La Rassegna della Stampa: Il gioco delle parti e la fiducia nel futuro

Pubblicato il 13 Gennaio 2011 in , , da Vitalba Paesano

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Fiat, Berlusconi con Marchionne. ‘Se vince il no giusto andar via’. Attacchi da Bersani e Camusso.Tensione a Mirafiori alla vigilia del voto sull’accordo. Contestato il presidente pugliese”. L’editoriale è firmato da Giovanni Belardelli: “La politica ai cancelli”. “Da Berlinguer a Vendola”.
A centro pagina un titolo sulla decisione di oggi della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento: “Consulta, oggi il verdetto. Il premier: io indifferente”. Il quotidiano riferisce in prima anche della decisione della Corte di dare il via libera a 4 referendum su acqua e nucleare. La foto di un blindato a Tunisi campeggia al centro della pagina: “Morti e coprifuoco in Tunisia”.

La Repubblica, con foto di Berlusconi e Marchionne: “Con il no giusto che la Fiat vada via. Oggi e domani il referendum a Mirafiori, polemica per i capireparto che spiegano l’accordo in fabbrica. Il premier con Marchionne. Camusso e Bersani: una vergogna”. A centro pagina: “Ancora morte e sangue a Tunisi, scatta il coprifiuoco”. Il titolo di apertura: “Consulta, Berlusconi attacca i giudici: ‘sono una malattia’”.

Il Foglio, che aveva invocato un intervento del Premier: “Il Cav rompe il silenzio per dire che adesso è marchionnian pure lui. Berlusconi capisce perché la Fiat potrebbe emigrare se vincesse il no. Marchionne: ‘Abbiate fiducia’. Giavazzi: il governo fa poco” per sostenere lo “choc positivo” di Marchionne.

Il Giornale.  “Vendola, vai a lavorare. Contestato dagli operai Fiat. Il governatore che piace alla sinistra respinto a Mirafiori: con orecchini e demagogia non si campa. Berlusconi si schiera: se vince il no, giusto lasciare l’Italia”. Di spalla un titolo sulla decisione della Corte Costituzionale: “Oggi si decide. L’ora della verità sul legittimo impedimento”.

Libero: “Fini sconclusionato. Ammette la sconfitta ma detta le condizioni, si professa bipolarista e fonda il terzo polo, dice che Tremonti fa bene ma anche no. E quando gli chiedono se è di destra, balbetta. Parte la fronda nel Fli. Otto parlamentari: Gianfranco, o ti dimetti o ce ne andiamo”. A centro pagina una caricatura di Stalin con il cappello della Fiom e l’orecchino: “Se vince la Fiom, l’industria è morta”.

Il Riformista: “Ultima chiamata. Dal caso Fiat alle alleanze: il Pd ha una parola chiara? Oggi la Direzione. Infuria lo scontro su Mirafiori. Si va verso una conta sul documento di Bersani. Che oggi torna ad attaccare Marchionne”: A centro pagina: “Berlusconi è già in campagna elettorale. Aspettando la Consulta, il premier torna ad attaccare i giudici. A Letta l’estremo tentativo di ottenere di più dall’Udc”.

Il Fatto quotidiano apre con un riferimento al successo da best seller ottenuto in Francia da un libriccino firmato da Stéphane Essel, resistente francese deportato a Buchenwald, dal titolo “Indignez-vous”, e titola: “Indignatevi”. “500 mila copie vendute in Francia, l’autore è un partigiano di 93 anni che ricorda i valori per cui si è battuto. E in Italia? A Mirafiori sono a rischio i diritti dei lavoratori. Intanto il premier minaccia i giudici e si sente al di sopra della legge”. 

L’Unità ha in prima una grande foto di Berlusconi con cappello texano: “L’anti italiano”, “‘La Fiat se ne va? Fa bene’. Berlusconi favorevole al trasloco della maggiore industria del Paese. Bersani e Camusso: si vergogni”. E in prima il richiamo a un editoriale del responsabile economia del Pd Stefano Fassina, dal titolo: “Un premier irresponsabile”. Si scrive poi che “Marchionne gioca sporco. A Mirafiori, alla vigilia del referendum, i capi-reparto bloccano il lavoro e organizzano assemblee per il sì”.

Fiat

Il sindaco di Torino Sergio Chiamparino viene intervistato dal Riformista e risponde su Fiat, Marchionne, e dichiarazioni di Berlusconi (Marchionne fa bene ad andarsene se vince il no). Chiamparino dice che, per quanto riguarda il referendum, la gente è infastidita dal tentativo di politicizzare una questione sindacale, economica e sociale. E soprattutto la città sa che Marchionne è stato l’uomo che ha salvato il gruppo Fiat e che, insieme agli enti locali, ha impedito la chiusura di Mirafiori”. Ricorda il sindaco che nel 2003 – 2004 Mirafiori era “praticamente chiusa”, al punto che “c’erano già alcune proposte per riconvertire quell’area persino in un mastodontico parco dei divertimenti, una specie di Gardaland di Torino, non so se mi spiego”. Chiamparino si dice “esterrefatto” per tutte le polemiche su Marchionne, l’Ad della Fiat sta solo proponendo un nuovo modo di lavorare. Nel settore del tessile o dell’alimentaristica lavorano così da venti anni. “Ma soprattutto sono senza parole perché, in qualsiasi altra parte del mondo, uno che mette sul tavolo un miliardo di investimenti sarebbe stato accolto con il tappeto rosso”. Quanto all’appesantimento dei carichi di lavoro, dice: “L’appesantimento c’è e va compensato. Alzando i salari e coinvolgendo sempre di più il sindacato nelle decisioni dell’azienda”. Modello tedesco? “Secondo Chiamparino sì, perchè “se al referendum vince il sì, tutte le strade sono praticabili”.
Il Corriere punta l’attenzione sulla Direzione del Pd, prevista per oggi, cui prenderanno parte tanto il sindaco di Firenze Renzi che quello di Torino, Chiamparino. Quest’ultimo viene descritto come “fuori dalla grazia di Dio” per l’atteggiamento assunto da Bersani e D’Alema sulla Fiat, che considera troppo appiattita sulla Cgil. Sulla questione Mirafiori il partito è spaccato, anche trasversalmente: Enrico Letta e i suoi, che pure fanno parte della maggioranza, la pensano come Veltroni e Chiamparino e non come Bersani e D’Alema: e infatti poco hanno gradito l’idea del segretario di far votare oggi la sua relazione, perché per loro sarà imbarazzante approvare un testo in cui sulla Fiat si usa lo stesso linguaggio della Cgil”. Per questo, è in corso un pressing sul Segretario per non metterla ai voti, come invece vorrebbe Franceschini, puntando a prefigurare una nuova maggioranza interna. Altro punto su cui il Pd si divide, sono le primarie, che il Segretario vorrebbe “riformare”. I “rottamatori” di Pippo Civati invece -scrive L’Unità– avvertono: “le primarie non si toccano”. Sullo stesso quotidiano, intervista al sindaco di Firenze Renzi, che ieri non ha preso parte alla contro-direzione organizzata dai rottamatori: “Io sto con Marchionne -dice- Il primo diritto è lavorare”.
 
Tunisia

“La chiamano la rivoluzione dei gelsomini”, quella in corso in Tunisia. Ne parla Il Riformista, che pubblica anche testimonianze anonime del blog dell’opposizione Nawaa.org.
Ieri -racconta La Repubblica– è stato ‘silurato’ il ministro dell’Interno, in una capitale che si è svegliata con i carrarmati per strada. Non confermata, invece, la notizia del licenziamento del capo di Stato maggiore dell’esercito.
Il Foglio scrive che la giornata di ieri si è conclusa con il coprifuoco sa Tunisi: il divieto di circolazione è iniziato alle otto di ieri sera e il governo del presidente Ben Ali  ha stabilito che così sarà per le notti a venire. Il quotidiano parla di voci su un possibile colpo di Stato che circolerebbero da ieri, da quando un network tunisino ha diffuso la notizia che i militari, solidali con la piazza, sarebbero pronti a destituire il presidente: ma “l’ipotesi è stata smentita dal giornalista Ziad el Heni, portavoce del movimento di protesta, che si oppone ai tentativi di ‘islamici e comunisti’ di metter il cappello sulle manifestazioni”.
L’analisi de Il Giornale sotto il titolo: “In Tunisia militari pronti al colpo di Stato”, “Il presidente Ben Ali rischia una nemesi storica: fu lui a prendere il potere con un golpe nel 1987 in seguito ad analoghe proteste di piazza”, destituendo Bourguiba.

Libano

Mentra il primo ministro sunnita Hariri si trovava begli Usa per incontrare il presidente Obama, dal suo Libano arrivava la minaccia di dimissioni dei ministri di Hezbollah: minaccia poi concretizzatasi nel pomeriggio, aprendo ora la strada alla caduta del governo “di unità nazionale”. “Hezbollah contro il Tribunale Onu, crisi in Libano, cade il governo Hariri”, titola La Repubblica. E la reazione della Clinton: “é un tentativo di sovvertire il cammino della giustizia”. La crisi era in incubazione dal luglio scorso, quando hanno cominciato a trapelare “indiscrezioni secondo cui, dopo aver accusato i vertici siriani e alcuni esponenti dell’apparato di sicurezza libanese, sulla base di testimonianze poi rivelatesi false, gli inquirenti del Tribunale (che indaga sull’omicidio di Hariri padre, ndr) staerbbero per puntare il dito su alcuni esponenti di Hezbollah”. Undici ministri si sono dimessi, chiedendo al presidente di avviare le consultazioni per un nuovo esecutivo, scrive Il Foglio: “l’esecutivo libanese h amostrato grandi segni di debolezza durante l’intero mandato: si è riunito soltanto una volta negli ultimi due mesi”. Dieci dei ministri che hanno presentato le dimissioni fanno capo a Hezbollah: ma -sottolinea il quotidiano- era necessario un undicesimo per far cadere il governo. E lo hanno trovato in Adnan Sayyed Hussein, che ha l’appoggio del presidente Suleiman e che ha esplicitamente sottolineato quanto la sua decisione fosse “in armonia cone le politiche sponsorizzate” dal capo dello Stato.

E poi

Marine Le Pen, figlia di Jean-Marie, leader del Front national francese, viene intervistata dal Corriere della Sera e dice: “Sono l’erede di mio padre, ma non faccio più paura”, “convincerò i delusi da Sarkozy”. Cosa propone ai francesi? “Il ristabilimento della legge repubblicana nelle strade occupate illegalmente dalle preghiere islamiche, che non sono solo atti religiosi ma politici. La difesa della laicità e la preferenza nazionale: a parità di competenze, dare casa, lavoro, aiuto sociale ai francesi. Ancora: l’uscita dall’Europa e dall’Euro, lo stop all’immigrazione e un protezionismo ragionevole che è poi la politica messa oggi in atto da America e Cina”.
Anche su Libero: “La dinastia Le Pen: Marine aspetta la poltrona di papà. I sondaggi sorridono al partito che sabato elegge il succcessore”: in lizza Marine e il vice, Bruno Gollnisch. Lei è avvocato, divorziata, 3 figli.
“Se il Tea Party decide chi è americano e chi no” è il titolo di un commento firmato da Nadia Urbinati, che compare oggi su La Repubblica, e che prende spunto dalla strage di Tucson. La Urbinati ricorda che il giorno stesso in cui Obama terminava la conferenza stampa che chiudeva l’anno, i blog del Tea Party lanciavano l’ennesimo attacco al presidente nero, mettendo ancora una volta in dubbio la sua origine americana. La Costituzione vuole che il presidente statunitense sia nativo, born in the Usa, e da quando è stato eletto la prima campagna contro Obama è stata orchestrata in nome della sua non natività.
Il Fatto intervista il regista iraniano Panahi, che racconta i suoi “ultimi giorni di libertà”: “tra breve finirò in carcere e per 20 anni non potrò più esprimermi”. Ha presentato un ricorso alla Corte d’Appello ed è in attesa del responso. Il quotidiano si appella a Nanni Moretti perché levi la sua voce a difesa di Panahi e invita al boiccottaggio del Fajr Film Festival, che si terrà a febbraio in Iran.
Il Corriere da’ conto delle conclusioni cui è giunta l’inchiesta sulle cause della sciagura aerea di Smolensk, che portò alla morte del capo dello Stato polacco Lech Kaczynski e di altre 95 persone: “Il rapporto finale di Mosca: fu il presidente a chiedere l’atterraggio. L’irritazione di Varsavia”. Avrebbe pesato la pressione del presidente sui piloti, malgrado le cattive condizioni metereologiche, in modo da non tardare alle celebrazioni per i 70 anni dell’eccidio di Katyn.

(Fonte: La rassegna stampa di Caffè Europa di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)