William Shakespeare, lo sceneggiatore più amato al mondo

Pubblicato il 11 Febbraio 2020 in , , da Pierfranco Bianchetti
William Shakespeare

“Viene da dire – scrive nel 1993 Ugo Casiraghi, il compianto critico cinematografico de l’Unità – che se al tempo di Shakespeare fosse esistito il cinema, forse egli stesso avrebbe tradotto nell’immagine anche la maglia della sua parola… È quasi un secolo che esiste il cinema ed è quasi un secolo che il cinema saccheggia Shakespeare.” È infatti con una puntualità cronometrica che quasi ogni anno escono sugli schermi  film in grado di confermare la visibilità, l’attualità e la modernità dell’opera del Bardo, “lo sceneggiatore più bravo del mondo,” come lo definì un grande produttore di Hollywood. I personaggi, le storie scaturite dalla sua penna diversi secoli fa, continuano a toccare le corde della nostra vita, così piena di sentimenti, illusioni, amori, tradimenti e fedeltà. Il cinema si è appropriato dell’opera di Shakespeare fino dal 1898 (il cortometraggio Macbeth) e poi con grande continuità dagli anni Trenta in avanti, realizzando spesso molti remakes, La bisbetica domata, Il sogno di una notte di mezza estate, Giulietta e Romeo, di cui si ricordano numerosissime edizioni. Nel 1996 Baz Luhrmann firma Giulietta e Romeo, pellicola interpretata dalla star Leonardo di Caprio e ambientata a Verona Beach, variopinta e caotica metropoli a metà strada tra Miami e Città del Messico, in cui si scontrano bande di malviventi di varie etnie sullo sfondo della sanguinosa rivalità dei Montecchi e dei Capuleti, tra giubbotti antiproiettile, mitragliette e macchine blindate. È ovvio che i più grandi cineasti, prima di tutti il mitico Orson Welles, non hanno potuto sottrarsi alla sfida costituita dai testi del drammaturgo inglese. Nel 1948 Orson dirige la trasposizione filmica di Macbeth e poi di Otello nel 1952, premio al Festival di Cannes; un film girato in soli venti giorni e a bassissimo costo. Nel 1966 ritorna a Shakespeare con Falstaff,

William Shakespeare
“Rosencrantz e Guildenstern sono morti”

riflessione sul potere non priva di una malinconica ironia, premiata al “festival dei festival” di Acapulco. Non tutti si ricordano che nel cast vi era anche il nostro Walter Chiari irriconoscibile nei panni dello sgangherato scudiero Silenzio. Del 1972 è ancora il Macbeth di Roman Polanski, versione realistica e feroce di notevole spessore cinematografico, mentre nel 1991 con L’ultima tempesta è il raffinato regista inglese Peter Greenaway a riproporre a suo modo la grande tragedia rinascimentale.  Deciso a rendere più popolare sul grande schermo l’opera del suo autore più amato, l’irlandese Kenneth Branagh, principale erede della migliore tradizione teatrale-cinematografica, gli dedica cinque sue pellicole.  Del 1989 è Enrico V,  suo debutto alla regia ambientato in uno studio cinematografico dei nostri giorni, che si pone come una moderna considerazione attenta e approfondita contro la guerra (il film vince l’Oscar per i costumi di Phyllis Dalton)  ispirandosi al suo maestro e modello sir Laurence Olivier, autore nel 1944 nel pieno del secondo conflitto mondiale di un memorabile Enrico V. Nel 1993 è la volta di Molto rumore per nulla, 1993, vitale trasposizione filmica della nota commedia, per l’occasione collocata nella campagna toscana ed interpretata da lui stesso con Emma Thompson e Denzel Washington, mentre nel 1995 gira Nel bel mezzo di un gelido inverno,  spiritosa performance incentrata sulla messa in scena di un Amleto teatrale in una chiesa sconsacrata della provincia inglese. Seguono poi Hamlet, 1997, la prima versione completa (oltre quattro ore) mai portata sullo schermo e Casa Shakespeare, 2018, storia del tragico incendio avvenuto nel 1613 del teatro di William Shakespeare. Tornato nella natia Stratford, il Bardo deve affrontare alcuni fantasmi del passato e la sua famiglia trascurata. Tom Stoppard nel 1990 firma

William Shakespeare
“Hamlet” (1997)

Rosencrantz e Guildenstern sono morti, una sorta di teatro nel teatro nel cinema, tratto da un suo lavoro del 1966, che si aggiudica il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia e nel 1996 è invece Al Pacino con Riccardo III- Un uomo un re, prodotto ed interpretato da lui stesso, a realizzare una sorta di ricerca durata tre anni sulla modernità di Shakespeare, tra interviste, discussioni e momenti teatrali incentrati alla modernità del Bardo.  Dello stesso anno è Riccardo III di Richard Loncrane, rielaborazione filmica di uno spettacolo teatrale firmato da Richard Eyre,  con Ian McKellen, Annette Bening e Robert Downey jr., che racconta la sanguinosa guerra civile vissuta dall’ Inghilterra degli anni Trenta di suo fratello Riccardo, duca di Gloucester, pronto ad eliminare Eduardo, il legittimo successore al trono.  Nel 1998 esce sugli schermi Shakespeare in love di John Madden con Gwyneth Paltrow, Jospeh Fiennes e Geoffrey Rush, un episodio fantasioso-sentimentale nella Londra del 1434, tra taverne, teatri e mobili delle arti, della vita del giovane drammaturgo William innamoratosi perdutamente di una damigella della corte di Elisabetta I^, che sarà  l’ispiratrice di Romeo e Giulietta. La pellicola diventa subito campione di incassi confermando l’inesauribile vitalità e modernità dell’immortale Shakespeare. Dopo il boom di incassi della pellicola, Hollywood si lancerà in una gara inedita di produzioni dedicate al drammaturgo e poeta inglese.  Nel 1998 tocca a Sogno di una notte di mezza estate per la regia di Michael Hoffman con Kevin Kline e Michelle Pfeiffer, seguito l’anno dopo da Titus di Julie Taymor con gli ottimi Anthony Hopkins, Jessica Lange e Harry Lennix, protagonista il generale romano Tito Andronico vincitore della guerra contro i Goti che si porta a Roma come prigionieri la regina Tamora, l’amante Aronne il Moro e i tre figli della regina stessa.  Poi è la volta di Hamlet 2000 di Michael Almereyda con Ethan Hawke, Kyle Maclachlan, Bill Murray e Sam Shepard, ambientato nella New del mondo delle grandi corporazioni tra computer e limousine. Impossibile però non citare forse uno dei più straordinari adattamenti cinematografici a firma del grande regista giapponese Akira Kurosawa, Il trono di sangue del 1957, che si svolge nel Giappone del XVI secolo, l’ascesa sanguinaria al potere del feudatario Washizu (Toshiro Mifune), spinto dalla perfida moglie Asaji.  Kurosawa, da tempo ansioso di dedicarsi al Macbeth, aveva rimandato il progetto di qualche anno per non entrare in competizione con la versione di Orson Welles. “Il mondo descritto da Shakespeare nelle sue grandi tragedie a sfondo storico, assomiglia talmente al nostro medioevo e al nostro Cinquecento che a noi giapponesi pare di leggere un autore giapponese. Anche nel nostro medioevo è esistito un guerriero ambizioso e sanguinario come Macbeth. Ambientare questa tragedia dell’ambizione nel Giappone dell’epoca delle guerre civili è stata quindi per me la cosa più naturale del mondo”. (“Akira Kurosawa -L’ultimo samurai – quasi un’autobiografia” a cura di Aldo Tassone Baldini & Castoldi). Scritte e riscritte per il grande schermo, le opere di William Shakespeare dedicate a temi universali come l’amore, il potere, l’inutilità delle guerre, non smettono di affascinarci, di raccontarci che cosa è l’uomo nella sua essenza. La modernità e l’universalità del suo pensiero sono nella storia del teatro, della letteratura e quindi anche del cinema che continuerà anche in futuro a realizzare commedie e tragedie scritte dal Pardo e sempre apprezzate dal pubblico, perché si sa “Finchè c’è Shakespeare c’è speranza!”.

William Shakespeare
“Shakespeare in Love”