Auguri per l’anno appena cominciato

Pubblicato il 2 Gennaio 2021 in , , da Marina Piazza

Difficile fare gli auguri in questo inizio d’anno: troppo bruciati dall’esperienza dell’anno che ci siamo lasciati alle spalle, dalle scorticature che hanno inciso sulla nostra psiche e sul nostro corpo. Incerti e diffidenti rispetto alle proposte di una risoluzione a breve termine, sconcertati dal teatrino della politica, che sembra immersa in un vuoto fatto di nebbia e di egoismi particolari. Ma qualche sprazzo di apertura dobbiamo trovarlo per farci gli auguri per un nuovo anno che porti un po’ di clemenza.

Auguri a chi? E quali auguri?

Certamente ai ragazzi, agli adolescenti, ai giovanissimi. Tutti privati del rapporto con l’altro, tutti rinchiusi per mesi nell’ambito familiare, tutti (non tutti, alcuni- molti- privati anche di questo) alle prese con lo schermo come unico sbocco verso l’esterno, ad ascoltare una lezione fredda, peggio ancora delle lezioni ex cathedra della vecchia didattica. “Una scuola digitale che qualcuno osa anche chiamare svecchiamento o modernizzazione mi fa una paura da far paura” scrive Paola Mastracola. Noi non ci siamo occupati di questi problemi, noi ci siamo posti sul piano della surrealtà, ci siamo occupati di banchi….e mentre si è detto che non sono le scuole il nodo del contagio, non si è fatto nulla concretamente per i trasporti, per gli orari indifferenziati. Ora si dice che torneranno a scuola il 7 gennaio, ma non è sicuro, si vedrà….  Allora l’augurio è di tornare a scuola, di vedere, incontrare, “sentire” i corpi, le facce dei compagni e dei maestri e professori.

E poi, altrettanto certamente alle donne, che sono passate dalla glorificazione (le eroine di una sanità slabbrata) alla condizione di vittime: hanno perso il lavoro più degli uomini,  non possono far fronte alla grande innovazione dello smart working  perché pressate dal lavoro di cura familiare, sono state ancora di più sottoposte a violenze, e altro ancora Si è detto che non si deve tornare alla normalità perché la normalità era il problema, ma per le donne non solo si rischia di tornare alla normalità, ma persino di tornare indietro. E  non serve tamponare qualche falla, qui si tratta di ripensare l’intero sistema dell’organizzazione sociale, culturale  e economica che gli uomini hanno messo in piedi,  si tratta di sviluppare una società più vicina ai bisogni e ai desideri di donne e uomini. Un completo rovesciamento del sistema di welfare e dell’organizzazione del lavoro. Che forse potrebbe anche rimettere in moto la fiducia necessaria per fare un figlio.

E poi, ancora di più ai dimenticati e ai sommersi, ai migranti che in questi giorni stanno nei boschi della Bosnia, al freddo e alla neve, senza tetto, senza coperte, a tentare il “gioco” di oltrepassare i monti per arrivare in Croazia, dove trovano le guardie armate che li denudano, li spogliano di quel poco che hanno e li ricacciano indietro.

E anche a quei sommersi che vivono tra noi, che hanno perso il lavoro che era già precario e spesso in nero, e si mettono in fila per arrivare alla Caritas o a qualche altra associazione per avere un po’ di cibo da portare a casa.

E poi a tutti noi che il prolungarsi della solitudine, persino l’abitudine all’isolamento, la mancanza di relazioni  possono spingerci a rinchiuderci nella nostra  sofferenza, a non accorgersi più degli altri.

Forse ci eravamo illusi durante la prima ondata, forse un po’ obnubilati dalla retorica dei balconi, delle belle ciao, dei concertini nei cortili, ma anche sostenuti dal partecipare a un sforzo collettivo al termine del quale si intravvedeva la speranza che tutto sarebbe finito, tutto si sarebbe risolto, che c’era lui, il nemico che doveva essere sconfitto.

In questa seconda ondata la speranza si è affievolita. Come in una sorta di magia nera, questo secondo lockdown, molto più del primo, ci ha rivelato la trama contorta dei fili che stanno sotto il tappeto sociale. E sono emerse le trame nascoste dell’incompiutezza, della disattenzione, della mancanza di vere riforme. Abbiamo scoperto che sotto il vestito non c’era niente. E la delusione non ci ha reso migliori. Allora l’augurio forse è quello di sperare che ci abbia reso almeno più consapevoli, tutti e ciascuno.