Il disgelo cubano: approfondimenti

Pubblicato il 14 Agosto 2015 in , da Vitalba Paesano

Ad oltre 50 anni dall’interruzione delle relazioni politiche, Stati Uniti e Cuba stanno portando avanti un moderato ma costante processo di riavvicinamento diplomatico che ha già trovato una sua prima compiutezza nella simbolica riapertura delle rispettive ambasciate a Washington e L’Avana. A definire il reset nei rapporti bilaterali è stata una telefonata tra i presidenti Barack Obama e Raùl Castro avvenuta il 17 dicembre scorso, nella quale i due leader annunciavano l’inizio di una nuova fase storica. Sebbene la visita a L’Avana del segretario di stato Usa John Kerry rappresenti un ulteriore importante tassello nel rinato dialogo politico, permangono ancora innumerevoli questioni di scontro. Così tra interessi contrapposti sul piano interno ai due Paesi, alla regione e al continente, il re-engagement di Cuba nel sistema internazionale potrebbe segnare una nuova vittoria nella strategia di politica estera dell’amministrazione Obama, nonché la più grande opportunità per Castro di incamminare il paese verso una transizione democratica.

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Stati Uniti e Cuba,

in attesa della fine dell’embargo

 Anna Ayuso Pozo

Per oltre cinquant’anni l’embargo commerciale nei confronti di Cuba – iniziato dal presidente Dwight Eisenhower nel 1960 – ha impedito a due paesi distanti appena 150 chilometri lo sviluppo di normali relazioni economiche. L’apertura delle ambasciate di Cuba e Stati Uniti il 20 luglio 2015 porrà fine formalmente a quel muro politico e diplomatico che li divide, ma una normalizzazione delle relazioni economiche sarà tuttavia molto lenta e complicata.

Fin dalla rivoluzione cubana del 1959, l’isola passò dall’essere un Paese economicamente dipendente dagli Stati Uniti a diventare uno stato legato al blocco sovietico e all’attuazione di un’economia centralizzata e pianificata. Reputata strategica dal Cremlino, l’economia cubana fu sovvenzionata da Mosca per anni, permettendo all’isola di definire e conquistare alcuni standard qualitativi di sviluppo sociale in temi delicati come l’istruzione e la sanità superiori alla media dell’America Latina. Tuttavia dalla fine della Guerra Fredda nel 1989, il metodo di sovvezionamento sovietico terminò e l’economia cubana andò incontro a un collasso di sistema che provocò non solo la più grave crisi economica dell’isola dai tempi della rivoluzione (meglio noto come “periodo speciale”), ma anche effetti ben peggiori dello stesso embargo statunitense. Una situazione, questa, che divenne insostenibile durante gli anni Novanta a causa della promulgazione di due dispositivi normativi (Legge Torricelli del 1992 e Legge Helms-Burton nel 1996) che ancora oggi rappresentano il principale ostacolo alla revoca dell’embargo da parte del Congresso a maggioranza repubblicana.

L’avvento al potere di Hugo Chávez in Venezuela e una tendenza al rialzo del prezzo del petrolio, che tra il 2003 e il 2008 è passato da 25 dollari a 146 al barile, sono stati la principale linfa per la sopravvivenza del regime cubano. In quegli anni, L’Avana è stata dipendente dalle esportazioni sovvenzionate di greggio venezuelano, con le quali è riuscita in parte a compensare il crescente deficit della propria bilancia commerciale, la quale nel 2008 aveva raggiunto l’apice di -7.000 milioni di euro (pari a circa al 18,79% del Pil dell’epoca).

Oltre alla rivendita di petrolio, in questi ultimi anni Cuba è stata capace di maturare dividendi grazie soprattutto all’esportazione di prestazioni professionali nell’ambito dei servizi (in particolare medici) che sono a oggi la prima voce dell’export cubano. Questi sono infatti più di 40.000 in Venezuela, ma rappresentano un dato molto rilevante anche in Brasile e in altri paesi dell’America Latina.

La crisi globale del 2008-2009 e la morte di Hugo Chávez (aprile 2013) evidenziarono ancora una volta la vulnerabilità del sistema cubano e l’eccessiva dipendenza dell’isola dal Venezuela, costringendo le autorità cubane a dover intraprendere quel percorso riformista rinviato da anni. Con il cambio alla guida del regime, da Fidel a Raùl Castro nel 2006, a causa dei problemi di salute del primo, e due anni più tardi con le formali dimissioni dello stesso Líder Máximo, si diede inizio a un periodo di transizione, meglio conosciuto come il “rinnovamento del modello economico socialista”. Si posero, quindi, le basi per alcuni cambiamenti strutturali, come ad esempio la concessione dei terreni per la coltivazione, l’accesso diretto ai mercati per il consumo dei prodotti agricoli e l’autorizzazione a 181 attività relative al lavoro autonomo; queste categorie, che oggi raggiungono quasi le 400.000 unità, sono decisamente al di sotto della soglia ipotizzata dal governo (1,5 milioni di lavoratori) da sottrarre al sovraffollato settore pubblico.

Tuttavia per creare più posti di lavoro sono necessarie riforme strutturali più incisive e una capacità di attrazione degli investimenti esteri utili a sviluppare le infrastrutture e a modernizzare l’apparato produttivo. È all’interno di questo nuovo percorso di sviluppo che si è inserita la riforma fiscale del 2013, che comprende una tassa progressiva sul reddito fino al 50%, e per le società fino al 35% in base al tipo di reddito. Nello stesso indirizzo s’inseriscono, anche, l’introduzione di un nuovo codice del lavoro (2013) – che grava notevolmente sulla contrattazione privata – e la nuova legge sugli investimenti esteri (2014), che stabilisce una serie di facilitazioni e garanzie agli investitori, che però dovranno assumere una qualsiasi iniziativa privata solo attraverso lo stato detentore della struttura.

Una delle riforme più complesse rimane ancora oggi l’unificazione della moneta fra il peso convertibile (Cuc) – utilizzato dai turisti – e il peso nazionale (Cup) – destinato ai cubani –, avendo quest’ultimo solo un quarto del valore del primo. In un recente discorso del luglio 2015 dinanzi l’Assemblea nazionale del potere popolare, il generale Raúl Castro ha ribadito nuovamente tale l’obiettivo, rassicurando che i depositi dei cubani non verranno toccati. Tuttavia sono già presenti alcune pressioni inflazionistiche che interessano per lo più i prodotti agricoli. Cuba importa oltre il 70% dei suoi prodotti alimentari e gli Stati Uniti sono uno dei suoi principali fornitori fin dal 2002, allorquando furono autorizzate dal governo cubano le esportazioni agricole che prima di allora potevano essere effettuate previo pagamento anticipato delle merci.

Negli ultimi anni, Cuba è riuscita a ridurre il debito accumulato dal cosiddetto “periodo speciale”e ad attrarre nuovi investimenti. Da un lato L’Avana è riuscita nel 2014 a farsi ammortare la gran parte dei propri debiti da Russia e Messico (pari rispettivamente al 90% e al 70%), dall’altro il governo ha favorito la concetrazione d’investimenti stranieri nella cosiddetta Zona di sviluppo speciale di Mariel, un’area deputata a ricevere e sviluppare la gran parte dell’attività industriale di Cuba. In questo sito, ad esempio, il Brasile ha fatto importanti investimenti nel nuovo porto. Anche la Cina non è rimasta a guardare e di recente ha firmato quindici accordi di cooperazione su vari temi, divenendo il secondo partner commerciale di Cuba. A garantire una generale ripresa economica dell’isola ha influito anche la rinnovata attrattività turistica esercitata, soprattutto, nei confronti di Canada e Spagna (terzo e quarto partner commerciale dell’Avana): Madrid rappresenta il primo paese sull’isola per investimenti nel turismo, mentre Ottawa con i suoi 1,2 milioni di visitatori annuali (contro gli appena 91.000 degli Stati Uniti) è il principale stato di origine dei turisti stranieri. Anche se in ritardo rispetto ad altri competitorglobali, nel 2014 l’Unione Europea ha deciso di avviare i negoziati per firmare un accordo di cooperazione economica con Cuba abbandonando la rigida “posizione comune” contro il regime castrista.

In questa sorta di corsa all’investimento verso l’isola anche gli Stati Uniti hanno giocato la loro parte. Le lobby dell’agro-alimentare, del turismo, dell’automobile, dei macchinari, delle infrastrutture, delle telecomunicazioni e della farmaceutica hanno dapprima cercato di capire come si sarebbero potute inserire nel contesto cubano alla luce dell’attrazione dei capitali stranieri e del nuovo pacchetto di riforme promosso dal governo, dopo di che hanno sostenuto e appoggiato direttamente il cambiamento di strategia e di approccio politico dell’establishment Usa.

A Cuba l’obiettivo primario è diventato la diversificazione economica in modo da rendere il sistema meno vulnerabile e più sostenibile. Tuttavia la permanenza dell’embargo ha costretto Obama a fare piccole concessioni senza poter intraprendere un percorso di piena normalizzazione commerciale. Lo dimostrano in questo senso sia le misure finora adottate dall’amministrazione Obama – come le facilitazioni sui viaggi, la possibilità d’inviare rimesse, l’importazione di prodotti cubani o l’autorizzazione alla cooperazione finanziaria tra istituzioni statunitensi e cubane –, sia i significativi ostacoli rappresentati dai reclami ufficiali presentati dalle 5.913 società statunitensi contro gli espropri attuati dal governo cubano dopo la rivoluzione del 1959. Parimenti alle resistenze Usa, Cuba ha tenuto un atteggiamento simile intervallando aperture politiche ed economiche a richieste d’indennizzo nei confronti di Washington per il pagamento di oltre 7.000 milioni di euro di danni provocati dall’embargo, una cifra risarcitoria pari alle stesse richieste americane contro i cubani.

Pertanto in questa corsa ad ostacoli verso una stabilizzazione delle relazioni economiche tra Stati Uniti e regime cubano, non risulteranno inusuali ritardi, disagi e fraintendimenti di varia natura da ambo le parti (da un lato gli alibi dei danni provocati dall’embargo, dall’altro la scarsità dei risultati raggiunti con le riforme finora approntate). Per l’interesse economico statunitense una rapida apertura a Cuba forse sarebbe maggiormente conveniente, ma l’incombere della campagna elettorale presidenziale renderà le questioni Cuba ed embargo temi di scontro politico, nelle quali l’ideologia prenderà nuovamente il sopravvento sulla volontà pragmatica di trovare una soluzione a tali argomenti.

Molto probabilmente si dovranno attendere ancora alcuni anni prima di poter mettere la parola fine alla questione embargo.

Anna Ayuso Pozo, Senior Research Fellow CIDOB