Omertà, tradimento, pregiudizio, avidità, sfruttamento, plagio, corruzione, maternità rubata o meritata, crimini in nome di Santa madre Chiesa: c’è tutto nella serie danese che tocca la cattiva coscienza di un’Europa, tormentata da un tragico inverno demografico
Il terrore di ogni genitore è perdere il proprio figlio: secondo il dossier presentato nel maggio di quest’anno da Telefono Azzurro (la Onlus che da tanti anni si occupa di diritti infantili) l’Italia è afflitta da una media giornaliera di 64 casi di bambini scomparsi. Il 57% delle segnalazioni riguarda cittadini stranieri, ma il 43% coinvolge cittadini italiani. Se a questo si aggiunge le falle delle inchieste investigative tramite il DNA (acronimo di acido desossiribonucleico, il materiale ereditario fondamentale per il funzionamento di tutti gli organismi viventi) ecco che i componenti fondamentali per una serie fiction ci sono tutti.
Sarà partito da questi presupposti Torleif Hoppe, scrittore e produttore danese di Copenaghen, 59 anni (al suo attivo, il serial pluripremiato “The killing”), mentre scriveva con la sceneggiatrice concittadina Nanna Westh (“Now you see me”, ad esempio) la serie “DNA”, una coproduzione danese con la francese ARTE e Warner Bros television. Due stagioni, 8 episodi nella prima, trasmessa in Danimarca sulla rete nazionale TV2 dal 9 settembre al 28 ottobre 2019 a cui è seguita la seconda (6 episodi), andata in onda sempre in patria dalla stessa rete dal 18 dicembre 2019 al 15 gennaio 2023. Il titolo originale è “Kidnapping- rapimento” mentre il sottotitolo recita “ispirata a una storia vera” e non è sicuramente un caso perché il nordic noir a cui la fiction è ascrivibile, tratta entrambe le ferite del vivere e le dosa in egual misura lasciando però che la parte emozionale tocchi corde più profonde e forse più vibranti per gli spettatori italiani che sulla piattaforma streaming MyMovies one possono vedere entrambe le stagioni in lingua originale sottotitolata a cura di Tirza Bonifazi.
La sparizione di Minna
Rolf Larsen (l’attore Anders W. Berthelsen) è un investigatore della polizia di Copenaghen che mentre indaga su un caso della sparizione di una bimba di 11 mesi, Minna Nygaard, perde la propria, Andrea, anch’essa di pochi mesi, sul traghetto al largo del Mar Baltico diretto in Polonia. Era lì per seguire un testimone che avrebbe scagionato il padre della piccola indagato, di origini iraniane, e poi condannato con prove false, “a prescindere”. Cinque anni dopo, divorziato e inviato per punizione nella regione rurale dello Jutland del nord, si imbatte per caso in un criminale che la recluta Neel (Olivia Joof Lewerissa) scopre essere un killer seriale il cui profilo genetico misteriosamente non compare nel database della polizia. La falla provoca la riapertura del caso di Minna e lo riporta nella sua città dove la moglie ha voltato pagina con un nuovo compagno, convinta, al contrario di Rolf, che la loro piccola sia morta in mare. Le indagini porteranno a un traffico internazionale di neonati attraverso BLISS (un’agenzia danese per la maternità surrogata) che si snoda tra Francia (una costosa clinica della fertilità), la Polonia e poi a tutta Europa, coinvolgendo la collega della polizia giudiziaria francese Claire Bonin (una misurata ma gigante Charlotte Rampling) e Julita una ragazza madre polacca, la brava attrice Zofia Wichlacz.
Il DNA non mente
Istituita con il trattato di Prün del 2005 tra Germania, Spagna, Francia, Belgio, Austria, Paesi Bassi e Lussemburgo, ratificato nel 2009 in Italia con la legge numero 85, (la Danimarca non ha aderito per ora), la banca dati del DNA, su cui la serie solleva interrogativi quanto mai attuali, è sì una tecnologia all’avanguardia efficace per il contrasto dei crimini delle persone scomparse, ma funziona solo se interconnessa con altri Paesi e se è uno strumento usato bene e per il bene. Prova ne è che in molti casi di cronaca nostrana ancora molto seguiti, come la morte di Yara Gambirasio o il delitto di Garlasco, non è elemento risolutivo mostrando tutta la sua problematicità, pur essendo un aiuto ormai indispensabile per le polizie investigative di tutto il mondo.
Quando la Rampling, nell’episodio finale della prima stagione in cui Rolf scopre che sua figlia Andrea gioca felice tra le braccia di Julita, ormai sua madre adottiva benché colpevole del suo rapimento in quella maledetta notte, per processi narrativi che si scopriranno, cita Sartre, tra le letture preferite del detective danese: “La verità non è mai come pensiamo. Credi a chi cerca la verità, dubita di chi dice di averla trovata. Noi siamo le nostre scelte”. Chi ridarà a Rolf il tempo perduto e una vita che un tragico errore gli ha rubato?
Le parole per dirlo
Potrebbe risultare ostica la scelta di MyMovies di non avvalersi dell’ottima scuola italiana di doppiatori e di offrire al suo pubblico molte delle produzioni in lingua originale sottotitolate; tuttavia molta televisione di stato europea trasmette da anni nella lingua in cui sono nate le fiction straniere. “Gomorra” e “Mare fuori” quanto perderebbero se doppiate? Tanto più che in “DNA” la Rampling parla inglese e francese ma anche tutti i personaggi recitano passando dall’una all’altra lingua con estrema disinvoltura. Veder recitare in una lingua così gutturale e sincopata come il danese “parlata solo in patria e dai leoni marini”, secondo il comico danese Victor Borge, dia inizialmente un senso di straniamento. Ma col passare del tempo si fa l’abitudine e quasi dispiace che l’inglese ammanti tutto con la sua uniformità. Quindi buona visione, anzi, “god fornøjelse”.
Fonte delle immagini: MyMovies