Dalla parte di lei: “Bella, affascinante e perversa, la dark lady nel cinema americano”

Pubblicato il 19 Gennaio 2018 in , , da Pierfranco Bianchetti

Nel pieno della seconda guerra mondiale gli Stati Uniti d’America sono impegnati in uno sforzo bellico senza precedenti. Centinaia di fabbriche producono a ritmo incessante tutto ciò che serve a rifornire le truppe alleate sul fronte europeo e su quello del Pacifico. Anche Hollywood fa la sua parte contro i nemici della democrazia nel produrre film di propaganda che spingono molti giovani americani ad arruolarsi nelle forze armate. Produttori, sceneggiatori e registi sfornano decine di pellicole destinate ad alleviare le ansie e le paure della gente comune e infondere loro la speranza della vittoria contro il nemico. Tantissime sono le donne impegnate negli stabilimenti industriali e negli uffici chiamate a sostituire gli uomini, i loro mariti, i loro fidanzati, i loro fratelli in divisa lontani da casa. In questo clima patriottico nel ’44 sugli schermi esce La fiamma del peccato, un noir diretto da Billy Wilder, storia torbida di un assicuratore invaghitosi di una signora affascinante che lo convince a progettare l’assassinio del suo ricco marito. Wilder, sceneggiatore e regista approdato nove anni prima in California per sfuggire, come altri intellettuali europei, all’oppressione nazista, è colpito dal romanzo di James M. Caine La morte paga doppio, uscito a puntate nel 1943 sulla rivista Liberty e decide di adattarlo cinematograficamente insieme Raymond Chandler, che all’epoca era già un notissimo scrittore di libri polizieschi. La vicenda raccontata è ispirata alla realtà: l’assassinio del marito di una donna newyorchese con la complicità di un agente delle assicurazioni, al fine di spartirsi il denaro della polizza di vita stipulata dal morto. Interpretato da Fred MacMurray, Barbara Stanwyck e Edward G. Robinson, il film impone a Hollywood una nuova figura femminile, la dark lady, stereotipo della femminilità seducente e perversa, una doppiogiochista in grado di ammaliare gli uomini e portarli alla distruzione, dalla sensualità prorompente che trova la sua massima espressione nella catenina alla caviglia, monile dalle maliziose allusioni. La pellicola darà inizio a una straordinaria “serie nera”, il film noir, destinato a lasciare un segno indelebile nella storia del cinema. “All’epoca- scrive Hellmuth Karasek nella sua bella biografia “Un viennese a Hollywood – Billy Wilder, “i neri mysteries”, cupi polizieschi sui lati oscuri della società, erano nell’aria.

Retrospettivamente possiamo dire che negli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta essi dominarono lo stile e l’atmosfera del cinema alla stregua delle screwball comedies nel decennio precedente! L’ ottimismo è svanito a causa della guerra in corso”.  La fiamma del peccato è un’ opera che rompe un tabù fino allora inviolabile: i criminali non sono più solamente i gansters, ma i cittadini borghesi che dietro la loro facciata rispettabile nascondono un’ingordigia per il denaro, un vizio tipico della società americana. Presto proliferano al cinema altre figure di donne fatali e astute: l’ ambigua Laura (Gene Tierney) in Vertigine, 1944 di Otto Preminger, di cui s’invaghisce un rude tenente di polizia; l’ affascinante donna di un boss, Kitty Collins (Ava Gardner) abile nell’ ingannare un ex pugile già compromesso con la malavita in I gangsters, 1946 di Robert Siodmak, tratto da un racconto di Ernest Hemingway; la seduttrice Cora (Lana Turner) che irretisce un vagabondo per eliminare suo marito in Il postino suona sempre due volte, 1947 di Tay Garnett; Kathie (Jane Greer) l’ amante di un gangster senza principi morali in La catene della colpa, 1947 di Jacques Tourneur; la subdola Elsa (Rita Hayworth) moglie di un ricco avvocato in La signora di Shangai, 1948 di Orson Welles capace di trascinare alla rovina un marinaio; Anna (Yvonne De Carlo), l’ ex consorte di un uomo non molto onesto trascinato da lei in una rapina nel film di Robert Siodmak Doppio gioco, 1949; la cow-girl Annie (Peggy Cummins), tiratrice scelta e rapinatrice di banche di La sanguinaria, 1949 di Joeph H. Lewis e Diane (Jean Simmons) l’ereditaria viziata di Seduzione mortale, 1953 di Otto Preminger, per citare solo alcuni esempi. Diversi studiosi di cinema si sono chiesti il perché del proliferare sugli schermi del dopoguerra di queste figure femminili in realtà però presenti nella letteratura romantica della Germania degli anni Venti e dopo anche nel cinema muto. Tra il 1914 e il 1926 popolarissima è Thara Bara, attrice esotica e misteriosa, la vamp per eccellenza irresistibile nel far cadere ai suoi piedi gli uomini con il suo sguardo ammaliatore. La galleria delle manipolatrici in grado di sconfiggere lo strapotere maschile si arricchisce nel 1929 con Lulu- Il vaso di Pandora di Georg Wilhelm Pabst interpretato dalla mitica Louise Brooks, ritratto molto audace di una giovane donna seducente e sessualmente disinibita che non si fa scrupoli nel rovinare gli uomini innamorati di lei. Lo strepitoso successo della pellicola è bissato l’ anno dopo della mitica Lola, la Marlene Dietrich di L’ angelo azzurro, 1930 per la regia di Josef von Sternberg.

Negli anni Quaranta però il proliferare eccessivo di queste figure femminili sul grande schermo forse trovano una spiegazione nel rientro dal fronte di milioni di soldati americani. Rientro che costringe operaie e impiegate a lasciare il posto di lavoro e a tornare forzatamente tra le mura domestiche private così dell’ indipendenza economica faticosamente conquistata. Questo clima “antifemminile” artificiosamente costruito pone le basi per la ricostituzione della famiglia tradizionale nella quale l’uomo provvede al sostentamento economico, mentre la donna è relegata alla cura della casa e dei figli.  Negli anni successivi il cinema non rinuncia a rappresentare ancora esempi famosi di seduttrici pericolose. Nel 1969 François Truffaut in La mia droga si chiama Julie offre a Catherine Deneuve uno dei più bei personaggi della sua carriera, la bella e misteriosa Julie, moglie di Louis (Jean Paul Belmondo), proprietario terriero nell’isola di Réunion che lei deruberà e abbandonerà. Altra affascinante dark lady è Cora (Jessica Lange) di Il postino suona sempre due volte per la regia di Bob Rafelson, 1981, amante di Frank (Jack Nicholson), uno sbandato con il quale progetta di eliminare lo scomodo anziano marito. Lo stesso anno esce sugli schermi Brivido caldo di Lawrence Kasdan, remake di La fiamma del peccato osannato dall’autorevole critico cinematografico del New York Times Vincent Canby come “una delle più eleganti sorprese dell’anno”; pellicola interpretata dall’ emergente Kathleen Turner cui seguirà sei anni dopo La vedova nera, 1987 di Bob Rafelson con una bravissima e sexy Theresa Russell nel ruolo della scaltra Catharine, assassina a sangue freddo dei suoi mariti al fine di incamerarne le ingenti eredità. Oggi che l’industria cinematografica californiana è travolta dallo scandalo Weinstein è curioso ricordare come per decenni attraverso la figura della dark lady, la donna dominatrice degli uomini, il cinema abbia saputo rovesciare la realtà delle cose. Niente di strano perché dopo tutto Hollywood è la “fabbrica dei sogni”…