“Sto diventando vecchio. Non so com’è né che cosa si prova, perché è la mia prima esperienza”

Pubblicato il 4 Febbraio 2019 in , , da Marina Piazza
vecchiaia

Come già ho detto in interventi precedenti, questa è l’età in cui ci dobbiamo confrontare con la fragilità che aumenta. Che percepiamo, anche se a volte, soprattutto nei primi tempi, cerchiamo di nasconderla agli altri, navigando tra due opposti sentimenti e atteggiamenti. Da un lato la sottovalutazione di ciò che  invece percepiamo e la tentazione di dirci che non sta accadendo niente e che quindi è inutile – e persino controproducente – chiedere aiuto, affidarsi agli altri perché ci portiamo dentro il senso di onnipotenza che ci fa pensare che solo noi riusciamo a fare tutto, a pensare tutto, a rimediare a tutto, a rattoppare tutto. Dall’altro lato la reale difficoltà a chiedere aiuto, per timidezza, per pudore, forse anche perché pensiamo che gli altri non siano all’altezza di fare ciò di cui avremmo bisogno. In questo intersecarsi di pensieri e di sensazioni spesso ci disperiamo, pensando che siamo irrimediabilmente sprofondate nelle avvisaglie della demenza senile, dell’Alzheimer.

Forse invece potrebbe tornarci utile  la volontà, anche umile, di saperne di più, di  dotarsi di qualche conoscenza in più, di qualche accorgimento pratico per arginare la percezione di fragilità. Un esempio che mi pare calzante è la sensazione che credo ciascuno/a di noi abbia provato nel corso della sua vita, ma soprattutto ora, di non riuscire a fare fronte all’emergenza sanitaria, di non avere strumenti conoscitivi appropriati per definire la gravità o meno dell’incidente accaduto. In casa (sono scivolato/a sul tappeto e non riesco a rialzarmi…ho battuto la testa, ecc. ecc.) In strada (sono caduto/a ma provo a rialzarmi, ecc. ecc.)

E invece bisogna fare qualcosa noi per primi. Imparare a proteggerci. Ad esempio inserendo nel cellulare  una App legata al 112 che segnala immediatamente la posizione di chi chiama, in modo da non dover cercare il numero appropriato e non dover spiegare dove si è e che cosa si ha, in attesa dei soccorsi. Sapere quanto è grave il sintomo: se è necessario chiamare un’ambulanza o se è sufficiente andare al pronto soccorso (con il cell. carico e una bottiglietta d’acqua per far fronte alle inevitabili attese). Se è conveniente rivolgersi alla guardia medica di sabato/domenica e di notte (mettere il numero tra i preferiti), se è molto utile non avere il Pin sul cellulare in modo che chiunque possa chiamare se non siamo in grado di farlo noi e nella confusione del momento ci è anche sparito il numero dalla memoria, se è buona cosa avere tra i preferiti i numeri di persone da chiamare, ….

E poi, verificare che la serratura della propria casa possa essere aperta dall’esterno, lasciare una copia delle chiavi della porta di casa a vicini, portinaio . Tutte cose apparentemente banali, ma che forse possono contribuire  a diminuire il panico.

Questi utili  accorgimenti  sono messi in evidenza in un opuscolo elaborato da un gruppo di lavoro di donne milanesi e fatto proprio dal Comune di Milano, all’interno del progetto “Invecchiare in una città amica” L’opuscolo è stato presentato in forma cartacea il 1 febbraio al Forum delle politiche sociali, ma è visibile on line sul sito del Comune di MilanoIl gruppo di lavoro sta anche elaborando altri opuscoli : sulla difficile situazione economica che può presentarsi in vecchiaia e sulla possibilità di individuare strumenti appropriati per farvi fronte, sull’alimentazione, sulla condizione dell’abitare ecc. Piccoli aiuti, ma forse necessari per una prima acquisizione ( e possibile superamento) della sensazione di fragilità che accompagna l’inoltrarsi in quel territorio sconosciuto che è la vecchiaia. Come dice  ridendo il grande scrittore Murakami Haruki, che ha appena compiuto settant’anni:” Sto diventando vecchio. Non so com’è né che cosa si prova, perché è la mia prima esperienza”.