La teoria del gelone

Pubblicato il 1 Febbraio 2010 in , , da Clementina Coppini

Inizia, con questo testo, una nuova rubrica di commenti,  punto di vista di noi senior, genitori e  nonni. Uno sguardo disincantato e anche un po’ ironico sui problemi della nostra società. Senza strilli o acredine, ma non la giusta severità di chi ne ha viste molte in giro!

LA TEORIA DEL GELONE di Clementina Coppini

Novità: qualcuno nelle alte (si fa per dire) sfere della politica si è avveduto di come ci siano giovani, denominati bamboccioni, che si fanno mantenere fino a quarant’anni. Ma davvero? Allora cosa si fa per risolvere il problema? È ovvio, lo Stato deve dare loro un po’ di soldi per farli continuare a vivere a spese altrui (recente proposta Brunetta. ndr). Una soluzione davvero brillante.

È come dire che, siccome ho l’ulcera, è arrivato il momento di mangiare tutti i giorni panetti di burro impanati e fritti nello strutto così mi passa. Magari passa veramente, perché la vita è fitta di mistero. Può essere, invece, che ciò non accada. Comunque istintivamente, soffrendo di ulcera, mangerei qualche risottino lessato in più e qualche patatina fritta in meno.

Invece è stata avanzata l’ipotesi di dare i soldi ai perdigiorno al fine di agevolare un loro rapido inserimento nella società. Se non ho capito male è stato fatto il seguente ragionamento: qualora un individuo temporeggi per anni all’università senza ultimare gli studi, lo Stato gli fornirà un appannaggio e in virtù tale obolo tale soggetto troverà l’orgoglio per giungere alla sospirata fine degli studi.

Sorge una domanda: per caso di recente la logica è passata di moda unitamente al buonsenso? Perché uno che ha già dimostrato di voler procrastinare il raggiungimento dell’età adulta dovrebbe crescere all’improvviso in quanto sovvenzionato senza alcun titolo di merito o di necessità? Qualcuno di voi ha mai conosciuto una persona pigra e demotivata che abbia ritrovato la volontà e la dedizione vivendo di comodità e privilegi?

 

Sono stata uno studente lavoratore, che si è pagato gli studi classici facendo la cassiera in un supermercato privo di riscaldamento. Lì non ho imparato lì il valore dei soldi, perché lo conoscevo già, ma in compenso ho preso i geloni alle mani, appreso la somma utilità del calorifero e trovato le motivazioni per laurearmi in fretta, perché non volevo avere i geloni anche ai piedi. Il gelone, quello sì che è un’ottima motivazione, un valido sprone allo studio.

 

Ma ora arriva il bello: quale sarebbe il salvadanaio da cui attingere i fondi necessari per finanziare la bella intuizione, quale il maialino da rompere? Facile, la risposta è il pensionato, il quale evidentemente è come il maiale, perché di lui non si butta niente. L’iniziativa potrebbe avere una sua ragionevolezza, se fossimo una società con un ricambio generazionale sensato, nella quale gli anziani a un certo punto si rilassano e vengono accuditi dai più giovani, come hanno fatto loro in passato con i propri genitori. Peccato che non funzioni più così. Ora i pargoli restano tali fin dopo i trent’anni, e magari oltre. Sarà anche colpa dei vecchi (o presunti tali) che non vogliono accettare gli anni che passano, ma ci sono anche tanti giovani (o presunti tali) che si beano di farsi assistere fino a età imbarazzanti e inopportune. Non solo il genitore non può affidarsi serenamente ai figli che per tanti lustri ha accudito, ma nemmeno può starsene un po’ in santa pace una volta che i virgulti abbiano superato i limiti d’età, perché il virgulto non si decide a migrare verso nuovi orizzonti, non si evince dal nido e non considera che quel nido, ove gentilmente lo ospiti da decenni, è casa tua. Così si suppone che tu debba mantenere tuo figlio nonché elargire un obolo per mantenere l’altrui prole, che al pari della tua si impegna oltremodo nello scaldare le sedie delle aule universitarie. Tranquillo, loro non avranno il problema dei geloni.

Ti viene il sospetto che quando avrai bisogno non potrai contare né sui tuoi figli né sui tuoi risparmi né su un sistema che nel frattempo si è dimenticato di ricordarsi di te.