In uscita al cinema “Aspromonte-La terra degli ultimi” di Mimmo Calopresti

Pubblicato il 21 Novembre 2019 in , , da Auro Bernardi
Aspromonte

sceneggiatura Mimmo Calopresti, Monica Zapelli, Fulvio Lucisano dal libro “Vita dall’Aspromonte” di Pietro Criaco (ed. Rubbettino) cast Valeria Bruni Tredeschi (Giulia Tedeschi) Marcello Fonte (Ciccio Italia detto il Poeta) Francesco Colella (Peppe) Marco Leonardi (Cosimo) Sergio Rubini (don Totò) Romina Mondello (Cicca) Francesco Siciliano (il Prefetto) Elisabetta Gregoraci (Maria) Francesco Grillo (Andrea) Giulio Cuzzilla (Micu) Elisa Rosaci (Caterina) genere drammatico prod Ita 2019 durata 89 min.

 

Il calabrese Mimmo Calopresti è certamente uno dei registi più interessanti e anomali del panorama italiano contemporaneo. Al punto che la sua filmografia abbonda soprattutto di documentari e cortometraggi piuttosto che di film a soggetto. Motivo? L’evidente difficoltà a farsi finanziare i copioni per il semplice motivo che non sono commerciali. Quando per miracolo i soldi si trovano ecco che arriva un film come questo. Magari non un capolavoro, ma una storia difficile, densa, che parla di una realtà passata sempre sotto silenzio. Che parla del problema dei problemi dell’Italia unita: la mai risolta Questione meridionale. E poco importa che Calopresti ci porti ad Africo Vecchio, paese dell’Aspromonte, tra il febbraio e l’ottobre del 1951. La sua metafora ci parla dell’oggi e, se possibile, del domani del Sud. Del suo perpetuo, precario equilibrio tra legalità e malavita, individualismo e coscienza di massa, sfruttamento e liberazione, mancanza del necessario e desiderio di riscatto, spinta all’emigrazione e volontà di resistenza. La metafora è chiara e i personaggi emblematici, di scarso spessore psicologico, ma caratterizzati dalla sola presenza scenica. Che sia il malavitoso don Totò, colui che detta legge in assenza di legalità, o Giulia Tedeschi, la maestra venuta dal nord che cerca di insegnare ai bambini l’italiano, lingua “straniera” perché tale è percepito il resto della nazione che si stende oltre i muri a secco, i sentieri e le forre dell’Aspromonte. Dove lo stesso capoluogo, in riva al mare, pochi chilometri sotto le vecchie case, è territorio ostile, difficile da raggiungere e dove si può morire lungo il cammino. A Peppe e a suo figlio Andrea, uno dei ragazzi della scuola, a Cosimo e a pochi altri visionari resta il compito, difficile se non impossibile, di cercare un futuro per la loro gente che non sia l’abbandono della lotta e la resa. A costo di costruirsi da soli una strada che renda più facile l’accesso all’abitato.

Aspromonte

Scuola e strada, dunque, come simboli del riscatto di un’intera comunità dimenticata da uomini e dei. Strada e scuola come unità d’intenti, condensate nella figura del piccolo Andrea, scolaro e operaio, nonché l’unico in paese a volersi ribellare concretamente all’arroganza mafiosa del fuorilegge. Sino al punto da sfidarlo faccia a faccia. Benché dal punto di vista temporale il film di Calopresti sia un’opera postmoderna, non è difficile trovare in essa echi di quel cinema “militante” caratteristico di un certo periodo e di certi autori del secolo scorso: Visconti, Rosi, De Santis sono qualcosa di più che semplici riferimenti ideali per Calopresti. Sono, appunto, una strada tracciata da ripercorrere, aggiornando naturalmente gli stili, e una scuola da frequentare e coltivare. Anche per salvare il cinema dall’ovvietà del disimpegno.

 

E allora perché vederlo?

Per respirare, ogni tanto, una boccata d’ossigeno.

 

Aspromonte