La Rassegna Stampa: Ufficiale, l’Italia è nei guai

Pubblicato il 1 Dicembre 2010 in , , da Vitalba Paesano

Le aperture

La Repubblica. “Sì alla riforma, università in rivolta. Cortei in tutte le città, incidenti a Roma. Berlusconi: i veri studenti sono a casa”. E poi: “Il governo va due volte sotto, poi la Camera vara la legge Gelmini. Bersani: capitale militarizzata, così si alimenta la tensione”. L’editoriale di Carlo Galli (“L’istruzione precaria”) si sofferma sulla riforma Gelmini “contrabbandata come rivoluzionaria, poiché sarebbe in grado di sconfiggere ‘le baronie'”, che invece potranno continuare, “grazie a questa riforma” a dominare l’università. A centro pagina: “Crisi, la speculazione attacca l’Italia. Allarme per i titoli di Stato, l’euro sotto quota 1,3. Letta: turbolenze pericolose. Scontro con Tremonti”. Di spalla: “L’Interpol a caccia di Assange”, mentre Wikileaks annuncia che il prossimo colpo sarà nei confronti di una grande banca. Commento di Barbara Spinelli dal titolo: “Chi ha paura della glasnost”.
A fondo pagina Francesco Merlo si occupa di Pompei che “continua a crollare” (ieri un muro perimetrale della ‘Casa del moralista’).

Il Corriere della Sera: “Sì alla riforma tra proteste e scontri. Incidenti a Roma, gli universitari bloccano la stazione Termini. Il premier: gli studenti veri sono a casa sui libri. Il governo battuto due volte, poi la Camera approva con 307 voti”. Un richiamo in prima pagina si sofferma sulla “guerriglia della generazione Facebook”.
A centro pagina: “Berlusconi e Putin, ecco i file segreti. Spogli a Washington: Roma frena la Nato e aiuta Mosca. Il colloquio con Letta. La guerra Rusisa Georgia e i rapporti dell’ambasciatore Usa”. A fondo pagina il quotidiano milanese si occupa dell’inchiesta su Finmeccanica: “Per i pm gli indagati hanno tentato di sfruttare un intervento della Finanza. Finmeccanica, sospetti di depistaggio”.

La Stampa: “Università, sì della Camera. Passa il ddl Gelmini, ma i finiani mandano il governo due volte sotto. Berlusconi: in piazza solo i fuori corso. Studenti in rivolta: bloccate strade e stazioni. Guerriglia con la polizia a Roma”. In alto, la crisi: “Letta: se l’Euro viene attaccato, rischi per l’Italia. Standar & Poor’s: il Portogallo finisce sotto osservazione. L’Fmi: non serve una manovra aggiuntiva”. Mario Deaglio commenta: “Il nodo diventa sempre più stretto”.

Il Giornale: “Bersani si tiene i soldi dei prcari. Il segretario del Pd sale sui tetti, ma poi rifiuta di sovvenzionare i ricercatori con parte dei fondi destinati ai partiti”. Il quotidiano spiega che ieri un emendamento presentato dall’Api proponeva di trovare risorse per finanziare i contratti a tempo indeterminato dai finanziamenti pubblici ai partiti.
Anche L’Unità racconta la vicenda (“Il caso. Tra i contrari 25 del Pd. Sposetti: proposta volgare”), dove si spiega che oltre al tesoriere storico del partito, votano contro D’Antoni, Cuperlo, Livia Turco, mentree si astengono D’Alema, Fassino, Migliavacca, Soro.
Su questo emendamento Bersani si è astenuto, e 30 suoi colleghi del Pd hanno votato contro. Commenta la riforma dell’università, apprezzandola, Giordano Bruno Guerri. In evidenza a centro pagina, con foto di Monicelli, un articolo sul suicidio del regista: “Il diritto di dire basta (senza funerali)”.

Libero: “Fini vuol fregarci i Bot. Il Fli si tradisce a La7: ‘Congeliamo i titoli di Stato’. Un furto ai danni del cittadini che per di più affosserebbe l’economia. Neppure Bertinoti era arrivato a tanto”. Letta: preoccupato per i mercati”. In alto la riforma dell’università, che “colpisce i baroni e premia un po’ chi merita”.

Il Riformista: “Fragole e sangue. Passa la riforma Gelmini, il governo due volte battuto. Rivolta degli studenti. Migliaia in piazza in tutta Italia. Scontri a Roma con la polizia. Occupate stazioni ferroviarie e autostrade. Intanto Fini si prepara a staccare la spina al governo”. A centro pagina, l’economia: “Ufficiale: l’Italia è nei guai. Il contagio irlandese è ormai arrivati sui nostri titoli di Stato”.

L’Unità: “La grande guerra. Studenti in piazza, cortei in tutta Italia. Bloccate le stazioni, scontri a Roma”. La foto mostra una manifestazione studentesca con striscione: “Ciao Mario, la faremo ‘sta rivoluzione”. All’interno, per ricordare Monicelli, contributi di: Bertolucci, Crespi, Fofi, Placido, Scola, Veronesi.

Il Foglio: “C’è un nuovo Medvedev a parlare in tv a tutta la Russia (chissà perché?). Il discorso annuale del presidente è una super svolta concreta che assomiglia a un messaggio elettorale per il 2012”. Di spalla la crisi economica: “Perché la generosa Svezia non assiste inerte all’eurotracollo. Tensioni sui debiti dei paesi periferici. Ma Stoccolma aiuta Dublino in nome di export e solidarietà nordica. Ft: rischi per i bond privati”.

Università

Sul Corriere della Sera, in una intera pagina, uno “specchietto” di approfondimento su tutti i capitoli della riforma Gelmini. Ricercatori: il contratto a tempo determinato, tra rinnovo e proroga, può durare fino a otto anni. E al termine di questo periodo, o riesce a diventare professore associato o lascia la carriera universitaria. Se negli anni le università avranno i soldi per assumere, lo faranno con i ricercatori. Altrimenti, non potrà che aumentare il precariato, poiché ogni otto anni le università prenderanno nuovi ricercatori, da rottamare a fine corsa.
Concorsi: quelli veri e propri non ci sono più, e al loro posto arriva una lista nazionale che indica i nomi dei professori idonei. E’ valida 4 anni, viene stilata da una commissione di 4 professori sorteggiati: pescando da quell’elenco le singole università decidono quali docenti assumere.
Legami familiari: dalla lista nazionale le università non possono chiamare professori che sono parenti, fino al quarto grado, di chi già lavora nello stesso ateneo. La norma potrebbe essere incostituzionale.
Rettori: potranno restare in carica al massimo per sei anni. Nel consiglio di amministrazione entrano anche componenti esterni all’università: i critici dicono che si tratta di una privatizzazione. Il consiglio di amministrazione decide anche quali corsi aprire e quali chiudere. Diventa più importante dal Senato accademico, che è composto solo da docenti.
Borse di studio: a quelle per i bisognosi viene affiancato il cosiddetto fondo per il merito, ovvero borse assegnate per concorso a prescindere dal reddito. Per accedervi è necessario superare un test nazionale al primo anno di università. Il quotidiano fa notare però che la riforma non prevede uno stanziamento ad hoc per questo meccanismo. Diminuiscono le borse di studio per il dottorato di ricerca.
Retribuzioni: non scatti di anzianità, ma di merito. A decidere chi premiare saranno nuclei di valutazione composti da professori interni ed esterni. Restano separate le tre fasce di docenza: ricercatori, associati, ordinari, con tre diversi livelli di stipendio.
Pagina ampia per la riforma anche sul Sole 24 Ore, con pareri a confronto. Il quotidiano riassume così i punti focali della riforma: “Stop ai concorsi locali. Rettori in sella per sei anni. Rigida separazione tra cda e Senato accademico”. Roberto D’Alimonte spiega “perché sì”: “passi in avanti sulla governance”. Non manca però di sottolineare, anche lui, che per esprimere un giudizio sulla riforma bisogna preventivamente distinguere il suo contenuto dal problema del finanziamento del sistema universitario pubblico: molto meglio sarebbe stato che la riforma fosse stata accompagnata da un aumento dei fondi destinati a formazione e ricerca. Spiega “perché no” Roberto Perotti: “si centralizza senza considerare i rischi”, in realtà “una commissione nazionale non è in grado di tenere conto di tutte le variabili individuali e locali. Tra sei anni assisteremo ad un contenzioso infinito, e come già succede oggi, i Tar promuoveranno tutti”. Per Perotti la soluzione è invece lasciar che gli atenei possano decidere in autonomia, ma una commissione – anche internazionale – valuti ogni tre anni la ricerca prodotta: gli atenei che hanno operato bene, ricevono più finanziamenti, a chi ha operato male vengono tagliati i fondi.

Wikileaks

L’Unità scrive che salgono di altri 5,5 miliardi di euro i costi del gasdotto South Stream, concorrente del progetto europeo Nabucco. Lo ha annunciato ieri la società russa Gazprom. I lavori dei tratti sottomarini costeranno 10 miliardi di euro, altri 5,5 quelli terrestri. Questo aumento dei costi significa nuovi contratti di appalto e “altre lucrose intermediazioni”, “alla faccia delle preoccupaziioni dell’Amministrazione Obama”.
Il Riformista: “A Mosca ricordano che l’accordo South Stream fu firmato da Prodi”.
Tra le rivelazioni Wikileaks, il Corriere dà rilievo ai dispacci che l’ambasciatore Usa Spogli inviava al Dipartimento nel 2008, anno della guerra russo-georgiana: “Berlusconi e Putin si sono già parlati  e ci aspettiamo che la Russia cerchi di sfruttare la relazione personale tra i due per spingere l’Italia e fare fallire gli sforzi per condannare le azioni di Mosca nelle sedi internaizonali”, scriveva Spogli spiegando perché “gli italiani non ci aiuteranno per una dichiarazione nel Conisglio del Nord atlantico”.  E a Ferragosto, l’ambasciatore, in un dispaccio intitolato “sfatare il mito dell”equilibrio’ italiano sulla Georgia”, Spogli spiegava che la stretta relazione del governo italiano con la Russia “potrebbe presto diventare un punto di frizione nei rapporti tra Usa e Italia”, “nella migliore delle ipotesi, l’Italia eviterà di pronunciare dichiarazioni forti o di fare pressioni sulla Russia. Nella peggiore, l’Italia potrebbe lavorare per distruggere la determinazione degli altri alleati nelle sedi internazionali, incluse la Nato e l’Unione Europea”. E nel dispaccio si citava anche il fatto che “molti dei nostri interlocutori chiave in Parlamento e nel ministero degli esteri non sono raggiungibili”: in quei giorni vi furono infatti anche polemiche per le vacanze del ministro Frattini alle Maldive, non interrotte, malgrado la crisi nel Caucaso.

L’inserto R2 della Repubblica è interamente dedicato a “tutti i segreti di Wikileaks”, dove si spiega dove vi siano computer in bunker atomici, e finanziamenti da donazioni volontarie: “Ecco come lavorano giornalisti e hackers del sito che sfida il potere”. Julian Assange viaggia sotto falso nome, usa telefoni criptati e paga solo in contanti, evita gli alberghi. Eppure, scrive Federico Rampini, l’inizio della storia di Wikileaks è diversa. Catalogato il suo battesimo nel 2006 come un “organo di informazione internazionale non profit”, si autodefinisce “un sistema a prova di censura”, per generare fughe massicce di documenti riservati senza tradirne l’origine”. Un anno dopo il suo lancio sul sito c’erano già 1,2 milioni di documenti, e all’inizio Assange non figurava come il capo: a quei tempi l’organizzazione si descriveva come un collettivo animato da noti dissidenti cinesi, giornalisti in lotta contro le dittature, matematici ed esperti informatici di vari Paesi del mondo. La componente cinese nel nucleo fondatore è molto importante. E nei primi anni la battaglia è rivolta soprattutto contro i regimi autoritari e i genocidi: nel 2008 Wikileaks ottiene un riconoscimento da Amnesty per le rivelazioni sulle esecuzioni sommarie della polizia in Kenya. Tutto cambia di colpo nell’aprile 2010, quando su Wikileaks appare il video di una strage di civili iracheni da parte di soldati Usa, poi a luglio i documenti sulla guerra in Afghanistan, e poi in Iraq, per arrivare ai dispacci del Dipartimento di questi giorni: l’America di Obama diventa il bersaglio numero 1. In coicidenza con questa svolta, aumenta  a dismisura la visibilità di Wikileaks. Emerge come leader l’australiano Assange”.
Sullo stesso inserto una riflessione di Giancarlo Bosetti sulle conseguenze che potrebbe avere, anche in Italia, la pubblicazione dei documenti di Wikileaks: essa “fa cadere le quinte”, scopre cosa c’è dietro quella facciata che “in diplomazia è fondamentale”. Permette quindi di leggere, ad esempio, nella sua realtà, i “successi internazionali” vantati dal nostro Presidente del Consiglio, che diceva di essere stato artefice dell’accordo Obama Medvedev sugli armamenti nucleari, o si spacciava per grande amico del Presidente Usa. “Chi si tiene informato sa che questi sono scenari di cartapesta – scrive Bosetti – come quelli preparati per il g8 a Pratica di Mare, niente più che fondali per le convention, ma gli informati sono una minoranza e le diplomazie non possono scoprire, per definizione, le carte. Dunque quando Obama incontra Berlusconi, non potendo evitare l’evento, gli dice: ‘E’ bello incontrarti, amico mio’. Anche se al Dipartimento di Stato sono ovviamente in corrente delle indagini in corso sui suoi sospetti affari con Putin”.
Il Corriere della Sera dà notizie dalla decisione di Daniel Domscheit Berg ed Herbert Snorasson, entrati entrambi in conflitto con il sito di Assange. Il primo era il “condirettore” di Wikileaks, il secondo era un volontario. Lanceranno a metà dicembre un “sistema simile a Wikileaks”, e consentirà alla stampa e ad alcune organizzazioni di “ricevere documenti e materiali un po’ come li riceve Wikileaks”. “Seguiamo lo spirito originario di aprire i goberni”, dice la parlamentare islandese Birgitta Jonsdottir, attivista per la libertà di espressione, perplessa sulla eccessiva attenzione allo scontro tra Assange e il Pentagono. “Stavolta non ci sarà un unuco capo. Non è bene avere una sola persona al comando, perché il messaggero può diventare il messaggio”, dice.

E poi

Sul Corriere della Sera si dà notizia della decisione di un giudice federale di Oklahoma city che ha bloccato la certificazione di un referendum con cui il 70 per cento degli elettori aveva detto sì ad una modifica alla costituzione dello Stato per bandire la legge islamica. “Per il magistrato il no alla sharia è incostituzionale negli Usa”, sintetizza il quotidiano. La decisione ha scatenato un putiferio nello stato ultraconservatore, molti si sono chiesti come abbia potuto un magistrato annullare la volontà popolare. Il verdetto è arrivato dopo un ricorso del direttore esecutivo del Council on american islamic relations, che aveva sporto denuncia chiedendo un divieto formale ad attestare l’idoneità dell’emendamento che vietava preventivamente l’introduzione della sharia.
Da segnalare sul Il Riformista un articolo firmato da Chicco Testa e dedicato al vertice sui cambiamenti climatici di Cancun. Testa scrive che “se persino Repubblica” non scriveva ieri una riga sul summit, vuol dire che “il mondo in un anno si è capovolto”. E’ “cambiata l’agenda”; nel senso che la crisi economica domina i pensieri, ed ha fatto anche contenti i “teorici della decrescita”, nel senso che ha ridotto le emissioni di Co2 nel mondo.
Sul Sole 24 Ore un intervento della Commissaria Ue Connie Edegaard sulla conferenza di Cancun (a Cancun sarà necessario far progredire l’espansione del mercato internazionale del carbonio per sfruttare l’enorme potenziale di riduzione delle emissioni nelle principali economie emergenti).
Su La Stampa, nell’inserto Tuttoscienze, parla del rapporto della Pontificia accademia delle scienze su i benefici che possono derivare dagli Ogm: “possono essere molto signifficati per gli agricoltori più poveri, e specialmente per donne e bambini”, le piante Ogm di cotone e mais, resistenti ai parassiti, hanno fortemente ridotto l’uso di pesticidi, hanno contribuito ad aumentare i raccolti, hanno dimunuito il tasso di povertà.
La pagina delle opinioni del Corriere parla dell’ultimo rapporto  Eurobarometro, che legge le opinioni degli europei incrociandole con i dati relativi alle loro credenze religiose. Si scopre che se si chiede agli europei chi debba prevalere tra scienza e religione, l’appartenenza confesionale non conta più: i musulmani si dividono, poichéilò 57 per cento preferisce la scienza, quasi al pari dei cattolici e dei non religiosi, poiché in etrambe queste due categorie il 55 per cento antepone la scienza alla fede. Diversa è invece la posizione tra i protestanti: per il 57 per cento di loro l’etica deve prevalere sulla scienza.

(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)