Sin dalle sue origini il cinema è andato a braccetto con la tavola imbandita. Del resto il cibo è una necessità imprescindibile per l’uomo e se il cinema, sin dal suo apparire, ha rappresentato la società nella sua essenza, cinema e cibo non potevano che incontrarsi subito. Sono infatti gli stessi fratelli Lumière, inventori della “settima arte”, ad apparecchiare il primo film sul cibo: La colazione del bebè. Quaranta secondi girati in casa, ovvero sull’elegante terrazza della villa di famiglia, mentre Auguste Lumière e signora imboccano il loro bambino seduto sul seggiolone. Un quadretto di vita familiare come ne esistono a milioni nei cassetti delle nostre case, frutto di riprese altrettanto amatoriali. Ma intanto il confine era oltrepassato e il cibo aveva fatto il suo ingresso nel mondo di celluloide.
Memorabilia d’autore
A quel primo pasto moltissimi ne sono seguiti fino a diventare, in qualche caso, il soggetto stesso del film. Gli autori hanno sbrigliato la loro fantasia in scene memorabili, come il grande Charlie Chaplin che nella Febbre dell’oro (1924) fa danzare due panini infilati in forchette, divora una scarpa come fosse una cotoletta e i suoi lacci come spaghetti per poi finire nel mirino del compagno di avventura che, affamato, lo scambia per un pollo.
Nel 1936, accomiatandosi dal suo personaggio con Tempi moderni, Charlot inventa una delle più celebri gag del cinema, tanto divertente quanto profetica: la macchina per nutrire gli operai alla catena di montaggio. Una feroce satira dell’industrializzazione. Nella Ricotta (1963) Pier Paolo Pasolini mette in scena la “passione di Stracci”, un poveraccio che per sbarcare il lunario fa il generico cinematografico. Stracci sacrifica il proprio cestino di vivande per la famiglia, ma la fame atavica è in agguato e la successiva indigestione del cibo ricevuto dai colleghi ne provoca la morte sulla croce, buon ladrone della più laica tra le sacre rappresentazioni viste al cinema. Spesso al cibo sono legate scene memorabili che hanno fatto la fortuna di film non altrettanto memorabili. È il caso del monologo di Alberto Sordi davanti a un piatto di maccheroni in Un americano a Roma (1954), diventato cult del genere. Dal teatro al cinema è passata invece l’abbuffata di famiglia in Miseria e nobiltà (1954), con Totò interprete del testo di Eduardo Scarpetta, mentre l’enorme vasetto di Nutella in Bianca (1984) di Nanni Moretti si trasferisce direttamente dal supermercato all’immaginario collettivo.
Tra seduzione, amore e morte
Quasi mai al cinema il cibo è fine a se stesso. Il più delle volte, sullo schermo, il cibo diventa seduzione, amore, ma può può persino evocare la morte. Tutti aspetti che molti film hanno documentato con dovizia. Se le pantagrueliche abbuffate di Terence Hill (per es. in Lo chiamavano Trinità, 1970) e Bud Spencer (Occhio alla penna, 1981) nei loro spaghetti-western (un cibo che ha dato il nome a un genere) erano tutto sommato innocue, ben più sapido era invece Il minestrone (1981) di Sergio Citti, con un Benigni non ancora “normalizzato” dal successo e dall’Oscar.
Inarrivabile La grande abbuffata (1973) di Marco Ferreri che nella sua cimiteriale esaltazione del cibo si struttura come metafora dell’insoddisfazione che la società dei consumi lascia nella sfera del desiderio: ingurgitare cibo fino a morirne non significa essere sazi. Il regista milanese torna poi nel 1991 su un tema analogo, ma con il ben più debole La carne. Anche Festen (1998) del danese Thomas Vintenberg, propone un funereo banchetto in cui si palesano le tare inconfessabili e i delitti nascosti sotto la patina di perbenismo di una famiglia borghese mentre Akira Kurosawa riflette serenamente sulla morte attraverso le cene che ogni anno gli ex allievi offrono al loro vecchio docente in Madadayo (1993), non a caso film testamentario del maestro giapponese.
Una serie di docu-fiction dei primi anni 2000 ha posto poi l’accento sullo strapotere delle multinazionali del cibo e la standardizzazione delle risorse alimentari, sullo sfruttamento della manodopera nell’industria conserviera, sull’attività di agricoltori e allevatori, sulle condizioni di vita degli animali e la lavorazione delle loro carni. Tutti film che hanno contribuito non poco a creare una nuova coscienza collettiva. Stiamo parlando di Mondovino (2004) di Jonathan Nossiter, Super size me (2004) di Morgan Spurlock, Fast food nation (2006) di Richard Linklater e Food inc (2008) di Robert Kenner, questi ultimi derivati entrambi dal libro di denuncia di Eric Schlosser Fast food nation. Titoli cui si aggiunge di diritto Terra madre (2009) di Ermanno Olmi, autore da sempre sensibile ai temi ecologici che torna a occuparsi di cibo dopo la garbata metafora culinaria di Lunga vita alla signora (1987).
Non ci resta che ridere
C’è poi la sterminata serie di commedie (anche in agrodolce) a tema gastronomico, dove spesso il protagonista è uno (o una) chef. Qui il cibo è un mero pretesto per storie sentimentali o perfino thriller come nel capostipite Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi d’Europa (1978) di Ted Kotcheff con Jacqueline Bisset nel ruolo di pasticcera e detective. In ordine sparso (ma rigorosamente cronologico) ricordiamo: Mangiare, bere, uomo, donna (1994) di Ang Lee, Chocolat (2000) di Lasse Halström, Un tocco di zenzero (2003) di Tassos Boulmetis, Sideways (2004) di Alexander Payne con Paul Giamatti e il suo celebre elogio del pinot nero, Sapori e dissapori (2007) di Scott Hicks con Catherine Zeta Jones a capo di un ristorante stellato, le commedie all’italiana Lezioni di cioccolato (2007) di Claudio Cupellini (con relativo sequel di Alessio Maria Federici) e Pranzo di ferragosto (2008) di Gianni Di Gregorio, il tedesco Soul Kichen (2009) di Fatih Akin, per tornare a Hollywood con Mangia, prega, ama (2010), di Ryan Murphy con Julia Roberts che in Italia declina il primo verbo del titolo con non pochi stereotipi sulla nostra cucina e il nostro carattere nazionale. Di ambiente francese sono invece Chef (2012) di Daniel Cohen, con Jean Reno e La cuoca del presidente (2012) di Christian Vincent. Anche i cartoni animati hanno avuto il loro posto a tavola con il best seller disneyano Ratatouille (2008) di Brad Bird.
A proposito di chef, sulla scia della tendenza che negli ultimi tempi ne ha fatto star televisive, leader opinion e testimonial eccellenti, proprio il 2014 è stato l’anno di una vera “invasione degli ultracuochi” con tre titoli in pochi mesi: Chef – la ricetta perfetta di e con Jon Favreau, Amore cucina e curry di Lasse Hallström, con Helen Mirren, e La moglie del cuoco di Anne Le Ny, film al femminile su un triangolo amoroso al quale il coté culinario aggiunge un pizzico di pepe.
I magnifici sette
Il cinema, come tutte le arti, è cibo dell’anima, nutrimento dello spirito. In vista di Expo 2015 e dei suoi temi Nutrire il pianeta-Energie per la vita, Humaniter propone una rassegna di sette film a tema da ottobre 2014 a marzo 2015. Un percorso storico che permette anche di raccontare l’evoluzione della cultura gastronomica dall’antichità a oggi, dall’impero romano all’impero di internet. I sette titoli proposti sono eterogenei tra loro, non tutti capolavori, non tutti usciti dalle mani di maestri del cinema. Roland Joffé e Nora Ephron sono buoni registi, autori di opere impeccabili, ben recitate, ben girate, ma niente di più. Del resto non pretendono nemmeno di essere altro. Anche Gabriel Axel e Jean-Jacques Annaud non possono essere equiparati a Federico Fellini, Luis Buñuel o Peter Greenaway, ma i loro film in rassegna sono piccole gemme dell’arte cinematografica. Il plusvalore deriva proprio dall’insieme, dalla sequenza delle proposte che passeranno sugli schermi nell’arco di cinque mesi. Commedie e drammi, ironia e commozione, conformismo e anarchia… In un perfetto mix di ingredienti e sapori come in una ricetta ben riuscita.