In uscita al cinema “Il primo re” di Matteo Rovere

Pubblicato il 30 Gennaio 2019 in , , da Auro Bernardi
Il primo re

sceneggiatura Matteo Rovere, Filippo Gravino, Francesca Manieri cast Alessandro Borghi (Remo) Alessio Lapice (Romolo) Fabrizio Rongione (Lars) Massimiliano Rossi (Tefarie) Tania Garribba (Satnei, la Vestale) Michael Schermi (Arant) Max Malatesta (Veltur) Vincenzo Pirrotta (Cai) Vincenzo Crea (Elaxantre) Lorenzo Gleijeses (Purtnas) Gabriel Montesi (Adieis) Antonio Orlando (Erenneis) Florenzo Mattu (Mamercus) Martinus Tocchi (Lubces) genere storico prod Italia 2018 durata 120 min.

 

Questo film di Matteo Rovere dimostra almeno due cose: 1- Che l’Italia non solo ha un colossale patrimonio di bellezze storiche, artistiche e archeologiche che non ha uguali al mondo, ma che possiede un altrettanto sterminato patrimonio di miti, leggende ed epopee da cui potremmo attingere all’infinito per storie, romanzi, libri e film. Senza scimmiottare o scopiazzare i miti altrui. Un caso per tutti: il Far West e il Risorgimento. La Frontiera americana e l’Unità d’Italia. Stesso periodo, stesso paradigma (La Nascita di una nazione per dirla con D.W. Griffith) e una sproporzione stratosferica tra film (anche italiani!) che parlano dell’uno (il West) piuttosto che dell’altro. 2- Che purtroppo oggi non si può concepire e realizzare un film senza pensare al mercato anglosassone, a una eventuale, auspicabile vendita negli Usa. Il che comporta, anche sotto il profilo estetico, l’accettazione di certi stilemi, canoni e topoi che strizzano l’occhio a quel pubblico. Meno smaliziano e più rozzo del nostro, nonostante i sette decenni e passa di asservimento socio-politico-culturale dell’Italia agli Stati Uniti.

Il primo re

Detto ciò, va dato merito a Rovere, ai co-sceneggiatori e ai produttori di aver avuto un notevole coraggio nell’allestire per lo schermo il mito di Romolo e Remo (non Remolo) cercando di sfrondarlo il più possibile del mito per arrivare, se non alla storia, almeno a qualcosa di molto vicino a essa. Dunque niente lupe, niente culle nel Tevere, niente paternità divine, ma l’umanissima storia di due senzaterra (migranti, verrebbe da dire) in cerca di un luogo dove non essere perseguitati. Dalla natura, dagli altri uomini o dal Fato. Certo, il loro itinerario comporta violenze, stupri, omicidi e una spietatezza che tende costantemente all’empietà. Ed è proprio questo il discrimine tra le vicende (e i destini) dei due gemelli: la pietas di Romolo contro l’ybris di Remo. Al punto che, sin dall’inizio, sembrano quasi Abele e Caino. Con il primo che prega gli dei su un improvvisato altare, e l’altro che pascola il suo gregge. Il filo conduttore della sottomissione o della sfida agli dei determina poi il resto dello sviluppo narrativo e in questo, il mito, cacciato dalla porta principale del racconto, rientra precipitosamente dalla finestra della messa in scena. Un po’ Apocalypto (Mel Gibson, 2006), un po’ Guerra del fuoco (J.J. Annaud, 1981), Il primo re si snoda bene e non cala di tensione anche se proprio le parti in cui prevale lo sguardo (commerciale) al mercato Usa lo rende un po’ meno efficace (esempio: i dialoghi roboanti durante i duelli). Stesso discorso per la fastidiosissima musica a effetti (si fa per dire) sonori. All’altezza il cast, con Borghi (Remo), già notato in Sulla mia pelle, che emerge su tutti gli altri. Più commerciale che scientifica la scelta della (scarna) recitazione in latino arcaico. Una trovata (alla Gibson, appunto) per fare ancor più bella figura sempre nel mercato estero che, come è noto, non doppia i film. Vuoi mettere avere nelle orecchie una lingua incomprensibile piuttosto che l’italiano moderno! E da che ci siamo, visto lo strombazzato rigore scientifico-archeologico attuato nella ricostruzione scenografica, ci permettiamo di segnalare qualche (peraltro venialissimo) blooper (svarione) tipo il carro con le ruote anteriori sterzanti (invenzione medievale), le sellette che si intravvedono sotto le gualdrappe dei cavalli (che dovrebbero essere montati a pelo) e il biancore del pane, incompatibile non solo con i cereali utilizzati, ma soprattutto con i sistemi di molatura in uso nell’VIII sec. a.C. Da ultimo, una nota anche per l’altrettanto strombazzata distanza che separerebbe questo film del terzo millennio dagli analoghi (per soggetto) degli anni ’60 del ‘900. Il periodo d’oro dei cosiddetti peplum. Ebbene, noi che siamo cresciuti a pane e peplum nei cinema parrocchiali di quell’epoca possiamo garantire che, al confronto, il Romolo e Remo (1960) di Sergio Corbucci, sceneggiato da De Concini, Rossetti, Tessari e Sergio Leone, non è poi così male. Nonostante la presenza dello stoccafisso culturista Steve Reeves nei panni del fondatore di Roma.

 

E allora perché vederlo?

Perché anche i più puri eroi della mitologia, in fondo in fondo, erano brutti, sporchi e cattivi.

Il primo re

 


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