Gianburrasca va alla guerra

Pubblicato il 30 Agosto 2011 in , , da Clementina Coppini

La maestra del mio Alessandro gli ha assegnato come compito delle vacanze la lettura del “Giornalino di Gianburrasca”, diario in cui un bambino di nove anni racconta le proprie avventure più o meno edificanti, reso celebre dallo sceneggiato interpretato da una giovanissima Rita Pavone. Da bambina non ho letto tale opera, ma mi ricordo di aver intravisto qualche scena della riduzione televisiva, che tanto mi aveva irritato da spingermi a non cercare mai di approvvigionarmi il volumetto. Già che c’ero ho colto l’occasione per sbirciare qualche pagina e vi ho ritrovato intatto tutto il fastidio provato nell’infanzia. Alessandro non ha gradito il testo, e come lui i suoi amici. Dice che le cose che racconta Gianburrasca non sono interessanti, che un bambino della sua età non farebbe mai delle cose tanto stupide e soprattutto che sembra tutto finto.

Grazie alla recensione di un novenne finalmente ho capito cosa non mi piaceva in quel testo: suona costruito, e a furia di forzature il personaggio finisce per diventare una macchietta. Inoltre Alessandro, che ha trovato il libro soporifero, è rimasto turbato da un episodio, quello in cui Gianburrasca abbandona una bambina in un bosco durante un gioco e poi non si parla più di lei. Si è detto invece inorridito di fronte al racconto di quando il simpatico birbante, improvvisatosi Guglielmo Tell, sbaglia mira e, al posto di centrare la mela in testa a un prestigiatore, centra l’occhio del prestigiatore medesimo, accecandolo.

Ale non si spiega come cento anni fa – il libro è uscito a puntate sul Giornalino dei Piccoli a partire dal 1907, ma ha visto la luce come libro nel 1912 – qualcuno potesse trovare divertenti cose così cattive.

Sicché o in Gianburrasca c’è molto umorismo nero oppure all’epoca c’era una minore sensibilità nei confronti del politically correct nella letteratura per l’infanzia. Il che da una parte è un bene, perché leggere serve a svegliarsi e non a imbambolarsi come invece pensano certi editori, ma dall’altra è un male, perché non si deve andare in giro ad accecare la gente.

Finita la lettura la maestra ha dato come compito di fare una scheda descrittiva e un commento personale. Una recensione, insomma. Da giorni Alessandro dibatte con i compagni di classe circa la questione se sia o meno opportuno dire che non è piaciuto. Interpellata a proposito, nel mio piccolo ho consigliato ai bambini di esprimere liberamente il proprio parere, cercando di dire opinioni sensate.

All’inizio avevo criticato l’iniziativa dell’insegnante di assegnare in versione originale un libro del ’12 piuttosto superato, poi, vedendo il fermento nato intorno all’opera, ho capito che la signora Marina sa il fatto suo. L’operazione ha stimolato il dibattito e il senso critico, ha aperto una questione morale bambinesca e messo i bambini di fronte a coetanei di un secolo fa. Non è cosa da poco che qualcuno riesca a smuovere questa generazione di geni delle console elettroniche dai giochi veloci e complicatissimi a cui sono assuefatti. Con tutto il rispetto per la rapidità pensiero-movimento dei tasti che hanno questi bambini, l’obbligo alla lettura di un classico, per quanto fuori moda, infine apre la mente. Il fatto poi che non sia ritenuto il massimo della vita la apre ancora di più, perché motivare una stroncatura implica il saper spiegarne bene le ragioni del disappunto. Implica un passo avanti nella comprensione delle cose, nell’autocoscienza.

Onore al merito quindi alla signora maestra che ha saputo assegnare un compito controcorrente in un mondo educativo dove tutto è predeterminato e predigerito. Tra l’altro Alessandro ha da poco letto tutta la serie intitolata “Diario di una Schiappa”, il cui protagonista, Greg, non è un problematico bambinetto scervellato, bensì un ragazzino conflittuale e svampito. Stessa cosa, aggiornata ai nostri tempi. Tra l’altro Gianburrasca fu ispirato all’autore, Vamba, da un analogo libro di un’autrice americana. “Diario di una schiappa”, a differenza di Gianburrasca, Alessandro l’ha trovato esilarante, e in effetti fa parecchio ridere. Ma senza Gianburrasca “Diario di una schiappa” non avrebbe ragione di esistere, e iniziare a comprendere questa continuità nella vita e nello scrivere è un grande passo avanti, per un bambino. Ora non sa a cosa gli serve quello che sta facendo, ma un giorno capirà, perché il gusto si costruisce avendo come fondamenta il bello e il brutto, ciò che si è amato e ciò che si è detestato. Concetto elementare, come la scuola frequentata dai bambini di quarta.

Gianburrasca all’inizio dice di essere nato nel 1897. Ho fatto notare ad Alessandro che, a ben vedere, questo bambino così antipatico potrebbe essere andato in guerra prima dei vent’anni, o anche dopo i quaranta. Ale ci ha pensato su e poi mi ha detto che gli faceva quasi tenerezza vederlo giocare spensierato, leggere delle sue marachelle, sapendo quello che aspettava al varco lui e i suoi compagni di scuola. Anch’io mi chiedo se il ragazzo è partito per il fronte, se è tornato. Morale: qualsiasi età si abbia, alla fine i libri in un modo o nell’altro fanno venire voglia di pensare.