La Rassegna Stampa: Le rivolte in Algeria e Tunisia? Colpa di leader troppo logori

Pubblicato il 10 Gennaio 2011 in , , da Vitalba Paesano

Le aperture

Corriere della Sera: “Tensione sul referendum Fiat. Cgil e Fiom tentano di evitare la spaccatura sul voto per Mirafiori. Insieme allo sciopero del 28”, “stelle a cinque punte e scritte contro Marchionne a Torino”. In alto, in prima, una foto dalle manifestazioni di protesta in Tunisia: “Fuoco sulla rivolta in Tunisia. L’opposizione: già 20 morti”, “l’ondata di proteste in Nordafrica accesa da aumento dei prezzi degli alimentari e disoccupazione giovanile”.

La Repubblica: “Strage, America sotto shock”, “‘il killer legato a un gruppo di razzisti bianchi’, migliora la deputata”. Nell’occhiello: “Lo sceriffo accusa le campagne di insulti della destra. Molti parlamentari ora hanno paura. La Gifford in grado di comunicare”.
E poi: “Fiat, niente intesa tra Fiom e Cgil. Stella Br a Torino”. A centro pagina: “Federalismo a rischio, il Pdl pronto a trattare”, “legittimo impedimento, domani si riunisce la Consulta”.

L’Unità ha una grande foto di Berlusconi sotto il titolo “Incubi e sospetti”. Ci si riferisce ad un sospetto su un asse Bossi-Tremonti, alla questioni giudiziarie e all’allarme sul caso Feltri. In taglio basso l’attentato di Tucson: “Si cercano i complici. Palin cancella la ‘lista’”. E poi: “La rivolta dilaga nel Nordafrica”.

Il Foglio: “Se il Cav e Tremonti litigano sui soldi”. “La crisi c’è o no? Il ministro dell’Economia, amico di Bossi, è il crocevia di ogni tentazione post-berlusconiana”. L’elefantino nel suo editoriale si occupa di Fiat: “Marchionne e l’immortale consociativismo delle classi dirigenti”.

La Stampa apre con una intervista all’ambasciatore Usa a Roma, David Thorne (la prima dopo le rivelazioni di Wikileaks): “L’asse Berlusconi Putin? Non è più un problema”, “l’ambasciatore Usa: con Eni e governo dialogo costruttivo”. Di spalla: “Arizona, l’FBI a caccia dei segreti del killer solitario. Migliora la deputata Gifford”. Si scrive anche che la bambina vittima era nata l’11 settembre”. Dalla Tunisia: “La polizia spara: è strage”, “uccisi 50 manifestanti”, e in evidenza l’ammonimento degli Stati Uniti: “Vanno rispettate le libertà democratiche”. Un richiamo anche su Mirafiori: “Fiat, Fiom e Cgil restano divise”.

Il Giornale ha in prima una grande foto di Massimo D’Alema, a Saint Moritz. E l’attenzione è puntata su chi lo ha ospitato, ovvero l’imprenditore Dante Mazzitelli: “La sinistra a Saint Moritz con mister ecomostri. Il leader Pd ospite in vacanza del costruttore al centro dello scandalo Fuenti, l’albergo che ha deturpato la costiera amalfitana. Lui minimizza, fa l’offeso, ma…”. Polemico il titolo sull’attentato dell’Arizona: “Sulla strage Usa i pregiudizi italian-chic. I giornali americani si fanno domande, quelli di casa nostra hanno già la verità: ‘colpa della Palin'”.

Maghreb

La Repubblica intervista l’islamologo francese Gilles Kepel. Cosa accomuna Algeria e Tunisia, i due Paesi in cui sono scoppiate le proteste? Kepel dice che i moti si sono prodotti “simultaneamente e in situazioni sociali simili, in due Stati che, però, hanno caratteristiche economiche molto diverse; l’Algeria è un Paese estremamente ricco, non ha quasi più debito straniero. Mentre la Tunisia non ha una economia fiorente. Quel che li accomuna è il fatto di essere guidati però da due “leader logorati, come il Presidente tunisino Ben Ali e quello algerino Bouteflika”: “Non hanno rinnovato il loro entourage politico, né trovato delle soluzioni creative, di fronte alla inquietudine sociale e alla crescita demografica”. Spiega Kepel che si tratta di una gioventù povera, nata dall’esodo rurale, e proveniente dalle province remote del sud della Tunisia, o nelle periferie di Algeri, e altre grandi città dell’Algeria: “In tutte e due le nazioni i regimi al potere negli ultimi anni hanno tenute tranquille le classi medie salariate dividendo con loro alcuni profitti economici statali. In cambio hanno escluso questa parte della popolazione da tutte le decisioni politiche, così in Tunisia è la polizia che governa, in Algeria l’esercito”- I giovani disoccupati sono descritti da Kepel come una massa di miserabili moderni che ricordano quelli di Hugo: cercano di attaccare non solo i Palazzi del governo, ma i quartieri della classe media.
Il politologo Vali Nasr viene invece intervistato dal Corriere della Sera si sofferma proprio sulla mancata creazione in Medio Oriente di una vera classe imprenditoriale privata, e parlando di Algeria e Tunisia, dice: “La base della piramide demografica è sempre più larga. Egitto, Iran, Magheb, penisola arabica, non sanno come impiegare i loro giovani”, “le imprese statali sono in deficit, e l’imprenditoria privata praticamente non esiste”, nel mondo arabo la borghesia lavora per lo Stato, nelle aziende pubbliche, per l’industria petrolifera statale. Nessuno pensa a creare posti di lavoro”. E il tutto è aggravato dal fatto che di fronte alla disoccupazione gli europei non siano più disposti ad accogliere immigrati. Per Nasr le rivolte sono solo all’inizio, perché “la crisi è profonda, strutturale. Cercheranno di approfittarne i gruppi dell’islam radicale. Ma non credo sia una minaccia reale per quei Paesi”, perché hanno polizie forti. Servirebbero però riforme radicali, l’abbandono di una moribonda economia assistita, ma nessun governo da quelle parti è disposto a diventare ancor più impopolare.
Il Corriere della Sera ospita un articolo di Predrag Matveevic (“Il senso del pane tra civiltà e barbarie”).

Tucson

L’inviato a Tuscon de La Stampa racconta che l’attentatore, Jared Lee Loughner, aveva già presenziato a comizi della deputata democratica nel 2007, seguendola poi in altri incontri pubblici. Questo avvalora i sospetti che si trattasse di un piano preparato da molto tempo. Un memorandum del ministero della sicurezza interna lo identifica come un seguace di “American Reinassance”, un violento gruppo suprematista bianco che si distingue per gli attacchi contro gli immigrati e gli ebrei. La Gifford è ebrea, frequenta la Sinagoga, ed è la bisnipote di un rabbino lituano che negli anni 40 lasciò New York per trasferirsi in Arizona. Lo sceriffo Dupnik sarebbe però prudente sulla pista razziale perché una abbondante mole di documenti video e scritti del killer sul web suggerisce anche la possibilità di un giovane disadattato con  gravi problemi mentali. E si cita ad esempio una specie di suo manifesto: “Il governo è implicato nel controllo delle menti della gente e nel lavaggio del cervello collettivo attraverso l’uso della grammatica”. Oppure, contro l’uso del dollaro: “Dobbiamo cessare di usare i biglietti verdi perché sostengono il debito pubblico, il dollaro non è più sostenuto da un reale valore in oro e argento. Non crederò più a Dio”.
Il Corriere della Sera riferisce di un suo professore che lo descriveva come un paranoico. Nel 2007 è stato fermato per droga, l’anno dopo cerca di arruolarsi ma è respinto per i suoi precedenti (droga, alcolismo, eccetera). Cacciato dal college, poi riammesso, ma sempre con problemi.
Anche il Corriere riferisce della pista razziale, così come fa l’inviato de La Repubblica, dove torna una ossessione legata alla grammatica, allorché, in un appunto, l’attentatore diceva che nessuno nel distretto conoscesse quella inglese: un cavallo di battaglia della destra xenofoba è infatti l’esame obbligatorio di inglese come barriera per il permesso di residenza. E proprio Tucson è diventata, con l’ascesa della destra repubblicana, il laboratorio delle politiche anti-immigrati.
La Repubblica intervista anche il sindaco di Tucson che, alla domanda se è vero che la Gifford sia stata sempre odiata dalla destra repubblicana e dai Tea Party, risponde: “La realtà è più complessa di quel che potrebbe apparire. Conosco bene Gabby (Gabrielle Gifford), siamo amici da tempo, anche se non militiamo nello stesso partito” (lui è Repubblicano ndr), “la Gifford è stata sempre una vera donna del west: le piace andare a cavallo e in motocicletta, si è sposata con un astronauta, ha avuto posizioni molto autonome nel Partito democratico. Sì, ha difeso la riforma sanitaria, ma si è anche battuta per il diritto dei cittadini a possedere le armi, per maggiori controlli alla frontiera e persino contro l’obbligo del casco in moto. Insomma, non è mai stata una vera ‘liberal’, come tante sue colleghe della costa est.
Il sindaco ammette che nelle elezioni di mezzo termine lo scontro è stato molto forte, quando ha dovuto confrontarsi con Jesse Kelley, un ex combattente sostenuto da Tea Party: i toni si sono fatti molto aspri, forse troppo, ma alla fine ha vinto di nuovo Gabby.
L’Unità intervista la politologa Nadia Urbinati, che punta l’attenzione sui Tea Party, la cui politica “è pericolosissima, perché crea le condizioni culturali, ideologiche, politiche che possono condurre l’America verso la guerra civile. Oggi, l’America è fatta di due popoli che non si parlano”. Urbinati sottolinea che il Tea Party è un movimento “negazionista”: nel senso che non riconosce Obama come presidente degli Stati Uniti, arrivando a mettere in dubbio che sia un cittadino americano; ed è negazionista nel senso che da due anni coltiva un progetto sistematico di trasformazione della propaganda in informazione, e dell’informazione in propaganda. Per cui, ad esempio, la riforma sanitaria viene chiamata “socialista”.
Molto polemici, come scrivevamo, i titoli de Il Giornale, che se la prende con Repubblica, Unità e Stampa, che si sono affrettati a sostenere che il “folle” attentatore era stato in qualche modo armato da Sarah Palin e i Tea Party. Il quotidiano insiste invece sul fatto che il killer avesse invece disturbi mentali, e sottolinea che i suprematisti bianchi con la Palin e i Tea Party “non c’entrano nulla”.

Usa-Italia

L’ambasciatore Usa in Italia David Thorne, intervistato da La Stampa, alla domanda su cosa si pensi a Washington del governo Berlusconi, risponde: “C’è grande apprezzamento. Ho lavorato per l’incontro tra il segretario di Stato Hillary Clinton e il premier Berlusconi in Kazakhstan, proprio per sottolinearlo. E credo che nei prossimi tempi vi saranno ulteriori sviluppi per rafforzare il dialogo tra le leadership dei nostri due Paesi”. Pensate a una linea rossa tra la Casa Bianca e Palazzo Chigi? “Non ne voglio parlare ma l’Italia è uno dei nostri partner più importanti, e abbiamo bisogno di un livello di comunicazioni bilaterali che sia conseguente”. Sulle preoccupazioni Usa per la vicinanza Berlusconi-Putin, alla domanda se gli Usa siano ancora preoccupati come un anno fa, Thorne risponde: “No, non più. Siamo meno preoccupati di allora. L’Italia è stata una forte sostenitrice del riavvicinamento con la Russia, e questa è anche la posizione di Obama. Vi sono stati progressi con la Russia che hanno migliorato lo scenario”.

E poi

L’Unità, nell’inserto “cose dell’altro mondo”, propone ai lettori un articolo dall’Independent sul suicidio dei contadini senza acqua in India; un intervento di Anne Applebaum sulla Russia e il prezzo del petrolio; una analisi sul divorzio tra Julian Assange e il Guardian.
La Repubblica, nel suo inserto R2, si occupa invece di Russia, offrendo ai lettori interventi di Viktor Erofeev, e una intervista ad Adam Michnik, sulla repressione a Mosca.
Sullo stesso quotidiano segnaliamo anche una intervista-provocazione dell’intellettuale francese Regis Debray, riassunta nel virgolettato “No al mondo globale, torniamo alle frontiere” (“Elogio delle frontiere”, è il titolo del suo ultimo libro). E ancora, su questo stesso quotidiano, la recensione firmata da Pietro Citati del libro “Il romanzo di Costantinopoli (Silvia Ronchey e Tommaso Braccini).

(Fonte: La Rassegna Italiana di Caffè Europa, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)

One thought on “La Rassegna Stampa: Le rivolte in Algeria e Tunisia? Colpa di leader troppo logori

  1. Allons enfants de la Tunisie!!

    I fatti recenti di Tunisi sono solamente i prodromi di quello che accadrà nelle capitali europee nei prossimi anni. Ho conosciuto il caratterino dei tunisini nei primi anni 80 quando terminati gli studi, andai a Tunisi per meccanizzare la BNT (Banque Nationale de Tunise) in Avenue Bourguiba.
    Ho sempre apprezzato la loro fierezza, la voglia di libertà e l’intolleranza nei confronti delle ingiustizie Credo che i francesi abbiano contribuito non poco nel trasmettere loro la paura del giogo di “padroni” ladri di pollame e vigliacchi come i componenti della famiglia di Ben Ali, inquietanti analogie con Marcos e Imelda, ma qui la collezione di scarpe, non centra.
    Miserabili parassiti che hanno rubato a piene mani salassando di fatto un paese turistico e florido, molto vicino alla cultura laica e liberale europea.Giudicare i fuggitivi è cosa inutile, speriamo che qualche altro bastardo come loro non si appropri del posto vacante.
    Certo che la fame è brutta cosa e distruggere di fatto un paese a causa dell’aumento di pane e latte è incomprensibile, come è potuto accadere tutto ciò a due passi dalla ricca e opulenta Europa?
    Dettaglio non trascurabile, i Tunisini di fatto con la gravità della loro rivoluzione potrebbero aver spalancato le porte alla Sharia, la legge dei folli e delle tenebre, attention enfant!

Comments are closed.