Il dopo Brexit e il bisogno di riflettere con calma

Pubblicato il 24 Giugno 2016 in , da Vitalba Paesano
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Dopo una campagna dominata da passioni ed emozioni viscerali più che dalla analisi dei pro e contro del Brexit, gli elettori britannici hanno fatto la loro scelta che certifica quello che sapevamo I britannici, con l’eccezione degli scozzesi, si sentono e considerano europei e cosmopoliti, ma sono contrari, in maggioranza, a forme penetranti di condivisione della sovranità, rifiutando le autorità sovranazionali”.

Con queste parole il Presidente dell‘ISPI (ISTITUTO PER GLI STUDI DI POLITICA INTERNAZIONALE), Giancarlo Aragona affronta oggi le tematiche e le riflessioni del dopo Brexit. Proponiamo questo testo e queste riflessioni ai nostri lettori come utile pausa di pensiero, che ci permetta di di restare indenni dagli eccessi di certe dichiarazione che proprio oggi riempiono i media.

Pur se preoccupazione e rammarico sono elevati, anche per aver cercato inutilmente per anni di venire incontro alle richieste di eccezioni ed ai rallentamenti imposti da Londra, dobbiamo accettare il risultato e guardare avanti.

Nel Regno Unito si prospetta un periodo di grave crisi politica e di turbolenze economiche e finanziarie. In Scozia già nelle prime ore del mattino si sono levate voci a favore di un secondo referendum per l’indipendenza. Le attese per la Borsa di Londra sono stamane negative e la Sterlina scivola verso i minimi storici.

Il premier Cameron perde la temeraria scommessa nella quale si era avventurato. Anche se un certo numero di parlamentari favorevoli al Brexit ( tra cui Boris Johnson) gli hanno scritto chiedendogli di rimanere al suo posto e di guidare il negoziato per l’uscita dall’Unione, il suo futuro politico (come quello del Cancelliere dello Scacchiere, Osborne, tardivamente convertitosi al filo europeismo) è segnato. Il premier ha ,infatti, appena annunciato le proprie dimissioni.

Un elemento da tener presente è che aree del Paese operaie e laburiste hanno votato in prevalenza Brexit, segnalando sentimenti di sofferenza e crisi sociali che si estendono ad altri paesi del continente, provocando l’affanno della politica tradizionale.

Spetta ai britannici trovare la loro strada.

A noi preme soprattutto che il futuro della Unione Europea, vitale per gli interessi nazionali italiani, non sia messo a repentaglio. Nell’immediato, bisognerà fare di tutto per contrastare i contraccolpi economico-finanziari del Brexit. Esistono al riguardo gli strumenti necessari e non vi è motivo di cadere in preda al panico.

Occorre poi affrontare con nervi saldi il periodo negoziale previsto dai Trattati per definire i termini di una uscita ordinata della Gran Bretagna dall’Unione e vedere come regolare i futuri rapporti. Malgrado i toni ammonitori e ultimativi che hanno caratterizzato il dialogo tra partner durante la campagna (e che possono aver sortito effetti opposti a quelli auspicati), sarà inevitabile stabilire una qualche cornice di collaborazione.

La sfida per l’Ue è anzitutto politica. È stato infranto il dogma della integrità dell’Unione, destinata ad allargarsi ed approfondirsi, ma non a perdere pezzi. Eppure questo è avvenuto e con un partner di statura mondiale quale la Gran Bretagna.

Nel clima attuale di sfiducia verso le istituzioni europee e di scarsa solidarietà tra i partner, altri Paesi (e non mancano i candidati) potrebbero essere incoraggiati a seguire la strada di Londra, non tanto spingendosi sino a contemplare l’uscita dall’Unione, ma frapponendo ostacoli sulla via di possibili passi avanti nel cammino della integrazione o chiedendo, sulla falsariga britannica, eccezioni e opt outs. I partiti euroscettici nei nostri Paesi diverranno più aggressivi.

I leader europei, in particolare quelli dei Paesi che ancora professano fede nel processo di integrazione, avranno una responsabilità particolare. Tra questi, i tre maggiori tra i fondatori, Francia, Germania e Italia, dovrebbero porsi alla testa dell’indispensabile esercizio di rilancio, qualsiasi forma esso assumerà.

. Quello che è certo è che l’Unione non potrà restare ferma. Questa non è una opzione.

Il dilemma di fondo che dovrà essere affrontato è se il cammino futuro dell’integrazione ruoterà attorno a un nocciolo duro, e si vedrà chi ne farà parte, oppure se si dovrà lavorare su maggiori condivisioni di politiche settoriali, secondo geometrie variabili.

Ci saranno i leader capaci di condurre questo esercizio, raccogliendo tra l’altro la sfida di andare contro corrente rispetto agli umori prevalenti dei loro elettori? “