Il principio su cui si basa il diritto alla gratuità della retta per malati di Alzheimer risiede nella corretta qualificazione delle cure prestate al paziente. Le prestazioni assistenziali sono da considerarsi un tutt’uno con quelle sanitarie
L’aumento dei casi di patologie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer, non solo rappresenta una delle principali sfide sanitarie legate all’invecchiamento della popolazione, ma anche un problema dal punto di vista economico e sociale. Quando un familiare non è più autosufficiente, il ricovero in una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) diventa spesso una necessità inevitabile, portando con sé un onere economico non indifferente. L’art. 32 della nostra Costituzione recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.” L’art. 20 della Legge 730/1983 sancisce inoltre che “Sono a carico del Fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali.”
Il principio su cui si basa il diritto alla gratuità della retta risiede nella corretta qualificazione delle cure prestate al paziente.
E’ necessario tenere conto che nella retta delle RSA ci sono due quote: una quota sanitaria e una quota alberghiera. Nel caso di riconoscimento del diritto d’ingresso del paziente in RSA, la quota sanitaria viene posta a carico del SSN, e come tale è a carico dello Stato, perché la famiglia o il paziente non deve nulla per le cure relative a una malattia mentre la quota alberghiera, relativa a vitto e alloggio (ma non solo) viene sostenuta dallo stesso paziente e/o dalla sua famiglia, calcolata sulla base del reddito ISEE.
I Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) 14 febbraio e 29 novembre 2001 distinguono tre tipi di prestazioni a seconda di bisogni e complessità, di intensità e durata dell’assistenza:
- sanitarie a rilevanza sociale → a carico delle ASL
- sociali a rilevanza sanitaria → condivisione tra SSN e Comune
- prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria → interamente a carico del SSN
Il terzo caso si verifica quando viene erogato un trattamento terapeutico personalizzato non connotato da occasionalità, ma diretto alla cura del paziente e connesso alla prestazione di natura assistenziale perché il malato ha necessità di cure terapeutiche intense e complesse. In questi casi la componente sanitaria deve essere ritenuta prevalente perché in difetto di assistenza continua sarebbe in pericolo la stessa sopravvivenza del paziente.
Il principio di inscindibilità
Il concetto di inscindibilità è il vero cuore della questione. La giurisprudenza ha chiarito che non si tratta di valutare se le ore di assistenza infermieristica siano “prevalenti” rispetto a quelle di supporto. Le prestazioni assistenziali (come l’aiuto nella deambulazione, nell’alimentazione o nell’igiene personale) sono da considerarsi un tutt’uno con quelle sanitarie quando, in assenza delle prime, le seconde non potrebbero svolgersi o risulterebbero inefficaci.
Quando la situazione di un malato di Alzheimer o affetto da altra malattia neurodegenerativa si aggrava, l’assistenza continua non è un mero servizio “alberghiero”, ma diventa parte integrante e necessaria della terapia stessa, volta a gestire i disturbi comportamentali e a garantire l’efficacia delle cure farmacologiche. Negli ultimi anni la giurisprudenza ha chiarito in modo inequivocabile che quando le prestazioni assistenziali sono inscindibilmente connesse a quelle sanitarie non essendo possibile determinare quale sia la quota sanitaria da quella assistenziale, si è ritenuto che l’intera prestazione sia di competenza del Servizio Sanitario Nazionale (Corte d’Appello di Roma numero 5696 dell’8/10/2025 e la Corte d’Appello di Milano del 13/10/2025).
Questo significa che le rette di ricovero presso strutture sanitarie pubbliche, enti pubblici o case di cura convenzionate, per i malati di Alzheimer non devono essere a carico del paziente o dei suoi familiari, trattandosi di spese che devono essere sostenute esclusivamente dal Servizio Sanitario Nazionale o Regionale.
I possibili interventi, anche per ottenere rimborsi
Prima di intraprendere azioni legali, è consigliabile presentare istanza di rimborso direttamente all’Azienda Sanitaria Locale competente per territorio, allegando tutta la documentazione medica che attesti l’inscindibilità delle prestazioni. Molte ASL continuano a ignorare il principio dell’inscindibilità e richiedono il pagamento delle rette alle famiglie con motivazioni errate. La Cassazione ha chiarito che non basta una classificazione amministrativa: ciò che conta è la prevalenza sanitaria della presa in carico e l’effettiva inscindibilità delle prestazioni.
La questione preliminare è la valutazione del soggetto ricoverato. Bisogna, cioè, capire quali necessità fa emergere nel soggetto la malattia, cosa comporta, di quali necessità abbisogna, che tipo di assistenza si rende necessaria?
Ricorrendone i presupposti, con il patrocinio di un legale coadiuvato da un medico-legale si può proporre innanzi al Tribunale ordinario civile competente azione diretta al recupero delle somme versate (e non dovute) per l’assistenza del paziente, producendo in giudizio la certificazione attestante la patologia del malato, l’autorizzazione al ricovero in RSA, la dichiarazione di soggiorno in RSA e tutte le ricevute dei pagamenti effettuati per conto del soggetto ricoverato.
Sarà poi opportuno valutare se richiedere di disporre la Consulenza Tecnica d’Ufficio volta a dimostrare l’effettivo stato clinico del degente e la natura delle prestazioni di cui necessitava durante il ricovero presso la struttura. L’azione può essere intrapresa sia dal malato (qualora ancora dotato di capacità d’agire), sia dai soggetti cui è stata conferita la tutela, sia infine dai familiari (qualora siano a loro carico gli esborsi sostenuti). L’azione si prescrive in dieci anni trattandosi di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c.