I dischi del mese: settembre ’13– 2

Pubblicato il 26 Settembre 2013 in , da Ferruccio Nuzzo

Ludwig van Beethoven

Moonlight, Waldstein, Storm – Alexeï Lubimov: fortepiano – Alpha (66’48”)

Ho già scritto (Transition) sul fascino e le problematiche del fortepiano. Questo entusiasmante inizio di quella che sarà – lo spero – un’integrale delle Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven, è un’ulteriore illustrazione dei miei propositi.

Alexeï Lubimov aveva già al suo attivo una magistrale registrazione di tre Sonate di Beethoven – Patetica, Chiaro di luna e Waldstein – effettuata 20 anni or sono per Erato sulla sontuosa copia di un Broadwood, ricostruito dall’inglese Christopher Clarke. Oggi il grande pianista russo ritorna con un programma simile – la Patetica è stata sostituita dalla Tempesta – ma con un nuovo strumento, la copia, realizzata dallo stesso Clarke, di un fortepiano Erard del 1802, il cui originale – si dice – fu «alla portata» di Beethoven (eufemismo, che dovrebbe farci sperare che il Titano di Bonn abbia, un giorno, messo le sue possenti dita su un a tastiera simile a questa).

Si ha l’impressione che lo strumento dia all’interprete una più vasta libertà d’invenzione: Lubimov si slancia alla scoperta della musica di Beethoven portato da ali meno vaste – forse – di quelle di un gran coda, ma più agili, più penetranti, più sottili. Mi è più facile immaginare Beethoven alla tastiera du questo fortepiano che a bordo di una formula 1 di Steinway con la quale finirebbe per provocar disastri e vittime tra il pubblico.

Lubimov non è più nella seduzione, non ha più bisogno di convincere della legittimità dello strumento, ormai affrancato dal ruolo di approssimazione, di fratello maggiore inesorabilmente invecchiato e a cui il cadetto trionfante ha rapinato tutto il repertorio.

Senza dimenticare le lodi per la splendida registrazione: uno spazio sonoro nel quale lo strumento di Christopher Clarke trova l’atmosfera ideale per sviluppare la molteplicità del suo timbro e tutta la ricchezza della sua dinamica.

 ascoltate Alexeï Lubimov e il suo Beethoven


gPe_25X4Poems 

musiche di Ravel, Liszt, Holliger, Schubert – Louis Schwizgebel: pianoforte – Aparté (58′)

Un programma interessante, lungo il filo conduttore della poesia. Anche se non è difficile reperire, nel repertorio pianistico, composizioni strettamente connesse a una tematica poetica, la coerenza nella diversità delle scelte è più difficile a realizzare.

Louis Schwizgebel è un giovane virtuoso svizzero-cinese, che, avendo trionfato in un certo numero di concorsi – tra cui l’Internazionale di Ginevra – ha scelto questo approccio letterario per il suo primo disco solistico per Aparté – un editore che ci ha già fatto scoprire, in questi tempi poveri di vere sorprese, un pianista geniale come Tristan Pfaff.

Schwizgebel aveva già registrato per Aparté un cd entusiasmante, con Ophélie Gaillard e Fabio Di Casola in una interpretazione di rara intensità delle Sonate per violoncello di Johannes Brahms e del Trio con clarinetto. Ora ha organizzato questo affascinante programma attorno alla ricostruzione musicale che Schubert, Liszt, Ravel e Hans Holliger hanno creato di poemi nei quali «ogni nota, strettamente connessa alla parola, fa risuonare meravigliosamente i temi del fantastico, della morte, della contemplazione della natura e della sofferenza dell’anima».

Tutta la tenerezza e la romantica sensualità di Gaspard de la nuit (Ravel), il movimento perpetuo di Auf dem Wasser zu singen, la malinconia e il lirismo di Ständchen, e il sinistro vortice del poema di Goethe Erlkönig, tre lieder di Schubert trascritti da Liszt che è anche presente con l’acquerello della Vallée d’Obermann. E, per finire, Elis e l’innocenza sacrificata dei poemi di Georg Trakl messo in musica dall’oboista e compositore svizzero Hans Holliger.

C’è un’aria di libertà e di passione nelle interpretazioni di Louis Schwizgebel; atmosfere che potrebbero sembrarci incompatibili – sopratutto nella transizione da Liszt à Holliger – si fondono in una panoramica illuminata di Poesia.

 ascoltate i Poems di Louis Schwizgebel  e un’intervista (in francese) e musica


 

Litanies pour RonchampLitanies pour Ronchamps

Gilbert Amy, Ludwig van Beethoven – Le Quatuor Parisii,  Abel Billard: percussioni, Solistes XXI, Rachid Safir –  Soupir Edition S224 (41’50” + 41’30”)

Il santuario di Ronchamp, ed in particolar modo la sua cappella di Notre-Dame-du-Haut, è uno di più celebri edifici concepiti da Le Corbusier, che lo completò nel 1955. Per il suo cinquantesimo anniversario, Gilbert Amy – uno dei compositori contemporanei più eseguiti al mondo – ha scritto su commissione queste Litanies, un’opera complessa ed originale, omaggio alla spiritualità del santuario ed al suo architetto geniale.

Queste Litanies si presentano come un affascinante itinerario musicale, simile ad un pellegrinaggio immobile all’interno dell’architettura religiosa illuminata dolcemente dalle vetrate policrome della cappella in un dialogo misterioso tra luci ed ombre sonore, su testi della liturgia e delle Sacre Scritture. Come l’architettura di Le Corbusier, fatta di materiali differenti, quest’opera è il risultato di un dialogo tra epoche ed estetiche diverse: echi meravigliosi nascono tra il gregoriano, la polifonia medievale e quella contemporanea. La voce dei cantori liturgici e quella dei solisti vocali e del coro si fondono alle percussioni – vibrafono e campane tubolari – e si uniscono a quella del quartetto d’archi attorno all’adagio del Quartetto op.132 di Ludwig van Beethoven.

Non è musica facile, ma la presenza ricorrente e rassicurante della musica di Beethoven è soccorrevole guida in questo percorso di dolorosa complessità.

ascolta le Litanies e Gilbert Amy in una presentazione del santuario e delle litanie (in francese)  

2 thoughts on “I dischi del mese: settembre ’13– 2

  1. Egregio Ferruccio Nuzzo,ho letto,come sempre, le sue ottime recensioni e ho ascoltato,seguendo il suo consiglio, il Beethoven suonato al fortepiano da Lubimov.
    Concordo pienamente con i suoi spunti critici e le sono grato per avermi fatto riavvicinare al suono del fortepiano che avevo pressocchè dimenticato.E’ già la terza volta che ascolto l’ottimo cd e mi convinco sempre di più che,fermo restando le indubbie superiori doti del pianoforte,non sia stato giusto dimenticare le sonorità del fortepiano che possono ancora mettere in luce aspetti particolari di brani musicali della prima metà dell’800.
    Ho letto ,non molto tempo fa, un libro di Katie Hafner: Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfetto . L’autrice ricostruisce la storia dello struggente rapporto fra Gould e il CD 318, l’adorato pianoforte sul quale l’artista eseguí buona parte delle sue piú celebri registrazioni.
    Ascoltando il disco di Lubimov e ricordando il tentativo di Gould–a dire il vero non solo suo ma anche della Tureck– di ricavare dal pianoforte delle sonorità clavicembalistiche , mi sono chiesto perchè non abbiano preso in considerazione l’uso del fortepiano.
    Lei che ne pensa? La saluto cordialmente
    Rino Palma

  2. caro Rino Palma, la sua domanda è interessante, anche se non si può avanzare che qualche supposizione di risposta

    Glenn Gould diceva – cito a memoria – che il pianoforte aveva il suono di un clavicembalo castrato
    non ho mai, veramente, capito a cosa alludesse, se alle splendide – immaginate – sonorità delle voci dei cantanti mutilati, o ad una mutilazione (castrazione) dei molteplici timbri (registri) del clavicembalo
    bisogna inoltre considerare che, ai suoi tempi, il pianoforte non era ancora di moda, e, se ce n’era qualcuno in giro, sarà stato un primo rudimentale tentativo di riesumazione (come accadde per il clavicembalo, e le sue prime ricostruzioni il cui suono faceva pensare a “due scheletri che facevano l’amore su un tetto di bandone” – dixit sir Thomas Beecham)
    penso quindi che Gould – che ha peraltro sperimentato il clavicembalo (Suites di Handel) e l’organo (Arte della fuga, ohimè incompleta) – amasse praticare gli strumenti – come i compositori – che poteva in qualche modo usare come supporto alle sue ideologie – vedi il suo rifiuto di Chopin e, sopratutto, di Schubert – ed, in qualche modo rivelare in una nuova identità, indelebilmente marcata dalla sua inequivocabile interpretazione (cosa che non gli riuscì né con Mozart né con il Beethoven delle Sonate e dei Concerti)
    quel che è accaduto con Bach (padre e CPE), Byrd e Gibbons, Schumann, Brahms e Grieg – ma sopratutto con il pianoforte -, dubito che si sarebbe realizzato con il fortepiano

    la ringrazio per il suo intervento, che movimenta questa rubrica, e la saluto cordialmente
    FN

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