Liz Taylor e Richard Burton, amore, baruffe e whisky

Pubblicato il 13 Giugno 2025 in , , da Pierfranco Bianchetti
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Liz Taylor e Richard Burton, una delle coppie più amate dalla stampa scandalistica di Hollywood, tra liti memorabili, passione travolgente, grandi sofferenze e film da Oscar

 

Beverly Hills, 24 agosto 1984: “Tra noi attori, sappiamo che Richard era il migliore, è stato per noi una luce insostituibile”. Con queste, e altre commosse parole, in ricordo dell’attore gallese Richard Burton morto a Ginevra a 58 anni il 5 agosto, George Segal, John Huston, Frank Sinatra e decine di altri divi americani hanno reso omaggio alla figura dell’amico e collega scomparso nel corso di una commovente cerimonia al Wilshire Theatre di Hollywood. L’omaggio a Richard Burton si è svolto sullo stesso palcoscenico dove l’attore aveva recitato per l’ultima volta insieme a Liz Taylor nella commedia di Noel Coward “Vite private”. Oltre a George Segal, che aveva interpretato con Richard e Liz Taylor la commedia “Chi ha paura di Virginia Wolf?”, il regista John Huston ha ricordato la figura di un grande professionista, sottolineando l’omaggio che la città messicana dove erano state girate le riprese del film “La notte dell’iguana”, gli ha fatto, dedicando un parco alla sua memoria. Richard Harris, con le lacrime agli occhi, ha letto un poema in memoria di Burton, amico carissimo con cui aveva condiviso molti momenti personali e professionali. Anche una lunga lettera scritta da Frank Sinatra, letta da Jack Valenti presidente della Motion Pictures of America, ha suscitato profonda commozione. “Richard era un gentleman – ha scritto fra l’altro Sinatra -, un amico meraviglioso, un non comune semplice uomo del Galles”.

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Richard Burton, il bisbetico non domato

Nato il 10 novembre 1925 a Pontrhydyfen, un piccolo villaggio minerario del Galles del Sud, dodicesimo di tredici fratelli, figlio di un minatore alcolizzato, Richard Jenkins dimostra fino da piccolo di avere un talento per la cultura e grazie alla dedizione del professore di letteratura Philip Burton (di cui adotterà il cognome) si dedica con passione alla recitazione e alla letteratura. Il suo mentore gli insegna a sviluppare una potente memoria (ripete molte volte difficili brani shakespeariani in modo chiaro).

Grazie a una borsa di studio, Richard fa il suo debutto sul palcoscenico in un teatro del West End nel ’43. Il ragazzo, sveglio e brillante, ha anche altre doti, tra cui quelle fisiche, che gli permettono di giocare nella squadra di rugby ottenendo buone prestazioni. Una abilità agonistica sottolineata dal giornalista sportivo Bleddyn Williams che scriverà. dopo la sua ascesa nel mondo dello spettacolo, “come il teatro aveva rubato al rugby un grande campione!”.

“I suoi primi estimatori – scrive Marco Mangiarotti su Il Giorno in occasione della scomparsa del divo – furono i giovani mostri sacri dell’Old Vic, come John Gielgud e Laurence Olivier, e lo statista Winston Churchill. Burton rifiuta la prima offerta di Hollywood: 384 mila dollari contro la paga di 135 dollari la settimana dell’Old Vic. Le sue interpretazioni shakespeariane vengono incise su disco, il suo Amleto viene paragonato a quello di Olivier. Ma il giovane delfino del teatro inglese passa al cinema. Il suo primo film gli fruttò 50 mila dollari, il secondo 100 mila, il terzo 350 mila. L’autrice di ‘Mia cugina Rachele’ lo impone come protagonista al fianco di Olivia de Havilland. ‘La tunica’, fu il suo primo cinemascope, ‘Gli arrabbiati’ il suo acido flirt con la drammaturgia di John Osborne. Passa come un tifone sulle cronache rosa e sui set degli anni Sessanta e il suo bilancio artistico nel bene e nel male, si chiude in pareggio”.

Ben presto la sua carriera cinematografica decolla velocemente. Burton diventa l’attore dei grandi kolossal dell’antica Roma come il tribuno de “La tunica” (1953), nello splendore del primo cinemascope, il Marco Aurelio di “Cleopatra”, film del ’63 che rischierà di far fallire la Fox, noto anche per essere stato teatro della popolare e conosciuta love story con Liz Taylor. “Un uomo e un attore dalle mille anime – scrive Maurizio Porro sul Corriere della Sera di lunedì 6 agosto 1984 –diceva di sé: ‘C’è un Burton pubblico, uno scespiriano e uno vero, che mi disprezza e di cui io non capisco nulla, perché da filosofo subito si trasforma in clown”.

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“Improvvisamente l’estate scorsa”

“Liz Taylor, la donna più bella del mondo!”

Elizabeth Rosemond Taylor nasce il 27 febbraio 1932 a Hampsted (Londra). Bambina dalla fotogenia eccezionale, Liz è assunta dalla MGM con un contratto a lungo termine. Il vero debutto avviene nel ’42 a Hollywood con il film “There’s One Born Every”, ma l’anno dopo è protagonista di “Torna casa Lassie!” di Fred Wilcox che riscuote un grande successo di pubblico e di 2Gran Premio” (1944) di Clarence Brown, storia di una ragazzina che si allena per vincere il Gran National. “Da quel momento restò in sella per oltre un ventennio (l’ultima sua interpretazione davvero memorabile è del ’66 in “Chi ha paura di Virginia Woolf?” di Mike Nichols), non rinunciando mai – pur tra matrimoni e mariti a non finire, tre figli e una figlia adottiva, cani gatti e altri piccoli animali, periodi neri, trentadue ricoveri e diciannove interventi chirurgici – al suo ruolo di ultima diva del cinema”. (“Un secolo di grande cinema – 100 star“, Ciak quarto volume)

Nel ’56 è diretta da George Stevens in “Il gigante”, affiancata da James Dean e Rock Hudson, suoi amici molto cari. Liz è ormai considerata da Hollywood “l’ultima bella del Sud”, dal fascino sensuale e anche un po’ tenebroso. Nel ’57 è in “L’albero della vita” di Edward Dmytryk e nel ’58 è in “La gatta sul tetto che scotta”, di Richard Broos e tratto dal un romanzo di Tennessee Williams, al fianco del nuovo divo Paul Newman, diventato da poco marito della collega Joanne Woodward. 

Durante la lavorazione la stampa scandalistica americana va a nozze nel raccontare un divertente siparietto avvenuto lontano dai riflettori. Pare, infatti, che la leggendaria fedeltà di Newman verso la moglie Joanne Wooward (vera o solo dovuta all’incapacità dei reporter di coglierlo sul fatto, come affermava all’epoca qualcuno), è messa dura prova dalla bellissima Liz. L’attrice, dicono le cronache rosa, sottopone il divo dagli occhi blu a un corteggiamento serrato. Per scoraggiarla e respingerla Newman si inventa perfino di essere gay. “Perché credi, altrimenti, che mi avrebbero scelto per questa parte?” le dice sperando di non cadere in tentazione. Altrettanto famosa la risposta della Taylor: “Che mi importa. Non saresti il primo e neppure l’ultimo omosessuale della mia vita”. “La gatta sul tetto che scotta” si aggiudica sei nomination all’Oscar (una per Paul Newman come miglior interprete) e ottiene un grandissimo successo di pubblico.

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“La spia che venne dal freddo”

Nel ’59 Liz è ancora protagonista di un film che ha fatto epoca, “Improvvisamente l’estate scorsa” di Joseph Mankiewicz, che si aggiudica tre nomination all’Oscar. Nel film, l’attrice bella come una dea, emerge dal mare in alcune sequenze memorabili, affascinante e molto sexy, con il suo costume da bagno bianco trasparente, che fa impazzire di desiderio i giovani maschi della spiaggia spagnola dove si svolge la storia. In un’altra scena, Liz entra in contatto con i degenti del manicomio che tentano di aggredirla. Per la Taylor è la prima pellicola da indipendente fuori contratto dal ‘regime di schiavitù’ impostole dalla Metro Golden Mayer, che le ha sempre riservato oltretutto magri guadagni. Il Golden Globe del 1959 per la migliore attrice è suo e per lei iniziano finalmente ad arrivare contratti economicamente molto sostanziosi.

Proprio durante la lavorazione in Spagna riceve una telefonata dalla Fox che le propone di interpretare “Cleopatra”, il kolossal da realizzarsi a Cinecittà, dove lei conoscerà Richard Burton, l’uomo della sua vita, suo marito per ben due volte. ”Accetto per un milione di dollari” dice Liv scherzando. “Siamo d’accordo” è la risposta. Nel ’60 la Taylor è sul set di un’altra pellicola prima di “Cleopatra”. Si tratta di “Venere in visone”, diretto da Daniel Mann, un’interpretazione che le fa vincere l’Oscar quale migliore attrice. Nello stesso anno la diva dagli occhi viola, sempre cagionevole di salute, si ammala di polmonite rischiando di morire. Fortunatamente viene salvata da un provvidenziale intervento chirurgico.

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“La bisbetica domata”

Sul set di “Cleopatra”, il grande amore con Burton

Nell’autunno del 1960, a Londra, Walter Wanger aveva iniziato le riprese, sotto la direzione di Rouben Mamoulian con Stephen Boyd e Peter Finch rispettivamente nei ruoli di Marco Antonio e Giulio Cesare. Però a causa della lentezza delle sequenze girate, Mamoulian viene sostituito con Joseph L. Mankiewicz. “Cleopatra”, il film più costoso della storia del cinema (37 milioni di dollari), un kolossal che ha rischiato di far fallire la 20th Century Fox, subirà traversie di ogni tipo e di ogni genere. É il 25 settembre 1961 e la produzione del film, ferma da molto tempo, veleggia al ritmo di cinquanta milioni di dollari spesi al giorno, riprende finalmente a Roma, a Cinecittà.

Il 2 gennaio 1962 Liz Taylor scelta per il ruolo di Cleopatra e Richard Burton per quello di Marco Antonio, si incontrano per la prima volta sul set. All’inizio l’incontro tra i due non è dei più passionali, come ricorda Anna Maria Mori su la Repubblica il 6 agosto 1984: “Dice Burton della sua partner nel film: ‘Lei Cleopatra? É ridicolo: somiglia a una fantesca durante l’allattamento. Spiegami dov’è bella questa piccola sfera, questo batuffolo di grasso. La faccina è passabile (se proprio vuoi) ma è scura, troppo scura. Scommetto che si fa la barba ogni mattina…’. Appoggiato a una colonna dorica di cartapesta, la corazza sbottonata sul petto, Antonio – Burton cercava invano di ammazzare con la ventesima sigaretta il terzo bourbon della mattina. Di fronte a lui il povero Giulio Cesare – Harrison, travolto dal monologo, non ribatteva più: in cuor suo sperava solo che quel fiume di oltraggi, tuonanti con tono shakespeariano non arrivassero all’orecchio dell’interessata”.

Ma quando Taylor fa il suo vero ingresso in scena scivolando fuori dall’accappatoio che la copriva, Burton rimane folgorato all’istante: “Fu come uno scossa elettrica – confesserà anni dopo – Liz non è una donna. È una strega. Ma non chiedetele il segreto della sua magia, non saprà spiegarvelo. Ce l’ha, lo possiede. Punto e basta”. Nasce così una storia d’amore controversa e scandalosa, poiché i due divi sono entrambi sposati con figli: la loro relazione passionale farà la gioia del reporter scandalistici di tutto il mondo. Lei è Cleopatra e lui Marco Antonio nel film diretto da Joseph L. Mankievicz. Quindi nella finzione si amano, ma poi succede anche nella vita vera. All’inizio la relazione è clandestina, ma i due attori diventano amanti alla luce del sole mentre la stampa impazzisce, mettendo a nudo ogni episodio della loro turbolenta vita insieme, litigi inclusi.

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“Venere in visione”

Sul set infatti ne succedono di tutti i colori. “Svenimenti e moine e perfino un tentativo di suicidio della capricciosa donna-bambina segnarono la prima capitolazione del burbero Richard. Una giovane moglie e due figlie presto dimenticate, per annotare il 15 marzo del ’64 la prima data della loro storia d’amore. “La sola vista di mia moglie mi riempie di gioia. Il nostro matrimonio è una sorpresa e un’eccitazione continua” confessava ancora, dopo tre anni di vita in comune. Richard trovava Liz spiritosa, onesta, ma con le gambe corte e lei controbatteva definendolo presuntuoso, arrogante, chiacchierone, collerico e persino manesco… ma adorabile”, Baruffe e liti, il sale del loro amore, arrivarono nel ’67 anche sullo schermo con “La bisbetica domata” di Zeffirelli quasi che il loro matrimonio fosse servito da rodaggio per l’interpretazione.

È in nome dell’amore, “forse ci siamo troppo amati”, che Liz annuncia la separazione nel ’73 (i maligni la imputarono al lancio del film “Divorzia lui, divorzia lei”). Nel ’74 arriva il divorzio. Ma forse nascondevano qualcosa di vero le parole di Liz: “dopo un solo anno li troviamo di nuovo uniti dal profumo dei fiori d’arancio”. (Laura Dubini – Corriere della Sera- 6 agosto 1983). Nel ’76 c’è infatti il secondo matrimonio delle due star, seguito anche dal secondo e definitivo divorzio. Il loro idillio è condito da colossali bevute di vodka e altri alcolici, che sono la causa di momenti di passione, ma anche di feroci scontri e insulti spesso di fronte alla stampa scandalistica che si gode lo spettacolo.

Nel frattempo la loro carriera cinematografica prosegue senza sosta. Liz, che nel 1967 ha vinto anche il secondo Oscar per il mitico “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, dagli anni Settanta è in qualche modo costretta a ruoli più commerciali, drammi, commedie e thriller spesso al fianco dell’amato marito (“Castelli di sabbia” (1965), “La scogliera dei desideri”(1968), “Dottor Faust” (1967). Liz, con il passare del tempo, è ormai affiancata da attori e attrici sempre più giovani.

Nel 1970 gira “L’unico gioco in città” con Warren Beatty. “Negli anni Settanta la Taylor recitò soltanto in fiacchi film costruiti attorno alla sua immagine di star (‘A un’ora dalla notte’ del 1973 e ‘Identikit’, del 1974) e cameo manieristici (‘Il giardino della felicità’ del 1976, ‘La lunga notte di Entebbe’ del 1976 e ‘Assassinio alla specchio’ del 1980). La Taylor continuò a occupare le pagine dei rotocalchi grazie a ulteriori matrimoni e variazione di peso e passando definitivamente alla televisione dove interpretò “Malizia a Hollywood” (1985), “La dolce ala della giovinezza” (1989), e “These Old Broads” (2001). La sua ultima apparizione cinematografica è stata “I Flintstones” (1994). (501 Star del Cinema a cura di Jay Schneider – Atlante). Liz, disintossicatasi dall’abuso di alcol al Betty Ford Center, ritrova la forma fisica e anche un nuovo amore, mentre davanti alla macchina da presa è presente in piccole partecipazioni.

Richard Burton, un talento sprecato

Va meglio a Richard Burton che nel ’64 si cimenta nei panni del celebre arcivescovo di “Becket e il suo re”, al fianco di Peter O’Toole, suo grande amico insieme a Richard Harris, tutti e tre compagni di sbronze memorabili. Successivamente affronta un ruolo straordinario nel thriller spionistico “La spia che venne dal freddo” (1965), nel cinema d’azione “Dove osano le aquile” (1968), ma poi anche per lui arriva il declino con partecipazioni a produzioni minori come “Il tocco della medusa” (1978), “Equus” (1977), che però gli vale la settima e ultima nomination all’Oscar e anche una buona occasione gli viene offerta da “Orwell 1984” (1984).

Alla sua scomparsa diversi giornali inglesi ricordano il suo talento non sfruttato al meglio. Il Daily Telegraph scrive: “Poteva diventare uno dei più grandi attori scespiriani, non ha mantenuto la promessa, sedotto dai milioni di dollari di Hollywood”, mentre il Guardian afferma “che il suo amore per l’alcol e la sua vena polemica aumentavano il suo fascino”. Come molti gallesi, Richard Burton è stato protagonista di episodi sopra le righe: le furibonde liti con Liz, gli scontri fisici con i paparazzi romani. “Stakanovista, generoso, leale – scrive Marco Mangiarotti su il Giorno del 7 agosto 1984 – scelse, tra il palcoscenico e la vita, quest’ultima e la interpretò con grande talento, dissipando con furore arte e vitalità, gloria e denaro. Come un vero eroe della classe operaia”. “Richard Burton – come scriverà ancora Il Giorno in occasione della sua scomparsa – aveva la testa piena di Liz e il bicchiere pieno di whisky”.

Liz Taylor, la donna che lui ha sempre amato, se ne andrà il 23 marzo 2011 a 79 anni. Finisce così la storia di una delle coppie più famose di Hollywood, vissuta tra successo, alcol e infelicità.

 

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Il matrimonio Liz Taylor e Richard Burton