Molta informazione, scarsa conoscenza

Pubblicato il 1 Ottobre 2020 in , , da Giorgio Landoni

Le recenti vicende legate alla pandemia di Covid 19 offrono lo spunto per osservare una contraddizione non trascurabile, che richiede qualche spiegazione Naturalmente si tratta, come sempre, di un’impressione personale.

La contraddizione consiste nel fatto che se da un lato riceviamo una mole notevole di informazioni, di dati che si accumulano in modo continuo, superiore al solito, le nostre conoscenze su una situazione, sulle sue cause, sulle sue possibili evoluzioni restano  scarse e confuse.

Sull’altro versante, però, l’afflusso di dati continua senza sosta,  quasi a dare per scontato che questo accresca la nostra conoscenza.

Per un analista, questo ricorda singolarmente la situazione che si registra di continuo, quando una persona che presenta un malessere qualsiasi si preoccupa soprattutto di  accumulare parole su parole pensando evidentemente di spiegare qualcosa.

Sorge allora la domanda: al di là di quello che viene detto, al di là dell’informazione, chi sta veramente parlando? Chi é la persona che parla? Chi fornisce l’informazione e a che scopo?

Informare, dare e ricevere notizie

Uno slogan, la “completezza dell’informazione”, sembra collegare, in un rapporto automatico, informazione e conoscenza. Ma è veramente così?

La parola informazione designa uno dei grandi temi del nostro tempo. Nel Vocabolario Treccani della Lingua Italiana, l’informazione é definita come l’azione dell’informare ossia del dare o ricevere notizie, intesa come la possibilità di accedere liberamente alla verità attraverso i mezzi che interpretano e formano la pubblica opinione.

Questa frase molto densa collega l’informazione a elementi fondamentali della nostra vita, la verità e  la libertà della quale, anche grazie a essa, usufruiamo in misura senza dubbio maggiore di quanto non accadesse in passato.

Nell’idea di “formare un’opinione” appare poi anche un concetto estremamente interessante: la forma.

Vi sono anche altri modi più specifici di trattare la parola, ma essi esulano dal nostro obiettivo che riguarderà invece i tre termini appena indicati.

Vorrei provare a indicare alcuni fattori che non sempre sono tenuti in considerazione.

Conquistare verità e libertà

La libertà di informazione si é affermata come diritto umano dopo la seconda guerra mondiale quando, in varie conferenze delle Nazioni Unite, si stabilì che una delle cause delle guerre risiede nel fatto di non assicurare agli uomini l’accesso alla verità attraverso mezzi di informazione non sottoposti al controllo della censura ossia del potere.

Espressi dalle due potenze uscite massime vincitrici dal conflitto si confrontavano due modi di pensare che ponevano un contrasto di fondo:

  • da un lato si pensava che l’accesso all’informazione fosse un presupposto della libertà e che quindi la libertà di informazione fosse doverosa per costruire una società libera. Di conseguenza si voleva affidare al libero contrasto delle idee e alla diffusione delle fonti di informazione il formarsi della pubblica opinione;
  • dall’altro si riteneva invece di affidare allo Stato il compito di formare l’opinione pubblica, usando l’informazione come mezzo per raggiungere determinati scopi, formando e indirizzando la coscienza della società tramite mezzi di comunicazione sottoposti al potere politico e da esso dipendenti.

Nel primo caso la libertà di informazione, legata alla ricerca della verità, era considerata parte del diritto di ognuno di esprimere le proprie opinioni, nell’altro invece la libertà era esclusa dal novero dei compiti dell’informazione.

Se invece di limitarsi a un confronto di politici e politici, diplomatici e diplomatici, militari e militari delle due parti fra di loro, si fosse osservato il modo in cui funzioni sociali diverse sono svolte da tipi umani analoghi, si sarebbe forse potuto notare che esistono corrispondenze più sottili di quelle meramente tecniche fra individui e ruoli da essi ricoperti. Ma ambedue le parti pensavano piuttosto ingenuamente che si potesse trascurare lo sfondo emotivo che indirizza scelte e comportamenti degli esseri umani. I riferimenti psicologici dell’epoca parlano chiaro: tutto é comportamento, le emozioni sono trascurabili, la storia delle persone non conta.

Oggi si constata che le cose non stanno solo così: l’informazione non é mai pura ma é sempre ”l’informazione per”, come diceva Lévi Strauss, essa risponde sempre a un’intenzione personale ossia mette in gioco i nostri impulsi emotivi più profondi, più soggettivi.

Informiamo su ciò che ci interessa e ci informiamo di quello che ci interessa: i nostri desideri stanno sempre in primo piano. Nel campo dell’informazione, ma certo non solo in esso, la completezza é dunque solo un ideale.

 

Limiti e contraddizioni

Da un lato vi é un limite alla nostra capacità  di utilizzare le migliaia di stimoli sensoriali che riceviamo ogni giorno che ci costringe a operare delle scelte scartandone sempre una parte, dall’altro vi é una censura, parola che indica in genere un potere limitante basato sulla forza dell’autorità, spesso una prepotenza, Non esiste però solo la censura esterna, quella dell’autorità pubblica, ma ve ne é anche una molto più efficace perché interiore, quella che ciascuno di noi esercita su se stesso. Capita a tutti di girare la testa da un’altra parte quando ci perviene una notizia che ci disturba oppure se vogliamo ignorare un’idea che ci é venuta in mente ma non ci fa piacere o ci turba.

Questi limiti indirizzano la nostra possibilità di conoscere nel senso che la conoscenza consisterà in una selezione degli aspetti veri di una certa realtà i quali spesso coincidono con le caratteristiche del nostro modo di pensare e quindi non ci disturbano.

Qualcuno si spinge a sostenere questo paradosso: l’essere umano ha bisogno della verità per crescere, ma non la sopporta, non é fatto per essa. Forse non ha tutti i torti: per esempio le verità problematiche non danno piacere e in genere cerchiamo di evitare quello che non ci piace. Il problema é poi che le cose non sono sgradevoli, oppure gradevoli, per tutti allo stesso modo.

Come scriveva Chateaubriand: ”Ognuno di noi porta in sé un mondo composto da tutto ciò che ha visto e amato (o detestato, aggiungerei) e nel quale rientra continuamente anche quando percorre e sembra abitare un mondo estraneo”.

I presupposti delle conferenze postbelliche oggi non sembrerebbero più così indiscutibili. Se pensiamo all’idea di libertà in nome della quale si pensa di informare, la questione della verità passa spesso in secondo piano e allora il legame fra le due appare molto meno solido di quanto non si pensasse in origine. Le fake news, informazioni false perché riferite a realtà inesistenti, ne sono un esempio evidente.Vogliamo eliminarle in nome della verità? Siamo costretti a limitare la libertà. Ne manteniamo la possibilità in nome della libertà di espressione? Forse la verità non é poi così importante per la libertà.

In fondo uno degli scopi dell’attività censoria potrebbe anche essere quello di evitare questo genere di contrasti eliminando uno degli elementi in contrapposizione.

Comunicare per informare

Comunicare e informare sono dunque strettamente collegati. Per comunicare un’informazione usiamo dei segni che possono assumere varie forme: lettere di un alfabeto, cifre, onde elettromagnetiche, suoni, impulsi termici, nuvole di fumo e altro ancora. Affinché un segno funzioni da comunicazione, affinché esso informi, esso deve quindi assumere una forma. Questa lo collega a un codice: l’alfabeto europeo é un codice che dà senso a dei segni, il che ci permette un’operazione chiamata lettura.

Per comunicare qualcosa, ossia per diventare informazione, qualsiasi segno deve assumere una forma che gli é data da un codice, da una regola, da una legge insomma. Questo, per quanto necessario, non esaurisce il problema dell’informazione perché al di là della forma, riceviamo i  segni e i segnali che riceviamo contengono una carica emotiva che esprime in modo chiarissimo molte informazioni su chi li invia.

Ciò accade sempre, anche nel caso dei messaggi che si vorrebbero più “oggettivi” cioé volti solo a informare sui fatti. É interessante come noi umani abbiamo la pretesa di possedere, chissà perché, la capacità di osservare e di giudicare le cose in modo oggettivo, talora detto anche scientifico.

La cosiddetta completezza dell’informazione corrisponde un poco a questa pretesa. Essa  manifesta lo sforzo di poter fornire una conoscenza completa di qualcosa, per esempio dell’andamento della pandemia la quale é un fatto reale.

Ciò che non é reale, che non esiste se non sul piano della nostra immaginazione, che non possediamo, é la nostra obiettività, ma trattare questo punto richiederebbe una lunga esposizione.

Progresso tecnico e progresso emotivo

Naturalmente nessuno avrebbe potuto prevedere gli sviluppi della tecnica negli ultimi decenni. Persino certe parole come “tecnologia” sono un’invenzione molto recente. É una fortuna che questi progressi ci forniscano strumenti in grado non solo di sapere qualcosa su quanto sta accadendo intorno a noi, ma anche di tenere con facilità relazioni costanti e confortanti, per contrastare sentimenti di abbandono e di solitudine sempre pronti a irrompere nella nostra vita.

Tuttavia, a fronte del grande progresso della tecnica, che ne é del progresso emotivo che dovrebbe proteggerci dal rischio di farci la guerra? Si é provato a chiedere a un certo numero di persone se i progressi della tecnica le hanno rese più felici: in genere la risposta é negativa pur con varie sfumature. Si é anche chiesto alle stesse persone se le catastrofi che ci colpiscono le rendano più infelici e ancora una volta si é avuta una risposta negativa. I fatti esterni giustificano molto poco le opinioni di cui siamo portatori e però é verso di essi che noi ci rivolgiamo continuamente. La ragione é molto semplice. Finché si tratta di regolare le relazioni esterne dei gruppi umani, dei gruppi sociali, questo può avvenire con un certo successo attraverso la promulgazione di regole che chiamiamo leggi. Quando invece siamo chiamati a occuparci delle tensioni emotive sottostanti a queste relazioni,  possediamo pochi strumenti per farlo (anche se abbiamo cercato di procurarceli negli ultimi decenni) e quindi siamo in genere contrari a qualsiasi tentativo di andare oltre la facciata, oltre l’esteriorità. Tendiamo a rivolgerci all’esterno come se pensassimo che tutto sia sempre regolabile da fuori: per esempio, riteniamo che la conoscenza sia un fatto esclusivamente di dati che chiamiamo informazione.

É vero, ma solo in parte.

Non macchine, ma esseri viventi

In cosa consiste infine questa componente emotiva alla quale torno di continuo? di cosa é fatta? Gli artisti come sempre, arrivano prima, basti ricordare la breve citazione di Chateaubriand.

Ognuno di noi ha la propria storia, quindi ha ricordi diversi da chiunque altro, una memoria diversa che influirà sul modo di  manifestare il desiderio di comunicare, dunque di scegliere le cose da dire e la forma da dare loro per essere capiti e per capire. Usiamo le parole per dire le cose non necessariamente come esse sono ma per come vogliamo dirle noi. Nell’informare si manifesta sempre un desiderio in modo duplice. Da un lato la comunicazione é influenzata da quello che noi siamo, né potrebbe essere diversamente. Siamo costretti a scegliere e lo facciamo secondo modalità specifiche sia rispetto ai contenuti che alla forma in cui li presentiamo, che ci sono suggeriti dai nostri ricordi, anch’essi frutto di selezione. Dall’altro poi vi é un dato di fatto a cui non possiamo sfuggire, che esula dalla nostra volontà: nell’informazione, i buchi, i vuoti saranno sempre più numerosi dei pieni.

La costruzione del fatto da comunicare, il metterlo in forma, dunque l’informazione é frutto un’operazione da parte di qualcuno che deve dare forma comprensibile alla materia altrimenti bruta, confusa. Questa operazione intellettuale non ha nulla di oggettivo perché é solo la sua personale maniera di dare una forma a qualcosa che altrimenti resterebbe confuso, caotico. Trasmetterebbe solo confusione.

Il caos comunica solo se stesso: tra qualcosa che ha una forma e caos vi é un’incompatibilità completa. I nostri stati mentali sono fortemente influenzato dal modo in cui riceviamo le informazioni. Esse non ci danno solo conoscenza, ma  anche formano il nostro modo sentire e da lì quello di pensare. Non é un problema da poco se pensiamo che lo stato mentale dei gruppi di individui, gruppi sociali più o meno numerosi, indirizza poi le decisioni delle comunità, gli eventi pubblici. Praticamente tutte le attività umane appartengono al campo del funzionamento della mente. Esse parlano quindi del livello di sviluppo di una determinata mente e anzi possiamo tranquillamente dire: del suo livello di salute o di insanità mentale rispetto al caos che ci abita quando veniamo al mondo.

In conclusione

L’informazione non é necessariamente conoscenza e moltiplicare i dati non fa necessariamente ottenere migliori risultati da questo punto di vista. Questo é il senso del titolo che ho scelto

Si può certamente dire di tutto, ma per quanti sforzi facciamo, non si può e non si potrà mai dire tutto.

E forse é bene così.