Fotografia n.2 – L’occhio e l’obiettivo (prima parte)

Pubblicato il 1 Luglio 2016 in , da Cesare Guerreri
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Non si può parlare di obiettivi e sensori di una fotocamera senza parlare della lunghezza focale dell’occhio umano: chi ha inventato la fotocamera, realizzando l’obiettivo, ha imitato l’occhio umano. Vedremo come forma le immagini, come gestisce i colori: i paragoni fotografici corrono subito all’obiettivo e al sensore

Abbiamo visto nel primo articolo cosa sono la luce, la lunghezza d’onda, i colori, le loro mescolanze e la temperatura della luce. Vedremo come forma le immagini, come gestisce i colori: i paragoni fotografici corrono subito all’obiettivo e al sensore.

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L’occhio umano e la lente

L’occhio ha una forma sferica. Può sembrare una banalità, ma non lo è se si considera che l’albero del nostro esempio, molti oggetti che osserviamo e il sensore di una fotocamera hanno una forma piana: ma l’immagine deve essere riprodotta correttamente in tutti i casi. Il problema in questo caso non è del sensore, ma dell’occhio e la soluzione è nel cervello.

La seconda osservazione è che gli occhi sono due: salvo casi di cui non ci occuperemo, l’obiettivo è uno. Entrambe gli occhi vedono in parte la medesima zona: questo consente al cervello di stabilire la distanza e la posizione dagli oggetti in quella zona. In una parola, ci dà la visione spaziale e tridimensionale, che una fotocamera non ha e che quindi può essere suggerita tramite tecniche fotografiche, ad esempio la prospettiva.

Qualche piccolo cenno alla lente: in fondo è quello si trova nell’occhio e nell’obiettivo.

Una lente può essere di due tipi: convergente o divergente.

E’ convergente, o positiva, quando fa convergere raggi di luce di un oggetto reale formando una immagine reale sul lato opposto: normalmente queste lenti sono più spesse al centro che ai bordi e l’oggetto appare ingrandito.

E’ il caso del cristallino dell’occhio, della lente di un ipermetrope, della lente di ingrandimento.

Un piccolo esperimento: se si punta una lente di ingrandimento verso il sole, cioè un oggetto a una distanza infinita, e si pone distante sul lato opposto un foglio di carta si formerà un alone chiaro: se si avvicina la lente al foglio l’alone si ridurrà sempre più fino a rimpicciolirsi nella immagine … del sole.

Proseguiamo nell’esperimento: se anziché verso il sole, puntiamo la lente verso un soggetto molto lontano – pressoché all’infinito, ad esempio un edificio lontano da noi – lo vedremo su foglio ma … capovolto. Noi lo vediamo non capovolto perché interviene il cervello: in una fotocamera sarà sufficiente inserire un numero dispari di riflessioni per capovolgerlo di nuovo, cioè raddrizzarlo. E’ ciò che fanno lo specchio e il pentaprisma.

La distanza tra il centro della lente e il foglio è la sua “lunghezza focale”, che è identica sia dalla parte del foglio che dalla parte del sole.

Le diottrie di quella lente altro non sono che la divisione di 1 per quella distanza espressa in metri (in termini matematici il suo reciproco): ad esempio 50 cm porteranno a 2 diottrie, 20 cm a 5 diottrie. Più è alto il numero di diottrie più è alto il potere di quella lente.

L’occhio ha una lunghezza focale di circa 17 mm., cioè un potere di 43 diottrie.

Ma la lente può essere anche divergente, o negativa, se i raggi non formano l’immagine reale dell’oggetto: ad esempio le lenti di un miope dove l’oggetto appare rimpicciolito. Miopia a parte, non per questo sono inutili, tutt’altro.

Ad esempio, una forma semplice di cannocchiale è il Cannocchiale Galileiano, la combinazione di una lente convergente (una lente da ipermetrope come obiettivo) e di una divergente (una lente da miope come oculare).

Semplice: ma quante cose diventano semplici solo dopo che un genio le ha scoperte!

Il cristallino è la lente convergente dell’occhio

Gli obiettivi fotografici sono di norma la combinazione di lenti convergenti e divergenti di vetro, o altro materiale trasparente alla luce, spesso con densità diversa.

Il cristallino è la lente convergente dell’occhio. Crea l’immagine reale capovolta sulla retina, così come fa l’obiettivo di una fotocamera digitale sul sensore: ma è gelatinoso e modificabile. I muscoli che lo circondano ne modificano lo spessore, in modo da consentire la messa a fuoco da lontano e, entro certi limiti, da vicino. E’ uno zoom.

Semplificando, quando il cristallino non riesce a far convergere i raggi correttamente sulla retina si ha la presbiopia, quando l’occhio è oblungo si ha la miopia mentre se è schiacciato si ha la ipermetropia.

Bene. La luce ora è arrivata sulla retina, una membrana sul fondo dell’occhio. Ma è solo arrivata e non è molto utile se non riusciamo a distinguere le forme, le differenze di luminosità ed i colori: dopo la forma sferica del fondo dell’occhio, ecco altre differenze rispetto ad un sensore.

Sulla retina sono disposti due tipi di cellule: i bastoncelli ed i coni.

I bastoncelli (tra i 100 ed i 120 milioni) consentono la visione in condizioni di scarsa luminosità.

I coni (tra i 4 ed i 7 milioni) consentono la visione dei colori. Sono di tre tipi: sensibili al rosso, al verde e al blu.

Non ricordano qualcosa?  Sono i colori base della “mescolanza additiva”, visti nel primo articolo: la stessa di un sensore di una fotocamera digitale.

Mentre i bastoncelli sono distribuiti sulla retina, i coni sono concentrati in un suo punto particolare: la “fovea centrale”, quella che consente di “fissare lo sguardo” su un oggetto o meglio la “visione centrale”.

Il numero di coni che percepiscono ciascun colore non è costante: è maggiore quello che percepisce la parte centrale delle lunghezze d’onda lunghezza focale occhio umanovisibili, la zona del verde.

Nel secondo grafico viene indicata la percezione di ogni colore, cioè di ogni lunghezza d’onda visibile: naturalmente si annulla agli estremi dove si troveranno da un lato gli infrarossi e dall’altro gli ultravioletti.

Percezione umana colori

Ne riparleremo quando verrà affrontato il sensore.

L’obiettivo

Analogamente al cristallino e a una lente convergente, anche un obiettivo crea una immagine sul sensore.

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Fotocamera Reflex

Ogni obiettivo si distingue per la sua lunghezza focale: non è una singola lente, ma l’ha. La differenza è che per una lente si misura dal suo centro, per un obiettivo dal suo interno su un punto (“punto nodale posteriore”) prossimo a dove viene collocato il diaframma, e vedremo che non è un caso.

Fino all’avvento delle prime fotocamere digitali, il formato di “negativo” (oggi si direbbe di “sensore”) era il formato 24×36 mm.: non c’era una ragione particolare perché dovesse essere così, ma lo diventò. Ora viene indicato anche come “full frame”.

Ci si domandò: qual è la lunghezza focale che riproduce più fedelmente la realtà, o per meglio dire che introduce meno distorsioni? La risposta venne dal Teorema di Pitagora, cioè dalla lunghezza della ipotenusa (il rettangolo del sensore è la somma di due triangoli rettangoli identici che si “appoggiano” sulle ipotenuse) e cioè la dimensione più lunga: 43 mm., nel tempo arrotondato a 50mm.

Per convenzione obiettivi con una lunghezza focale tra i 35 e i 65 mm. sono considerati “normali”.

“Grandangolari” o “teleobiettivi” però non si distinguono in base alla loro lunghezza focale, ma in base al loro angolo di campo, cioè l’angolo del cono che, a partire dall’obiettivo, contiene i soggetti che vengono ripresi, cioè il “cerchio di copertura”: all’interno di questo ogni obiettivo ha il proprio “cerchio di buona definizione” nel quale l’immagine è meglio definita.

Più è ridotto l’angolo di campo, più alta sarà la lunghezza focale (è il caso del teleobiettivo) e più alta sarà la capacità di ingrandimento: questa è la ragione per cui vengono usati per riprendere soggetti lontani.

Più è ampio, più ridotta sarà la lunghezza focale (è il caso del grandangolare) e più ridotta sarà la capacità di ingrandimento: questa è la ragione per cui vengono usati spesso per riprendere panorami.

Gli zoom ottici sono obiettivi che, solitamente muovendo una lente, riescono a variare la lunghezza focale.

Gli zoom elettronici, presenti in alcuni smartphone o fotocamere compatte, sono una sorta di trucco: l’immagine viene salvata solo in parte e poi ingrandita, oppure ingrandita nella parte centrale, dando l’illusione di uno zoom: ma con una risoluzione – cioè un dettaglio – molto diversa: è ciò che si può ottenere anche con un software di fotoritocco.

Usando un sensore “full frame” e un obiettivo da 50 mm si ha un angolo di campo di circa 46 gradi: l’angolo di campo è simile alla lunghezza focale. Per convenzione, ma solo per convenzione, obiettivi con angolo di campo superiore a 60 gradi sono considerati “grandangolari” e inferiore a 40 gradi “teleobiettivi”. Nella figura di seguito è riportata la corrispondenza tra angolo di campo (a sinistra) e lunghezza focale (a destra) in caso di obiettivo su fotocamera “full frame”.

lunghezza focale occhio umanoLunghezza focale Angolo di campo

E’ da tenere presente che i termini “normale”, “grandangolare”, “teleobiettivo” sono sempre in relazione all’angolo di campo con la dimensione del sensore.

La seconda domanda potrebbe essere: quale è la lunghezza focale ideale per un obiettivo da ritratto, sempre utilizzando un sensore “full frame”? La “regola aurea” sostiene che è il doppio della lunghezza della diagonale del sensore (ancora lei!): questo ha portato la notorietà dell’obiettivo 85mm, cui molti fotografi preferiscono il 105mm.

Sono entrambe lunghezze focali che non introducono deformazioni: non producono l’”effetto nasone” di un grandangolare né appiattiscono il soggetto sullo sfondo come fa un teleobiettivo. I teleobiettivi consentono, tramite una opportuna distanza dal soggetto e una accorta apertura del diaframma, di ottenere una sfocatura dello sfondo che dia rilievo al soggetto ed hanno anche una buona luminosità … che però decresce all’aumentare della lunghezza focale.

Ne riparleremo e … a presto