Grey revolution: come eravamo non basta più

Pubblicato il 1 Giugno 2021 in , , da Marina Piazza

Adesso che abbiamo fatto i primi passi fuori dal convento (il primo cinema: ci eravamo quasi dimenticati l’emozione di vedere un film in un cinematografo vero, proprio quel film che volevamo vedere e che aspettavamo; e il piacere di incontrare un amico/a per caso, in coda per i biglietti e poi andare insieme a prendere il primo aperitivo seduti all’aperto a un tavolino del bar vicino…) cominciamo anche a interrogarci su quale aspetto di noi vedono gli altri, quelli che in questi mesi non avevamo visto di persona, ma nemmeno on line, solo sentito. E prima ancora di guardare il nostro aspetto, vediamo quello degli altri. Chi è quella persona dai capelli bianchi che mi si avvicina, che riconosco nonostante la mascherina, ma che ha qualcosa di strano che non riesco subito mettere a fuoco?

Che cosa è cambiato in lei? Ecco, ci sono, non ha più i suoi capelli rossi, ma una testina ben acconciata, corta, tutta bianca. E come lei, tante altre. In questi mesi è avvenuta una piccola rivoluzione. E’ saltato il rito automatico di andare dal parrucchiere e tenere sotto controllo la ricrescita. E piano piano sono emersi i capelli grigi o direttamente bianchi e non solo abbiamo apprezzato l’allontanamento dalla schiavitù della tintura, ma ci sono persino piaciuti. Siamo entrate nella grey revolution. “All’inizio mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo più. Ero un’altra, ma quella nuova altra mi piaceva” dice una delle convertite. Ha dato una spinta anche un certa propulsione, in atto ancora prima del lockdown, a sottrarci al condizionamento dello sguardo altrui e rivendicare la libertà di fare quello che ci pare con i nostri capelli. E’ diventata persino una moda. Ma al di là della moda, sottrarci a una costrizione procura un po’ di felicità, un primo passo verso l’accettazione di sé.

Un primo di tanti altri passi: accettare senza disperarsi di buttare pantaloni e vestiti che solo l’anno scorso andavano bene perché in questi mesi siamo anche ingrassate, verificare che avremmo bisogno di rinnovare l’abbigliamento e non ne abbiamo poi tanta voglia, ci sembra di avere comunque già quello che è necessario…., A ognuna il suo. Al di là dell’immagine, abbiamo anche verificato segnali più profondi, come segni sul corpo, non sulla sua immagine, ma sulla sua funzionalità. La scarsa mobilità ha impresso segni forti: appesantimento, rigidità della schiena e delle gambe, dolori articolari diffusi. Il corpo si è irrigidito, è diventato legnoso, ha mostrato tutte le defaillances precedenti rese ora evidenti, e spesso percepite come irreversibili.

E sulla psiche analoghe cadute. Perché sappiamo che il potere del virus è stato feroce, ma quasi ci vergogniamo a soffermarci troppo, a farne tema di riflessione e spesso di vittimismo. Perché sentiamo e vediamo quello che succede nel mondo, accanto e oltre il virus. Registriamo, ma è come se una sorta di pigrizia emotiva si fosse impadronita di noi. Ci chiediamo come possono sentirsi quelli che convivono con le bombe a Gaza, i bambini morti e abbandonati sulle spiagge della Libia, il migrante suicida. Ce lo chiediamo e poi procediamo oltre perché ci siamo assuefatti alle immagini della sofferenza.

Adesso ci saranno le vacanze, a loro affidiamo un possibile riscatto che ci faccia superare questa fase di ritrovata libertà, ma intrisa ancora di immobilità e di inerzia psichica. Ma a settembre, come saremo? Ritorneremo capaci di interessarci ai temi che ci sono sempre stati cari, saremo ancora capaci di scrivere, di comunicare, di parlare? Saremo ancora capaci di divertirci ? Di riconoscerci per come ci sembra fossimo prima del Covid?  Di ricordarci quelli che ci sembrava fossero dei piccoli pilastri di noi stessi? O invece ci vedremo diversi, perché sappiamo che niente sarà più come prima? Non lo sappiamo, vedremo…