Usa e Russia in Siria: verso un’azione coordinata?

Pubblicato il 7 Ottobre 2015 in , da Vitalba Paesano

Si stanno intensificando le voci che vorrebbero Stati Uniti e Russia prossimi a un accordo di coordinamento per le rispettive azioni aeree in Siria. Ma le ragioni di tensione tra i due paesi non sono certo scomparse. Da un lato, Washington ha teso la mano a Mosca proponendole di intensificare i colloqui su questioni tecniche, come l’uso di frequenze radio comuni, e accettandola così come interlocutrice essenziale anche dal punto di vista militare, non più solo diplomatico. Dall’altro, il Pentagono non ha mancato di criticare le azioni dell’Aeronautica russa, in particolare quelle che hanno generato preoccupazioni da parte di Ankara, alleato NATO cruciale nell’area. Parallelamente, il Cremlino ha fatto sapere di essere interessato alla proposta americana ma non pare disposto a subordinare le proprie priorità a quelle della coalizione che ha nelle postazioni dello Stato Islamico l’unico vero obiettivo militare. Ciò che vorrebbe Vladimir Putin, infatti, è in primis consolidare la posizione del regime di Bashar Al–Assad, un’ipotesi per ora respinta da parte della Casa Bianca, e solo in seguito allargare la campagna aerea all’Isis al fianco della coalition of the willing a guida statunitense.

Usa–Russia: cosa cambia con l’accordo di coordinamento?
Negli ultimi due anni le relazioni tra Mosca e Washington si sono rivelate particolarmente tese. Come rilevato da Gallup, non è un caso che l’opinione pubblica americana veda nella Russia il principale nemico degli Stati Uniti, più pericoloso per la propria sicurezza di Cina, Iran e Corea del Nord. L’accordo di coordinamento militare oggi in discussione sulla Siria, se raggiunto, contribuirebbe a riavvicinare i due paesi su una cruciale questione di politica internazionale. Nel settembre 2013, ancor prima dell’acuirsi della crisi in Ucraina, Washington aveva già riconosciuto l’influenza diplomatica di Mosca, che aveva mediato per smantellare le armi chimiche del regime di Assad. Oggi, l’accordo di coordinamento, anche se solo su questioni tecniche, ne legittimerebbe il ruolo militare e costituirebbe un riconoscimento a lungo cercato dal Cremlino che, seppur ridimensionato rispetto agli anni della Guerra Fredda, si percepisce ancora come un attore globale in grado di determinare le dinamiche politico–militari del sistema internazionale, a partire dal vicino teatro mediorientale.

Quale ruolo per la NATO?
La NATO non partecipa alle campagne aeree né in Siria né in Iraq ma non è del tutto da escludere un suo coinvolgimento diretto. Va però ricordato che l’Alleanza Atlantica può intervenire solo laddove venisse compromessa l’integrità territoriale o la sicurezza di uno degli stati membri oppure qualora si raggiunga un consenso unanime per intraprendere un’azione militare “fuori area”, come nel caso dell’operazione in Libia nel 2011. Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha prontamente criticato le recenti mosse dell’Aeronautica siriana e russa che hanno messo nel mirino velivoli di Ankara e effettuato incursioni temporanee nei cieli turchi. Resta tuttavia da vedere se il governo di Erdogan voglia invocare l’articolo 4 del Trattato che obbliga il Consiglio Atlantico a riunirsi per discutere eventuali contromisure politico–militari come avvenuto dopo l’abbattimento di un suo caccia da parte della contraerea siriana nel 2012.

Perché la Russia ha deciso di intervenire in Siria?
Alexander Dynkin, direttore del think tank russo IMEMO–Ras, illustra le ragioni che hanno spinto il presidente Putin a intervenire militarmente nella crisi siriana. In primo luogo, la Russia intende rilanciare la propria immagine come potenza internazionale capace di colmare il vuoto lasciato da Usa e Ue in una zona strategicamente fondamentale per gli equilibri del Medio Oriente. In secondo luogo, Mosca teme che molti dei jihadisti che ora si trovano in Siria, tra le cui file militano anche combattenti provenienti dal Caucaso o da altre repubbliche ex sovietiche, possano minacciare in futuro la sua sicurezza interna. Infine, i precedenti di Iraq e Libia rafforzano la tesi russa secondo la quale bisogna evitare a tutti i costi un vuoto di potere. (video)

Quanto costerà agli Usa un accordo con la Russia?
Per Gianluca Pastori, Università Cattolica, l’adesione della Russia alla proposta di coordinamento delle attività militari in Siria rischia di costare cara agli Stati Uniti, anche se il prezzo da pagare sarà soprattutto a lungo termine. Seppure implicitamente, la proposta di Washington rappresenta, infatti, il riconoscimento del ruolo regionale di Mosca e della sua condizione di partner legittimo nella (ri)definizione degli equilibri internazionali. Con essa ha fine l’ambizione di Washington a svolgere il ruolo di ‘potenza di riferimento’ nel Grande Medio Oriente, ambizione che risale, prima ancora che alla guerra del Golfo del 1991, alla ‘dottrina Eisenhower’ del 1957. Con essa ha fine la fase ‘neo-ideologica’ del confronto fra Stati Uniti e Russia, che proprio nella questione siriana aveva avuto uno dei suoi perni. Nella misura in cui si traduce nella legittimazione delle ambizioni di Putin di tornare a svolgere un ruolo di ‘grande potenza’, essa ripropone la logica delle sfere d’influenza adombrata nella ‘vecchia’ dottrina del ‘Near Abroad’ e sottesa alle ‘guerre di frontiera’ condotte dalla Federazione negli ultimi anni, che ha trovato il suo riconoscimento di fatto nella détente scattata intorno alla crisi ucraina.

Fonte ISPI

2 thoughts on “Usa e Russia in Siria: verso un’azione coordinata?

  1. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (1945) si delinearono nel mondo 2 grandi potenze, USA e URSS, un’altra potenza, la Cina, che sarebbe emersa successivamente come potenza economica e tante altre nazioni alcune delle quali si schierarono da subito, nolenti o volenti, con USA o URSS ed altre che altalenarono ed altalenano secondo scelte del momento.
    Praticamente per oltre 60 anni è andata avanti questa situazione di difficile equilibrio.
    Poi negli ultimi anni è nata una terza forza che destabilizzato la situazione e che nasce su basi religiose, ma si è evoluta in una direzione nettamente destabilizzante, pericolosa e praticamente senza controllo.
    L’ISIS ha coagulato intorno ad una terribile bandiera nera estremismi parareligiosi, politiche libertarie e soprattutto lo scopo di creare una repubblica islamica della quale IRAN di Komeini ed Ahmadinejad sono pallidi esempi di liberi stati religiosi totalitari.
    La situazione oggi è degenerata perchè non si è stati capaci di controllare quanto accadeva nel momento che in cui era ancora possibile farlo.
    La cultura politica degli stati moderni è che bisogna rispettare le libertà nazionali e che le guerre devono essere solo difensive quando qualche esterno non solo ci aggredisce e ci invade. Questa cultura idealmente bellissima purtroppo si scontra la dura realtà e più di una volta ….ci ha fatto arrivare in ritardo.
    Io non credo di essere un guerrafondaio, ma, come si dice a Roma, “quanno ce vò ce vò! o come diceva mia nonna “il medico pietoso fa la piaga putrescente”.
    E veniamo alla odierna situazione mondiale dove ISIS sta dilagando nel Medio Oriente, ha gli strumenti economici per farlo e non ha grandi remore morali per agire …fuori degli schemi moralmente accettabili.
    I governi degli Stati “occidentali” sono legati , fortunatamente, a schemi democratici e non se la sentono di prendere decisioni che una parte del loro elettorato, di destra o di sinistra non importa, non condivide forse solo per miopia politica. In questa situazione c’è uno stallo nel prendere decisioni.
    Il Governo della Russia, meno legato a regole elettorali, vede l’espansionismo dell’ISIS che diventa pericoloso perchè può avere adepti n molti degli stati ex URSS dove i mussulmani sono molto presenti e potrebbero fare scelte …sbagliate. In questa situazione la Russia decide di intervenire e lo fa autonomamente. In questo intervento chiaramente l’obbiettivo è di vincere su ISIS, ma senza aver paura dei cosiddetti danni collaterali, che, in qualche caso potrebbero anche favorire ex-alleati o possibili alleati.
    E gli Stati “occidentali” continuano a discutere. Speriamo che la discussione non sia lunga e che, soprattutto, non sia parziale come nel cado di Libia o Irak dove, dopo un intervento iniziale, per timore di essere accusati di interventi in stati nazionali, hanno avuto paura di un intervento definitivo e, per paura di eseguire una amputazione hanno permesso il dilagare del pus e dell’infezione.
    E chissa se ISIS non è l’effetto scaturito da quella infezione.

Comments are closed.