Dramma nel Canale di Sicilia: il bisogno di capire per riuscire a cambiare

Pubblicato il 20 Aprile 2015 in , da Vitalba Paesano

La tragedia avvenuta nel canale di Sicilia, nella quale potrebbero aver perso la vita oltre 700 persone, ha suscitato reazioni in Italia e all’estero sia nel mondo politico sia da parte dell’opinione pubblica. L’ISPI si propone di contribuire al dibattito in corso analizzando i dati più significativi, anche alla luce di confronti internazionali, per aiutare a comprendere meglio il fenomeno migratorio e far emergere paradossi e falsi miti.

I FATTI

L’Europa è “invasa”?

Se è vero che il numero di persone che giunge in Unione europea è aumentato nel corso degli ultimi vent’anni, è davvero difficile considerare il fenomeno un’invasione. In totale, la popolazione di origine extracomunitaria residente in paesi europei raggiunge i 20 milioni di persone, ovvero il 4% della popolazione europea. Negli Stati Uniti nel 2013 gli stranieri erano oltre il doppio, il che significa che in America si può trovare un immigrato ogni 8 statunitensi, mentre in Europa incontreremo un extracomunitario ogni 25 persone comunitarie. È vero che tra 2013 e 2014 l’immigrazione illegale verso l’Europa è più che raddoppiata: gli arrivi via terra e via mare nel 2014 sono stati 240.000 rispetto agli 80.000 del 2012. Anche in questo caso siamo tuttavia ancora molto lontani dagli Stati Uniti: se in Europa gli ultimi dati disponibili stimano un numero massimo di immigrati clandestini intorno ai 4 milioni di persone (lo 0,8% della popolazione Ue), negli Stati Uniti questi sarebbero circa 11–12 milioni (quasi il 4% della popolazione).

E l’Italia?

Tra il 2000 e il 2013 il numero di persone straniere residenti in Italia è aumentato notevolmente, passando da 2,1 a 5,7 milioni di persone, ovvero da meno del 4% a oltre il 9% della popolazione. Siamo tuttavia ancora distanti dai grandi paesi europei come il Regno Unito, la Germania e la Francia (tutti attorno al 12%), e ben lontani dal numero di stranieri che negli ultimi quindici anni sono entrati in Spagna, portando la quota di immigrati dal 4% al 14% del totale.

Italia: rifugiati vs migranti

L’instabilità nei paesi della sponda sud del Mediterraneo ha fatto notevolmente aumentare il numero degli immigrati che fuggono per motivi politici prima ancora che economici. Dei 170 mila sbarcati illegalmente in Italia nel 2014 (un aumento di oltre il 400% rispetto al 2013), almeno il 60% fuggiva da zone di guerra – soprattutto da Siria, Mali e Somalia. Un dato confermato anche dagli esiti delle richieste d’asilo, che negli ultimi due anni sono stati in netta maggioranza (67%) favorevoli a una qualche forma di tutela giuridica.

CHE FARE?

Deterrenza: da Mare Nostrum a Triton

Una strategia basata sulla deterrenza scoraggia l’immigrazione irregolare? Negli anni Novanta gli Stati Uniti hanno rafforzato le barriere di controllo in alcune zone al confine con il Messico, rendendo più difficile il passaggio in alcuni dei punti più utilizzati dagli immigrati irregolari. Tuttavia tra il 1991 e il 2000 il numero di immigrati irregolari dal Messico è più che raddoppiato. La strategia ha avuto come risultato solo quello di rendere più pericoloso il tragitto, dal momento che molti di loro hanno scelto zone più impervie e pericolose, perchè considerate meno pattugliate. Ciò ha determinato un drammatico aumento del numero delle vittime. Per quanto riguarda l’Europa, il passaggio da Mare Nostrum a Triton, ha portato a una riduzione degli sbarchi, fisiologica nel periodo invernale, alla quale ha però fatto seguito un nuovo aumento negli ultimi mesi. Inoltre, il rischio della traversata è più che triplicato: se nel periodo gennaio–ottobre 2014 ogni 100 persone che raggiungevano il suolo italiano 2 hanno perso la vita, nel periodo dell’operazione Triton le vittime sono drammaticamente aumentate, raggiungendo le 6 ogni 100 persone salvate.

Blocco navale o sabotaggio

Una delle soluzioni maggiormente invocate è il blocco navale delle coste libiche. L’Italia aveva già condotto un’operazione simile durante gli anni novanta per fermare l’immigrazione proveniente dall’Albania. Attualmente, l’Australia sta implementando questo sistema per arginare l’immigrazione dall’Indonesia. Sebbene gli esperti concordino sul fatto che sia un’opzione percorribile e l’UE la stia valutando, la sua gestione risulterebbe complessa e le controindicazioni rimarrebbero molte. L’operazione, infatti, costituirebbe un atto di guerra secondo il diritto internazionale e richiederebbe l’autorizzazione da parte delle Nazioni unite e l’assenso del governo libico. Inoltre, come già accaduto nel caso dell’Albania, l’impiego di navi militari potrebbe dare luogo ad incidenti. Un’alternativa, anch’essa già adottata negli anni novanta con l’Albania, consiste nel sequestrare e distruggere le imbarcazioni utilizzate dagli scafisti nei paesi di partenza. L’operazione in Albania era accompagnata ad un programma di assistenza tecnica alla polizia locale e terminò con il passaggio di consegne ad essa. Una sua replica in Libia risulterebbe più difficile in quanto necessiterebbe di un accordo con le autorità locali, difficilmente ottenibile in un paese così instabile, ed esporrebbe le forze italiane a un contesto maggiormente rischioso. Entrambe le opzioni, inoltre, non permettono di individuare coloro che avrebbero diritto a ottenere l’asilo.

Riconoscimento in loco

Un’altra soluzione prospettata è l’istituzione di strutture di riconoscimento nei luoghi di partenza dei migranti, nei loro paesi d’origine o di transito per svolgere le procedure ora condotte nei centri di identificazione ed espulsione in Italia e valutare le richieste di asilo. Sebbene questa opzione possa portare alla diminuzione dei pericolosi viaggi in mare e alla limitazione degli arrivi illegali, risulta difficilmente realizzabile in un paese come la Libia dove non è possibile operare in condizioni di sicurezza. Inoltre, si riproporrebbero i problemi umanitari riguardanti i campi profughi in cui i migranti sarebbero costretti a sostare in attesa del completamento delle procedure.

LE COLPE DELL’EUROPA

Le carenze dell’operazione Triton

Triton rappresenta un impegno modesto da parte dell’Ue nella gestione dell’immigrazione nel Mediterraneo. La Ue ha infatti assegnato a questa iniziativa un budget pari a circa un terzo di quello di Mare Nostrum (2,9 milioni di euro mensili, contro i 9,3 milioni di euro di Mare Nostrum). Inoltre il raggio di azione di Triton è di sole 30 miglia nautiche dalle coste italiane,mentre Mare Nostrum si spingeva fino a 100 miglia nautiche. Tutto ciò si traduce inevitabilmente in una minore capacità di monitoraggio, e accresce il rischio di vittime di incidenti in mare.

Le norme Ue condannano l’Italia a un ruolo di prima linea?

Essenzialmente sì. L’Ue ha competenze relativamente limitate in materia di migrazione. Sul tema specifico dei richiedenti asilo, l’Ue opera mediante il “sistema di Dublino”: l’onere di avviare la relativa procedura e, nel frattempo, di prendersi cura del richiedente (una fase che in genere non dura meno di 11 mesi) spetta al paese in cui il richiedente asilo presenta la propria domanda, di solito proprio il paese europeo in cui arriva per primo. Questo paese può trasferire la richiesta di asilo ad un altro paese membro, ma solo in casi circostritti quali il ricongiungimento familiare o la precedente concessione di un permesso di soggiorno o visto da parte di un altro paese membro.

 Critichiamo l’Europa, ma l’Italia è solidale?

Nel febbraio 2015 gli immigrati che si trovavano all’interno delle strutture temporanee di accoglienza italiane erano più di 67 mila. La regione che ospitava il numero più altro di migranti era la Sicilia (21%) seguita da Lazio (13%) e Puglia (9%). Tale distribuzione si presenta come fortemente diseguale all’interno del territorio nazionale e non rispetta alcun criterio di proporzionalità rispetto al numero di cittadini residenti. Un esempio è la differenza tra Sicilia e Veneto dove, a fronte di una popolazione simile, il numero dei migranti presenti nell’isola è di quasi cinque volte superiore a quelli che si trovano a Venezia e dintorni.

ITALIA: OPINIONE PUBBLICA E GIOCO POLITICO

“Gli immigrati portano malattie e terrorismo”

Nei mesi scorsi è stato lanciato l’allarme di una potenziale correlazione tra flussi di migranti provenienti dai paesi dell’Africa subsahariana e la diffusione del virus ebola. Eppure, esperti patologi escludono tale correlazione in quanto la durata del viaggio dei migranti è superiore al periodo di incubazione del virus. Inoltre, all’atto dell’arrivo nel nostro paese, i migranti vengono sottoposti a controlli sanitari approfonditi. Non è da escludere che un migrante sano al momento dell’arrivo non contragga malattie in un momento successivo, soprattutto se costretto a vivere in condizioni di disagio. Per quanto riguarda l’eventualità che sui barconi possano nascondersi terroristi infiltrati, sebbene ciò non possa essere escluso a priori, risulta alquanto modesta. Il rischio di morire nella traversata o di essere rimpatriato è infatti superiore rispetto a quello di essere individuato effettuando l’ingresso in maniera “legale” e, infatti, finora non sono stati accertati casi di terroristi giunti in Italia seguendo le rotte dei migranti.

“Sono troppi e minano il tessuto sociale”

Un sondaggio realizzato da IPSOS–MORI per il giornale The Guardian, nel novembre 2014, rivela una discrepanza tra presenza reale e percepita di immigrati con la seconda superiore alla prima in tutti i paesi analizzati. In Italia, a fronte di una presenza reale del 7%, quella percepita è del 30%. In Germania invece, con una presenza percentuale di immigrati doppia (13%) rispetto a quella italiana, la differenza tra il dato reale e quello percepito (+10%) è la metà rispetto al caso italiano.

Cosa pensa l’opinione pubblica?

Per l’opinione pubblica italiana l’immigrazione rappresenta il terzo più importante motivo di preoccupazione internazionale dopo la crisi economica e il terrorismo internazionale. Un sondaggio d’opinione commissionato da ISPI e RaiNews, e realizzato da Ipsos a fine marzo, pone l’immigrazione (al 13%) fra le minacce più gravi per l’Italia: un dato identico alla precedente rilevazione di gennaio nel quale era stato chiesto agli italiani anche un giudizio sull’operazione Mare Nostrum. Allora il 58% del campione aveva espresso una valutazione negativa, solo il 36% una positiva.

ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale