Tagli alla sanità: le riflessioni di Marco Trabucchi *

Pubblicato il 3 Novembre 2015 in , da redazione grey-panthers

Gli operatori sanitari e dell’assistenza sono ogni giorno assediati da nuove indicazioni, da proposte più o meno razionali di risparmi, con diversi livelli di incisività sui servizi; ci siamo abituati all’incertezza, alla confusione, ai cambiamenti. Però tendiamo a non abituarci all’assenza di logica di questi provvedimenti: non capiamo se servono ai cittadini o solo alle leggi di stabilità e ai sacerdoti della scienza economica.

Questa incomprensione è anche conseguenza del fatto che la politica è assolutamente afona; nessuno spiega alla collettività verso quale direzione ci stiamo incamminando e se le decisioni hanno una logica comune, comprensibile ai tecnici dell’economia, ma anche alla massa di cittadini. L’uomo della strada è però scarsamente interessato a queste problematiche; concentra infatti la sua attenzione sulla protezione che gli deve essere fornita dai servizi, talvolta in maniera acritica, per cui è portato a chiedere tutto o nulla, con incongruenze vistose. Ma nessuno ha voluto (e saputo) avvicinarlo con autorevolezza, spiegando cosa è essenziale per il suo benessere e, invece, cos’è marginale o inutile.
E’ stato dimostrato che la salute degli italiani è tra le migliori al mondo, ottenuta con costi che non sono certamente tra i più elevati; non siamo però stati in grado di spiegare le dinamiche che caratterizzano questo rapporto, per cui si chiamano in causa la dieta mediterranea o la scarsa diffusione della povertà nelle nostre terre, il sole o la genetica… senza arrivare a conclusioni. Da parte sua la gente tende a non credere a questi dati, perché riferiti a realtà collettive, lontane dalla vita di tutti i giorni del cittadino, delle sue fatiche, delle sue crisi.
Di cosa abbiamo quindi bisogno per dare fiducia alle decisioni pubbliche, per accettare i tagli come atti ra zionali e non come un danno senza logica per tutti, soprattutto per arrivare a ritenere che ognuno è inserito in una logica di cura?
Forse abbiamo bisogno di dimostrare che le decisioni hanno un’anima, cioè che sono dettate da un desiderio, condiviso e forte, di migliorare la condizione di benessere fisico e psicologico dei singoli cittadini, all’interno di una comunità che non abbandona le persone più fragili (queste ultime particolarmente sensibili alle azioni protettive o di danno).
Seguono alcune considerazioni schematiche, e per alcuni aspetti semplicistiche, per meglio inquadrare gli ambiti dove un supplemento d’anima potrebbe esercitare influenze significative.
La politica oggi è capace di dare un’anima alle proprie azioni? Guardando alla vicenda dell’Europa di fronte alle richieste dei rifugiati sembrerebbe di no. Nessuno si è posto la domanda del perché l’Europa non si occupa di fatto di organizzazione sanitaria? E’ forse la paura di entrare a fondo negli ambiti che interessano davvero la vita delle persone? Ma poi ritorna dalla finestra quello che si è cacciato dalla porta; si pensi al dibattito sempre più duro sull’eutanasia, il suicidio assistito, le manipolazioni genetiche, il pagamento dei farmaci ad altissimo costo. Sono questioni che toccano un’anima che l’Europa non ha… e le conseguenze sono drammatiche.
L’economia non sarà mai sensibile alla richiesta di chi vorrebbe che avesse un anima; però è sempre più chiaro dall’esperienza del mondo contemporaneo che il gioco esclusivamente economico non ha una vita lunga. Ancora una volta spetta alla politica dare indicazioni di senso sull’organizzazione della sanità, mettendo l’economia in una posizione di servizio, certamente indispensabile, ma non come “regina” della società.
In sanità dove si colloca l’anima del siste ma? Nella ricerca di un benessere diffuso e per tutti? La sanità serve gli uomini e le donne del nostro tempo; non in modo anonimo, ma personalizzando gli interventi rispetto al bisogno del singolo. L’anima del sistema permette di mettere al centro la persona, non solo in termini biologici, ma complessivi, senza retorica, costruendo atti concreti e visibili.
L’anima di un sistema sanitario può essere collegata alla cura, in particolare delle persone più compromesse? Non vi è dubbio che deve esistere un filo che unisce il macro al micro, la grande istituzione di tecnologia avanzata con l’atto specifico vicino al bisogno, senza interruzione. L’anima deve essere la stessa, senza discrasie. Come si concilia l’anima con la tecnologia? Quest’ultima offre risposte ad una serie di interrogativi in ambito clinico; ma è l’anima del sistema che deve decidere le precedenze, i tempi, i luoghi e le modalità per ottenere i risultati migliori , anche con investimenti parsimoniosi.
Gli operatori sanitari, ed in particolare i medici, hanno un’anima, o sono dominati da interessi economici e corporativi? Nonostante tutto hanno un’anima; molti hanno un’anima! La sofferenza delle persone più fragili non è solo argomento per discussioni tecniche, ma è al centro degli atti di cura, con una partecipazione misericordiosa e intensa.
Il cittadino ha un’anima, o è dominato solo dal soddisfacimento di interessi immediati e di breve respiro? Una risposta venata di scetticismo non sarebbe veritiera; si vede in molti ambiti la presenza del volontariato, dell’impegno di caregiving nelle malattie croniche, della generosità di molti operatori che operano senza chiedere nulla in cambio, se non il rispetto del proprio lavoro. Un’anima diffusa…
Il sistema regionalizzato della sanità era stato pensato per garantire una maggiore vicinanza ai cittadin i (un’anima). A cosa si è ridotto oggi questo sogno, massacrato da incapacità, egoismi, mancanza di visione, disonestà? Purtroppo la crisi degli ideali di partecipazione (di democrazia, anche se sarei prudente ad utilizzare una parola così impegnativa!) e quelli pratici di una sanità adatta ai territori hanno prodotto un aumento enorme della burocrazia ed una lontananza dai luoghi veri della vita sociale (si pensi, ad esempio, ai danni apportati da alcuni interventi regionali alle possibilità di autogestione autonoma delle residenze per anziani). Certamente però una nuova nazionalizzazione della sanità non è pensabile; e allora, che fare? Non abbiamo risposte, ma non si può dimenticare che molte delle più recenti “riforme” sono incentrate sulla riorganizzazione burocratica, senza attenzione alle possibilità di una partecipazione fattiva dei singoli, delle famiglie e delle micro-comunità; (si discute di sussidiarietà, ma, senz’anima, è una parola vuota). Il deficit diffuso di anima ha ridotto la disponibilità per relazioni significative tra gli operatori e i cittadini fragili che chiedono interventi di cura? Fortunatamente la desertificazione dei rapporti non si è completamente realizzata, anche grazie alla forza intellettuale e morale di molti medici ed operatori che non hanno ritenuto di subire le logiche burocratiche; infatti la più nobile delle reazioni è quella di accettare formalmente i diktat, ma di agire senza abbassare la qualità umana delle proprie azioni, come viene fatto da molti anche oggi. Una sorta di resistenza alla violenza della massa e della sua acquiescenza alle regole ingiuste del potere miope del denaro, al quale si sono inchinati i più deboli; non così si comporta chi ha alle spalle una forte preparazione clinica, che per definizione educa all’indipendenza dai poteri.

 

  • Marco Trabucchi è professore ordinario di Neuropsicofarmacologia nell’Università di Roma “Tor Vergata”. Specialista in psichiatria, ha lavorato per tre anni presso il Nazional Institute of Mental Health. È direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica (GRG) di Brescia, responsabile della Sezione Politiche Sociali e Sanitarie della Fondazione Smith Kline. Ha fondato l’ IRCCS  S. Giovanni di Dio di Brescia pel la cura e la ricerca sulle demenze. È Presidente dell’ Associazione Italiana di Psicogeriatria ed è past president della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria. Ha fatto parte del Consiglio Superiore di Sanità e della Commissione per la Ricerca Scientifica del Ministero della Sanità. 
    È membro del Comitato Scientifico de L’ Arco di Giano per le neuroscienze.