Aspettando all’aereoporto, di Pio Iglesias

Pubblicato il 30 Marzo 2010 in , da Vitalba Paesano

Aspettando all’aeroporto fra caldo e ritardi, mentre accendo il pc sperando che il ritardo non sia superiore alla durata della batteria, il rumore di un elicottero in avvicinamento. Esco dalla sala di aspetto e lo vedo atterrare sulla piazzola polverosa proprio davanti a me. Nel mentre arrivano due pick up dell’esercito locale piene di soldati armati e dalle uniformi linde. Dall’elicottero escono due bianchi, uno con i piedi fasciati, la faccia consumata dal sole, protetta da occhiali da sole di marca, l’altro un normale, nessun segno distintivo, ma ambedue sono tirati, dai visi traspara fatica e nervosismo. Dalle pick up scendono i soldati, portandosi sulle spalle in precario equilibrio una cassa da morto. La posano per terra, la aprono, i bianchi si avvicinano e guardano il morto. Poi mentre dei bidoni di avio vengono fatti rotolare sul prato appena tagliato verso l’elicottero, la bara con i soldati si avvicina al retro dell’elicottero. Due addetti iniziano a pompare avio nel tank, mentre da dietro il morto viene tolto dalla cassa e posato sul prato nel suo lenzuolo azzurro. Il retro dell’elicottero si apre mostrando l’interno. Gli uomini, bianchi e neri, issano il cadavere e lo mettono dentro il vano. Dalla mia postazione si vede che il cadavere deve essere piegato per mancanza di spazio. Vedo due soldati lottare contro il rigor mortis. Per fortuna i bianchi si sono allontanati per prendere le loro cose su un pick up. Tutto questo si svolge nel silenzio più assoluto, in una fretta nevrotica e stanca ad un tempo.  Salgono bianchi, neri e morto e si chiudono gli sportelli. L’elicottero riparte spargendo la rimanente erba appena tagliata per tutta l’area. Noi, che siamo in aspettativa di questo volo fantasma, bianchi e neri, soldati e civili, torniamo nella sala di aspetto rovente, ma migliore dell’impossibile rovente esterno.

Sfiorare la morte dà un senso di fratellanza e le opinioni iniziano la loro danza. Sono, alla fine, i sequestrati e l’ammazzato di ieri. Andavano alle Marchison Falls Park, posto stupendo, santuario naturale. In venti li hanno fermati, li hanno fatti scendere, rubato scarpe, radio, batterie e dopo averne ammazzato uno hanno sequestrato gli altri. L’esercito locale, con i consiglieri militari inglesi, sono riusciti a liberarne tre. Uno è ancora con i ribelli. Il turismo deve essere tutelato, la guerra negata deve continuare a non dare notizie di sè. I dissequestrati e il morto sono stati ospitati per la notte dall’esercito locale, nel loro ospedale. Sopravvissuti anche a questa esperienza, li abbiamo visti arrivare 12 ore dopo il fatto, all’aeroporto periferico dove stavo aspettando il mio charter.

C’e’ una velata soddsfazione fra i neri, dopo tanti morti neri, qualche morto bianco. Mal comune.

I bianchi, me fra i primi, sono spaventati e vorrebbero (senza mai confessarlo se non da ubriachi) andarsene a casa, per le Feste, con gli affetti lontani. Quasi quasi una manna questa recrudescenza di guerriglia che si è messa in testa di alzare il tiro e ha iniziato ad ammazzare i bianchi. Tre in una settimana. Abbastanza.  Abbastanza da sospendere tutto l’aiuto umanitario del posto. I morti neri, figli di questa decisione di sicurezza, non li conta mai nessuno. Piu di mezzo milione di persone non riceveranno cibo, cure mediche, qualche morto ci sarà sicuramente. Vorrei essere capace di farlo, ma anche se fosse possibile, non credo che interessi veramente a nessuno, forse solo a mia figlia e ai suoi amici che hanno il privilegio di un cuore puro ancora non avvelenato da regolamenti e compromessi che si fanno sempre piu iniqui e insopportabili. A forza di essere pronti alle emergenze ci rendiamo il normale quotidiano impraticabile. Panta rei.

Contributo di Pio Iglesias (Giuseppe Chio)