Nuovi bisogni. Dal “Novecento” a Mirafiori

Pubblicato il 9 Febbraio 2011 in , da Vitalba Paesano

Abbiamo tutto, pertanto non esistono più bisogni. I media drammatizzano sui consumi , in Italia tornati ai livelli del 1999 (secondo una recente analisi Confcommercio). Giuseppe De Rita sottolinea che compriamo meno perché abbiamo tutto. Ma – forse – bisogna aggiornare il significato della parola “bisogni”. Occorre ricensire le priorità, con la possibilità di aggiornarle sulla classica scala di Maslow. Se la città metropolitana e il territorio diventano luoghi sempre più centrali e desiderabili dalle persone, ciò significa che l’articolazione dei bisogni si sta spostando nel suo asse dal privato alla dimensione porosa e dispersiva del sociale. Significa che, in modo quasi impercettibile, si sarà più portati a desiderare esperienze da condividere con gli altri, piuttosto che prodotti da conservare o consumare nel chiuso della mura domestiche. Significa voglia di osservare e sperimentare sempre più in prima persona, meno in maniera mediata e mediatica, anche se (o proprio perché) si possiedono strumenti di convergenza tecnologica sempre più sofisticati. E significa anche più voglia di nuovo, di contemporaneo, di “stato nascente”. Ebbene, questi bisogni e questi desideri si realizzano nelle strade e nelle piazze delle città metropolitane prima di tutto, luoghi che favoriscono i touch point dell’apprendimento che – qualche volta – può diventare anche acquisto. In questo senso, per chi li vorrà censire, si scoprirà che esistono davvero nuovi bisogni (needs!) cui dover dare nuovi codici identificativi, bisogni non necessariamente concretizzabili in prodotti che si possono acquistare ad un determinato prezzo. I bisogni “stato nascente” sono, prima di tutto, spinte ad andare a vedere, a condividere, ad apprendere il prima possibile il “nuovo” dove diventa possibilità di stupirsi, di divertirsi, di intrattenersi, di respirare lo spirito del tempo. Ma non da soli, non nelle torri d’avorio dei felici pochi. Il carattere inedito di questi bisogni è la dimensione sociale, che non è di massa ma neppure d’élite. Una dimensione “specchio”, in cui piace vedere la propria immagine rispecchiarsi in quelle di individui come noi, ciascuno in grado di mantenere l’identità e di non diventare massa. E veniamo all’esempio: l’apertura del Museo del Novecento a Milano. Un contenitore non straordinario (qualcuno l’ha definito “l’altra Rinascente”) che tuttavia riesce ad attirare migliaia di visitatori in pochi giorni, tutti in fila al gelo per vedere “i tagli” di Fontana. D’accordo, l’entrata è gratis, ma le avanguardie del  Novecento non hanno mai smosso più di tanto. Che cosa cercano i duecentomila visitatori? Il contatto prima degli altri, l’emozione del nuovo che diventa bello negli occhi-specchio dei visitatori che spintonano, l’arricchimento dell’esserci stati tra i primi, da condividere sul lavoro dopo le vacanze. Tutto questo diventa una sorta di tappeto esperienziale che si innerva nei tradizionali consumi, intesi come atti d’acquisto. Tra le righe del giaccone Moncler (in saldo) e i “tagli” di Fontana esistono nessi che – forse – riusciremo a intravedere dopo aver visitato il Museo del Novecento; forse tra Boccioni con la sua città che sale e Prada con il suo abbigliamento che stupisce c’è un filo rosso. Milano, possiamo dire con Hemingway, diventa una festa mobile in gennaio, in cui si apprezzano quasi inconsapevolmente le avanguardie della cultura e dell’arte (che diventano bisogni). Gennaio si chiude con il referendum di Mirafiori, dove il nodo dei “nuovi bisogni” spicca in maniera drammatica (o melodrammatica nelle serate Santoro style). Mirafiori segna l’evoluzione dai “vecchi” bisogni operai ai “nuovi” bisogni delle persone, uomini e donne, single e sposati, madri e padri. La torsione significativa è verso attese di welfare, di vivere meglio, per favorire quelle esperienze di arricchimento di cui si sente il bisogno. Il circolo sta diventando virtuoso: da Mirafiori a poter visitare gratis il Museo del Novecento. (G.M.)

(Fonte : GfK Eurisko- Cinqueminuti gennaio 2011)