“Un’altra donna” di Woody Allen nell’interpretazione psicoanalitica che fa riflettere noi senior

Pubblicato il 23 Gennaio 2014 in , da Vitalba Paesano

“In una interessante rassegna di film di Ingmar Bergman e Woody Allen ” Noi e le donne” , alla cineteca Oberdan di Milano (fino all’8 febbraio), “Un’altra donna ” di Woody Allen ( un film del 1988) propone ancora oggi molte riflessioni soprattutto alle cinquantenni e post-cinquantenni. E’ un film che fruga dentro le storie e gli amori di chi, a questo punto della vita , si pone interrogativi e vuole farne un bilancio . Protagonista è una affermata professoressa di Filosofia cinquantenne interpretata da Gena Rowlands (in realtà la Rowlands ne aveva 54 quando ha girato il film di Woody Allen che ne aveva 53). Un film , dicono i critici terapeutico, alla Bergnan ed anche una prova per scoprire come certi temi siano sempre attuali e possano far riflettere sul senso della propria vita e degli amori, anche quando ci si nasconde, come nel film , dietro una maschera di convenienza o di impotenza.
Accanto alla cinquantenne professoressa, la figura di una donna più giovane e incinta, interpretata da Mia Farrow (lo era veramente di Woody Allen ) simbolo di futuro e di speranza , come nella celebre tela di Gustav Klimt che compare nel film “. Laura Bolgeri

Anche noi di grey-panthers.it bbiamo assistito alla proiezione del film “Un’altra donna”, ieri sera allo Spazio Oberdan. E volentieri pubblichiamo alcune delle colte osservazioni che abbiamo ascoltato dagli psicoanalisti che hanno commentato, dopo la proiezione: Laura Ambrosiano e Pietro Rizzi, Membri della Società Psicoanalitica Italiana. Ecco qui trama e riflessioni

unaltradonna2La trama: “Un’altra donna” è un film veramente particolare, un ritratto di donna di una tale intensità che rimarrà sicuramente nella storia del cinema di Allen e non solo; è un film di bergmaniana impressione, dove il regista, guarda a caso, si avvale per la prima volta della fotografia di Sven Nykvist, lo stesso del maestro svedese. E poi c’è lei, la straordinaria Gena Rowlands, all’ultimo film prima della scomparsa di Cassavetes, suo storico compagno e di cui fu la musa artistica. Qui Allen riesce a contenere l’istrionismo dell’attrice, cucendole addosso un ruolo da interpretare con estrema sottigliezza, dove i mezzi sguardi e le mezze espressioni fanno tutto, e dove la trasforma in una professoressa cinquantenne di filosofia, che per scrivere un libro affitta un appartamento in città e da dove riesce a sentire, attraverso un condotto dell’aria, le sedute di psicoanalisi di una Mia Farrow incinta. La ragazza è allo sbando, forse sull’orlo del suicidio, e quelle sedute mettono in dubbio tutta l’esistenza della protagonista, che, naturalmente, vuole intervenire attivamente sulla sconosciuta. In un certo modo ci riesce, in quanto la Farrow, una volta che si conoscono, dice che non vuole finire come lei, donna che ha sempre scacciato gli affetti, tenuti lontani, con il fratello, il marito e tutti in genere, sicché la protagonista inizia a mettere in dubbio tutto, il matrimonio, il suo passato e le relazioni. Il tutto è fatto con un registro estremamente pacato, soffuso, con parole sussurrate e dove Allen ci regala almeno due momenti di un’intensità assoluta, quello in cui una moglie seduti in un bar accusa il marito di avere occhi solo per l’amica e quando la Rowlands si chiede “se i ricordi sono qualcosa che hai perduto o qualcosa che hai trovato”, una frase destinata a creare inevitabile riflessione in ogni spettatore. Importante è anche il ruolo di un Gene Hackman che si vede pochi minuti ma che lascia il segno. Un film importante, difficile, duro ma che, contrariamente al solito Woody Allen comico, lascia spiragli positivi per il futuro, come dice Mereghetti, infatti, è uno dei pochi film di Allen dove “un cura psicoanalitica si conclude positivamente”; e questo, per il regista newyorkese, non è affatto poco…

La lettura psicoanalitica

  • Il titolo ha già molte risonanze: per esempio nel corso del film Marian, la protagonista,  diventa un’altra donna, tanto che alcuni critici hanno parlato di questo film come dell’unica analisi riuscita di Woody Allen.
  • Una prima notazione riguarda la voce di Marian; la donna inizia a raccontarsi da quando le arriva la voce di una sconosciuta, aldilà del muro del suo studio. Abbiamo l’impressione che prima di questo incontro casuale non ci sia stata alcuna narrazione, che Marian non si si sia mai parlata, tra sé e sé, delle sue esperienze e, soprattutto, non si sia saputa ascoltare.
  • Sappiamo, invece, che tutti, per evolvere, abbiamo bisogno di organizzare le spinte emotive che ci premono da dentro, caotiche, disordinate, eccitanti e che incutono a volte paura…. abbiamo bisogno di intessere queste spinte in una trama che le connetta e le faccia diventare personali, così che ciascuno riesca a costruire la propria storia. Si tratta di questo, nella vita come nel film, di mettere in una storia personale la propria esperienza intima.
  • Marian avvia la sua auto-narrazione incrociando un’altra voce, un’altra donna, che è, appunto,  a differenza di lei, già impegnata a narrarsi. Si tratta di sviluppare un ascolto volto al proprio mondo interno, un ascolto del proprio dialogo interiore per cercare e donare un senso alla propria esperienza. Questa è in fondo l’eredità psicologica che possiamo lasciare ai nostri figli, la curiosità e la passione di dare un senso all’esistenza.
  • Per diventare un’altra persona Marian deve incrociare il suo cammino con quello di altre donne, ciascun incontro le porta aspetti di sé, un po’ alieni, sconosciuti, talora inquietanti, insomma qualcosa di sé che deve cogliere e accogliere per evolvere…..
  • Incrociare un’altra donna significa innanzitutto, come nel film, incontrare la propria curiosità e un po’ il proprio voyerismo infantile verso la madre e verso le sue vicende (metafora della natura, del mondo, del nostro destino di umani)
  •  Marian sembra essersi interessata assai poco alla madre….. al senso che un’altra donna è stata in grado di dare alla sua vita…….. Ora, adulta, Marian è attratta dalla stanza di analisi, desidera penetrare nella stanza dell’analisi, si appropria della sua fantasia di penetrare nel corpo/mente della madre per scoprire cosa c’è, quali bambini/fantasie/pensieri si possono trovare.
  • Ascoltare Hope, l’altra protagonista del film, interpretata da Mia Farrow (al tempo realmente incinta di Woody Allen) è come indagare, nel corpo della madre, quel dolore che non aveva mai ascoltato. Ma è anche come ascoltare una serie di aspetti di sé, della sua vita fino ad ora condotta, che riguardano l’angoscia, le scelte sentimentali, un vago desiderio di maternità che ora si fa vivo forse per la prima volta, un bisogno di elaborare la decisione dell’aborto. Hope potrebbe essere persino la figlia che non ha fatto nascere………
  • Incrociare il suo cammino con quello di altre donne per Marian significa anche uscire dall’universo monoparentale nel quale è vissuta, una famiglia dove, dal punto di vista psicologico,  c’è un solo genitore, un solo polo identificatorio: il padre. Marian è una bambina molto in linea con i desideri paterni, intellettuale, come lui, di successo come lui, controllata, senza grilli per la testa, composta e determinata… A un certo punto il padre dice: non ti ho dato tenerezza……….
  • Freud ha parlato spesso di tenerezza: per lui è una linfa emotiva, è quel movimento con cui ci protendiamo verso l’altro cogliendo le “sue” diversità, è come sporgersi verso il bambino, verso il paziente, verso il partner, verso l’amico, rispettando che egli “non“ sia il bambino che avevamo in mente, ma un altro, un individuo sconosciuto e in parte sempre opaco. 
  • Il padre di Marian non tollera il figlio maschio, è troppo diverso da lui, si compiace della figlia che è “come lui”. Questo ci parla di una scissione tra la corrente sensuale (che vuole ottenere,  soddisfazione e piacere, che chiede all’altro di essere corrispondente ai propri desideri) e la tenerezza. Anche le peripezie della coppia genitoriale appena evocata sono all’insegna della scissione. Freud ipotizza che questa scissione sia alla base di disturbi sessuali della vita adulta. Per i maschi sarebbe all’origine della sex degradata, (dove amano non sono eccitati e dove sono eccitati non amano) e per le femmine sarebbe origine della frigidità, una frigidità generale che le rende insensibili al desiderio.
  • Ecco la nostra Marian, come la cogliamo all’inizio del film, una donna molto timorosa delle emozioni perché queste possono scomporre la fitta  e complicata treccia con cui doma I suoi capelli……….i suoi desideri e la sua eccitazione che solo Gene Hackman risveglia suscitando la sua paura. 
  • Accogliere le emozioni vuol dire approntare un dialogo interiore in cui esse possono prendere un nome e un senso, possono essere elaborate e sentite come proprie, come aspetti della propria esperienza e della propria personalità….. e non più, o non solo, come una spinta passionale impersonale, cieca, che può travolgerci.
  • La messa in storia di queste vicende emotive è anche il porsi nella catena generazionale, infatti la prima narrazione intorno cui ci impegniamo è la storia di Edipo, che racconta del trasporto appassionato e conflittuale verso i genitori e del percorso per emanciparsi da questa passione e individuarsi. I conflitti familiari sono degli organizzatori psichici.
  • Non vivere questi conflitti vuol dire non emanciparsi, costringersi in una sottomissione al modello che i nostri genitori rappresentano per noi. Lo “Svedese”, il protagonista del “Pastorale americana” di P. Roth, si trova del tutto impreparato ad affrontare le peripezie della vita, “con tutta la sua bontà, così accuratamente coltivata, come avrebbe potuto sapere che il prezzo di una vita obbediente era tanto alto? Ci si rassegna all’obbedienza per abbassare il prezzo, e invece…..” Ci si rassegna alla identificazione, a correre sugli binari dei genitori, per risparmiarsi il conflitto psichico e il lavoro per elaborarlo, e invece….. ci si ritrova come Marian, buona figlia di suo padre, che non poteva che compiacersi di lei, con l’impressione di nessuna realizzazione veramente personale.
  • Siamo nell’88, con il film, il romanzo di Roth è più o meno degli stessi anni e si riferisce al decennio precedente, anni ‘70….. e oggi? Anche oggi abbiamo l’impressione che i conflitti familiari, Edipo, non vengano avvertiti, narrati e pensati come svolte del proprio divenire, essi vengono piuttosto agiti, con violenza omicida, oppure negati, gettati nel silenzio psichico, così significano solo quello che significano sul piano concreto: lasciare il posto, mettersi al posto, prendere le cose, avere le cose, in un modo che appiattisce il senso di questi passaggi sui soldi, sul potere, sul benessere, sulla sicurezza……
  • Assistiamo oggi a una elusione dei conflitti psichici, a una mancanza netta di lavoro sulle proprie vicende interiori. Come mai? Credo che questo si possa ricondurre alla sensazione profonda dei giovani di non avere un futuro, “cosa faccio a fare la fatica di crescere e svilupparmi se poi non ho un avvenire?” sembrano chiedersi. Le giovani generazioni non vedono che senso potrebbe avere connettersi con le vecchie generazioni: questa connessione offre una traiettoria che conduce dal passato al proprio futuro. Ma oggi,  dove condurrebbe, verso quale futuro?
  • Però si fa un gran parlare della mancanza di passioni e di progetti dei giovani, di una loro demotivazione generale, ma io penso che anche noi, le vecchie generazioni, abbiamo la sensazione che non c’è futuro, e non solo perché abbiamo dinnanzi l’invecchiamento e la morte, ma per un pericolo vago e incombente di una fame catastrofica.
  • Ma quale potrebbe essere il segnale di questa paura degli adulti? in cosa essa si manifesterebbe? Credo nella corruzione, oggi così invischiante e pervasiva, credo che essa ci parli proprio di una perdita di fiducia nel futuro, dinnanzi al quale c’è l’assalto ai forni, l’accumulo di false sicurezze, soldi soprattutto e potere, un accumulo a qualunque costo per sé e per i figli.
  • La corruzione appare come un modo di salvarsi in termini privati, familistici, mettere al riparo il clan…..
  •  Non è un caso forse che negli stessi anni Woody Allen realizza altri film, quasi contemporanei a questo intimista e bergmaniano, “Pallottole a Brodway”, “Crimini e misfatti”, via, via fino a “Match Point”, dove illustra i tanti modi, tutti corrotti e privati, di salvarsi.
  • C’è uno spartiacque tra quegli anni e i nostri che ha molti significati, su cui dovremmo fermarci a pensare ogni tanto. 

Cari amici, speriamo di avervi interessato e incuriosito. Procurarsi il film non è difficile e poi commentare qui di seguito … sarà un piacere!