che definisce il suo “testamento artistico” e che è stata scritta a più mani dallo stesso Mick e dai suoi giovani sceneggiatori. Come protagonista il vecchio è deciso ad utilizzare la diva Brenda Morel, che ha già lavorato parecchio con lui in passato, stringendo un forte legame.

Durante il soggiorno all’hotel Lena si invaghisce di un intraprendente scalatore, che metaforicamente in grado di lasciarla in sospeso in questo punto particolare della sua vita. I due amici si troveranno ad affrontare il loro futuro, la loro vita che continua a svolgersi in due modi diversi. Fred con rimpianto e apatia e Mick con gioia di fare e di vivere. Tra le saune, le piscine e i prati i due amici vivono. Presto all’hotel giunge Brenda, che comunica in uno straziante dialogo tra lei e Mick che non ha intenzione di prestarsi a girare la sua ultima pellicola. Gli rinfaccia di essere ormai invecchiato e di aver perso lo scopo della sua arte, e Mick le risponde a sua volta che la sua ingratitudine nei suoi confronti non può che lasciarlo attonito essendo stato lui a farla entrare nel mondo del cinema. Brenda accetta la sua condizione di persona orribile, ma se ne va in modo freddo, ma comprensivo con una realissima frase: “questa stronzata del cinema finisce, la vita va avanti!”. Poco tempo dopo, i due amici dialogano nuovamente come ogni giorno. L’apatia di Fred prevale, mentre la gioia che si sta spegnendo in Mick rimane sospesa. Dopo aver dato un messaggio preciso all’amico (vivere e non sopravvivere) Mick esce sul balcone della stanza e si getta di sotto, suicidandosi. Dopo questo fatale gesto dell’amico, Fred rimane nella sua espressione di apatia, ma allo stesso tempo affronta una profonda redenzione interna. Per prima cosa si reca a Venezia a portare un fiore alla moglie (che per tutto il film si era equivocato, attraverso i dialoghi, essere morta) che è ricoverata in una clinica in stato catatonico. Dopo di che, l’uomo accetta di recarsi a Londra per eseguire nuovamente le sue melodie e lasciandole cantare a un altro soprano. Un chiaro segno del fatto che lui ha superato il suo blocco vitale. Ora lo aspetta di nuovo ciò che aveva perduto, e che Mick cercava continuamente di ritrovare: la giovinezza. Qualcosa di simbolico quanto reale.

Il commento di Serena Nannelli:

E’ un film che punta all’universalità. Si svolge quasi per intero in un’unica location che è un microcosmo in cui tutto quel che possiamo osservare o udire ha un grande peso specifico in termini di significato. Lo stile stavolta appare più controllato e consapevole, come se il regista avesse trovato un equilibrio nel gestire il proprio talento visionario. C’è ancora l’universo onirico felliniano con le sue stravaganze, ma non è strabordante e viene sublimato in immagini più ermetiche.

Due vecchi amici alla soglia degli ottant’anni, Fred e Mick, stanno trascorrendo un periodo di vacanza in un hotel di lusso ai piedi delle Alpi. Fred (Michael Caine) è un compositore e direttore d’orchestra in pensione, mentre Mick (Harvey Keitel) è un regista che sta ultimando la sceneggiatura di quello che ritiene il suo film testamento. Attorno a loro un’umanità variopinta: la figlia di Fred (Rachel Weisz) alle prese con la fine del proprio matrimonio, un attore (Paul Dano) che sta preparandosi in vista del suo prossimo ruolo, una coppia avanti con gli anni che non si rivolge parola ma nasconde una segreta alchimia, una celebrità simil-Maradona deformata dal peso e ridotta a trascinare la bombola dell’ossigeno e così via.

maxresdefaultCome se le vasche termali del resort contenessero liquido amniotico, alcuni dei clienti vengono ritratti a nudo nella loro necessità di partorire se stessi a un domani che, inteso come anelito al futuro, costituisce la giovinezza del titolo, una condizione esistenziale e non anagrafica.

Non stupisce che Sorrentino scomodi a più riprese i registri del comico e del grottesco perché il sorriso, ancorché malinconico, mitiga la spietatezza di certi ragionamenti e bilanci. Ogni personaggio insegna qualcosa: che la consapevolezza non è legata all’età o all’aspetto; che bisogna scegliere se rivolgersi all’inconscio inferiore o superiore delle persone; che il divino nel mondo si rivela in modi diversi, spirituali ma anche sensuali; che nell’attimo in cui assecondiamo una passione ci spogliamo di qualsiasi schiavitù; che la vita ci obbliga al cambiamento per poterci dare ciò di cui abbiamo bisogno. Il focus, ad ogni modo, resta sulla vecchiaia perché, qualunque sia lo stato del corpo, coincide col momento deputato a guarire dalle ferite della psiche e del cuore, per il semplice fatto che poi non ci sarà più il tempo per farlo.

downloadSi tratta di un’età che porta dei privilegi, come quello di sentirsi liberi dall’ambizione; non a caso Fred preferisce dirigere un paesaggio di mucche o scandire il ritmo con la carta di una caramella piuttosto che esibirsi per la Regina Elisabetta.

Ma è anche un periodo in cui il progressivo e positivo allontanamento dalle lusinghe mondane può trasformarsi in un’apatia compiaciuta e in una forma di sterile egoismo; Fred, ad esempio, rifiuta di trasmettere al prossimo le proprie memorie con un’autobiografia. Mick, invece, è ossessionato dalla stesura del suo ultimo film che costituisce per lui la rassicurazione di non aver vissuto invano e di poter tramandare la ricchezza morale accumulata in una vita. Il segreto per mantenere la giovinezza dello spirito nella stagione conclusiva dell’esistenza, sembra dire Sorrentino, è racchiuso nella sintesi di questi due atteggiamenti, il distacco e il desiderio, che si amalgamano solo se irrorati di saggezza e amore. Il regalo che Mick fa a Fred è di risvegliarlo dal suo rassegnato sonnambulismo attraverso un gesto estremo ma prodigo in cui, se da un lato mette fine al loro fecondo scambio di idee e opinioni, dall’altro si lega in maniera indissolubile all’amico, fecondandolo interiormente.

Rispetto ai precedenti film dello stesso autore, stavolta nulla sembra comparire sullo schermo per puro virtuosismo. Nel film, Ogni cosa, dal particolare apparentemente più insignificante all’omaggio più esplicito, è ricercata e puntuale, finalizzata a toccare le corde di qualcuno in sala. Dal primo all’ultimo fotogramma, un capolavoro di risolutezza nel mostrare alcune delle infinite declinazioni del mestiere di vivere.

Il commento di Auro Bernardi:

Una Grande bellezza depurata degli eccessi kitch oppure, se preferite, un Anno scorso a Marienbad meno intellettualistico e levigato. Finalmente Paolo Sorrentino è diventato grande e il suo cinema convince, anche se non vince a Cannes. Alcuni avvertimenti: non è un film sulla vecchiaia e nemmeno sulla giovinezza, pur sbandierata nel titolo. Tanto meno è un film voyeuristico sulla vecchiaia che ricorda la propria giovinezza e invidia quella altrui. Youth è molto di più e, soprattutto, è qualcosa di molto diverso. È un film sul tempo, sull’etica del tempo. Cosa che riguarda in ugual misura i giovani, i meno giovani e i vecchi perché il tempo non si misura con gli anni, ma con la memoria. Dunque si può essere attivi e creativi alla soglia degli ottanta, come passivi e inerti a venti. Corpi sull’orlo del disfacimento possono ancora sognare, corpi levigati e scolpiti possono essere privi di spirito e ingegno.

Intrecci familiari e artistici si compongono e si disfano nell’aria rarefatta di un hotel svizzero d’alta quota e nella sua lussuosa spa come nei suoi bucolici dintorni popolati di mucche al pascolo e scatenati bikers. Opera corale, sfaccettata come un quadro cubista eppure compatta e unitaria come nessuna precedente del regista napoletano. Con interpreti d’eccezione a partire da un Michael Caine in stato di grazia e una Rachel Weisz finalmente in grado di esprimersi da grande attrice anziché da belloccia di turno tra le grinfie di una Mummia.

Amaro il finale, di pessimistica constatazione sull’inesorabilità del tempo e sulla sua capacità di livellamento. Come nella celebre poesia di Totò: “Non fa nessuna differenza: uomini, animali, piante… siamo solo comparse”. Sottinteso: nel film della vita.