La poesia si è affacciata con timidezza, quasi con incredulità, per poi divenire nel corso degli anni un bisogno dell’anima. Mi è venuta incontro quando ero molto giovane e non avevo ancora conosciuto il dolore. Non l’avevo cercata, ma l’ho accolta con l’emozione di quando si scopre una cosa nuova. Mi è arrivata dal silenzio ed è esplosa quando si è imbattuta nella mia fragilità. Ora è una compagna che di tanto in tanto viene a visitarmi e si fa carico dei miei turbamenti
Mi sveglio quando un albeggiare
inquieto si muove tra le persiane
e il giorno soffia il suo alito di vita.
E allora mi chiama l’eco delle pietre
serrate sotto il giro dell’acqua
e il campanile che getta il suo giallo
sulle piazze e i cortili.
Sfuma la voce di mia madre
come quando il volo di un colombo
s’acquieta sull’angolo del tetto.
Rode la vita questo impossibile distacco
da un tempo morto, mai dimenticato,
da una cintura d’alberi freschi di giovinezza
da un’impennata di sole dietro le mura.
Ma forse il mio è solo un gioco sottile
di rimandi per avere un fuoco ancora
un colore acceso che si intrometta
nella scala di grigi dove va
ad addormentarsi la mia vita.
(da “Di questo mio vivere”)
Il rimpianto è il punto focale di questa poesia. Spesso i ricordi mi arrivano all’alba, quando il giorno si fa avanti e scalpita per essere di nuovo vivo e protagonista della mia vita. Ma è proprio allora che mi tornano alla mente il torrente della mia città, le mura, le piazze…e mia madre, ormai lontana, perduta in altro tempo, in altro luogo.
La mia giovinezza è trascorsa tra questi alberi, tra queste pietre, che mi hanno vista felice con il futuro ancora aperto. Ma questo insistere malinconico nel ricordare una vita già vissuta è forse un alibi per riagganciarmi al passato e rimettermi in gioco.
Come se volessi clonare quel tempo per risvegliare la mia vitalità, la mia energia e dare un senso nuovo al grigiore della mia vita.