Usa–Cuba, verso un nuovo inizio

Pubblicato il 20 Luglio 2015 in , da redazione grey-panthers

Democrazia e società civile: i dilemmi di Castro di Alessandro Badella

Il processo di “normalizzazione” tra Cuba e Stati Uniti deve essere letto nel decennale scontro ideologico tra Washington e L’Avana. Soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda, la condizionalità democratica delle sanzioni economiche ha incentrato la politica estera americana sulla necessità di vedere un mutamento politico (in senso democratico) sull’isola. Anche la politica di Obama, sebbene con toni meno accesi rispetto ai predecessori, si è comunque mantenuta fedele a tale imperativo [1]. Nell’ambito della promozione democratica, Obama ha voluto utilizzare alcuni strumenti che erano stati poco esplorati durante le presidenze Bush, come i viaggi familiari e le rimesse dirette. Questi strumenti di public diplomacy sono stati concepiti come strumenti per restringere la presa economica e ideologica del governo isolano nei confronti dei propri cittadini [2]. Secondo Obama, permettere un maggiore afflusso di valuta forte verso l’isola e l’apertura di nuovi canali di comunicazione con la popolazione isolana potrebbero fornire alla società civile isolana quegli strumenti per realizzare una transizione politica. Pertanto, l’engagement con Cuba si configura come una nuova strategia per raggiungere l’obiettivo ultimo di una transizione politica. Infatti, sebbene Obama abbia preso le distanza da una “democratizzazione hic et nunc” (largamente enfatizzata dai predecessori), optando più per una regime evolution, l’obiettivo di queste aperture rimane comunque il potenziamento della società civile indipendente e la creazione di un mutamento politico (in senso democratico). «Penso – disse Obama a fine 2014 – che sia irrealistico individuare con certezza dove si troverà Cuba [alla fine delle mia presidenza]. Ma a Cuba avverrà un cambiamento. Deve avvenire» [3].

In modo speculare alla politica obamiana nei confronti dell’Iran, anche con Cuba il presidente pare essere interessato a un engagement separato. Da un lato, si sono avviati high-level talks con il governo cubano, cercando di superare la stasi diplomatica cinquantennale; dall’altro, gli Stati Uniti hanno continuato ad alimentare programmi per stimolare il contatto con la popolazione civile, bypassando l’intermediazione delle strutture di potere castriste. Ovviamente, questo secondo aspetto può avere riflessi significativi sul primo.

In primis, le aperture di Obama sono state accettate con entusiasmo dal governo isolano, che, tuttavia, ha posto dei limiti a tali rapporti. Come gli alti funzionari del governo isolano vanno ripetendo almeno dai primi anni Novanta, anche Raúl Castro ha messo in chiaro che un dialogo con gli Stati Uniti dovrebbe escludere i principi della Rivoluzione: tutto è negoziabile, fuorché il sistema socialista di Cuba: “normalizzazione”, per Cuba, significa anche la cessazione dell’ingerenza statunitense sul terreno ideologico e sul sistema politico dell’isola [4]. Anche l’interesse (decennale) degli Stati Uniti per la società civile cubana, solitamente fatta coincidere con le forze di opposizione interna e, più recentemente, con la blogosfera e i giornalisti indipendenti, ha trovato le resistenze dell’establishment cubano. Infatti, Raúl ha voluto ricordare che, per Cuba, la società civile è composta dallo “stato allargato” (di derivazione gramsciana), ovvero da quelle organizzazioni di massa che dipendono direttamente dal controllo governativo e del Partito comunista cubano (Pcc) [5]. Gli scontri tra fidelistas e anti-castristi al summit di Panama (aprile 2015), nell’ambito del Forum della società civile, hanno messo in luce come questa frattura sia ancora un elemento di aspra divisione e conflitto [6].

Inoltre, gli Stati Uniti hanno mantenuto copiosi finanziamenti alle agenzie federali di promozione della democrazia, come la Usaid e il National Endowment for Democracy e il Department of Labour and Human Rights, che continuano a sostenere progetti sull’isola che sono percepiti come “controrivoluzionari” e illegali dal governo isolano [7]. Infatti, come ha mostrato l’arresto del subcontractor Alan Gross, incarcerato a fine 2009 e liberato a seguito dell’accordo del dicembre 2014, il governo di Cuba può reagire in maniera estremamente energica a progetti che non prevedono un diretto coinvolgimento delle autorità locali. Queste agenzie, sotto la presidenza Obama, hanno attivato progetti per la creazione di infrastrutture di comunicazione, come ZunZuneo e Piramideo (social network sul modello di Twitter funzionanti mediante sms), disegnate proprio per bypassare segretamente il controllo statale. Inoltre, anche Radio and Television Martí (Rtm) continua la propria campagna d’informazione e di “invasione” dell’etere cubano [8]. Anch’essa potrebbe essere una fonte di conflitto e ulteriore tensione nelle relazioni bilaterali. Ad esempio, un report del 2014 sulle attività di Rtm a Cuba è stato largamente segretato per “ragioni di sicurezza nazionale”: in sostanza, a Cuba l’emittente continua a svolgere attività che richiedono un accurato livello di segretezza, ovvero che sono considerate illegali dal governo isolano [9].

Da ultimo vi è la questione, non certo secondaria, dell’attività che l’Ambasciata statunitense a L’Avana sarà chiamata a svolgere. In passato, specialmente durante le presidenze di George W. Bush, la Sezione di interessi (Sina) è stata coinvolta in attività di sostegno, finanziamento e organizzazione diretta della dissidenza. Proprio tali contatti con l’opposizione interna furono una delle concause dell’ondata di arresti del 2003, nota come primavera negra. Anche durante la presidenza Obama, la Sina ha mantenuto tale funzione, curando i contatti con esponenti della blogosfera e, in alcuni casi, dettando la linea politica di Washington [10]. Attività non certo gradite dal governo isolano. Ovviamente la domanda aperta è: si asterrà l’Ambasciata americana a L’Avana da tali attività? In caso contrario, quali potrebbero essere le conseguenze sul versante della graduale “normalizzazione” dei rapporti bilaterali?

Pertanto, il divario ideologico, la lotta per “i cuori e le menti” dei cubani e la promozione democratica statunitense sull’isola, elementi di primo piano per il futuro delle relazioni bilaterali, sono temi e fratture destinate a proseguire. Con o senza Ambasciate.

[1] Alessandro Badella, “The ‘Obama Doctrine’: Engaging Cuba but…”, E-International Relations, 30 aprile 2015, http://www.e-ir.info/2015/04/30/the-obama-doctrine-engaging-cuba-but/.

[2] Sul ruolo dei viaggi e delle rimesse dirette come strumento per “raggiungere” la popolazione isolana e renderla indipendente dal governo isolano, cfr. Barack Obama, “Memorandum on Promoting Democracy and Human Rights in Cuba”, 13 aprile 2009, The American Presidency Project, http://www.presidency.ucsb.edu/ws/?pid=85998. Anche nel discorso di Obama del 17 dicembre e nel conseguente fact sheet della Casa Bianca sull’upgrade delle relazioni con Cuba, questi strumenti di promozione democratica hanno avuto un rilievo notevole, cfr. The White House, Office of the Press Secretary, “FACT SHEET: Charting a New Course on Cuba”, 17 dicembre 2014, http://www.whitehouse.gov/the-press-office/2014/12/17/fact-sheet-chartingnew-course-cuba.

[3] Barack Obama, “Remarks by the President in Year-End Press Conference”, White House, 3 dicembre 2014, http://www.whitehouse.gov/the-press-office/2014/12/19/remarks-president-year-end-press-conference.

[4] Raúl Castro, Debemos aprender el arte de convivir, de forma civilizada, con nuestras diferencias, “Granma”, 18 dicembre 2014, pp. 1-2.

[5] Raúl Castro Ruz, “Raúl Castro en III Cumbre de CELAC: La solidaridad en Nuestra América será decisiva”, Cubadebate, 28 gennaio 2015, http://www.cubadebate.cu/opinion/2015/01/28/raul-castro-en-iii-cumbre-de-celac-la-solidaridad-en-nuestra-america-sera-decisiva/#.VpcFf_mG-OV.

[6] Sulla visione dicotomica circa la società civile isolana ed il dibattito seguito ai fatti di Panama, cfr. “Algunas claves para entender la verdadera esencia de la sociedad civil cubana”, La Jiribilla, aprile 2015, http://www.lajiribilla.cu/articulo/10129/algunas-claves-para-entender-la-verdadera-esencia-de-la-sociedad-civil-cubana.

[7] Mark P. Sullivan, Cuba: U.S. Policy and Issues for the 113th Congress, Washington DC, Congressional Research Service, 2014, p. 35.

[8] Sulla strategia di “tecnologizzazione” della popolazione cubana, cfr. “Meeting Notes from USAID CDCPP Meeting”, National Security Archive, 26 agosto 2008, http://nsarchive.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB411/docs/grossdaiaidmeeting2008.pdf, p. 2.

[9] Office of the Inspector General, “Inspection of the Office of Cuba Broadcasting”, ISP-IB-14-15, 2014, https://oig.state.gov/system/files/228991.pdf

[10] Come hanno mostrato alcuni documenti di Wikileaks, nel 2009, la SINA avrebbe suggerito al presidente Obama di guardare alla nascente blogosfera come potenziale “incubatrice” per i leader politici della Cuba post-castrista, cfr. USINT to Dept. of State, “The U.S. and the Role of the Opposition in Cuba”, Wikileaks.org, 15 aprile 2009, https://search.wikileaks.org/plusd/cables/09HAVANA221_a.html.

Alessandro Badella, dottore di ricerca in Scienze Politiche – “Democracy and Human Rights” – all’Università Statale di Genova