I nostri racconti: Un giorno indimenticabile

Pubblicato il 10 Febbraio 2016 in da redazione grey-panthers

Tre brevi racconti a partire da una stessa situazione, nel DIARIO creativo febbraio 2016

Alex si sta sbracciando in fondo alla via.  Vedo che sventola un pacco, con il quale colpisce in faccia un vecchio signore che porta a spasso il cane.

– Ma allora sono arrivate! Finalmente.

Mi metto a correre e raggiungo Alex che sta cercando di scusarsi con il malcapitato signore, mentre il botolo gli salta intorno ringhiando. Aggiungo le mie scuse al vecchio irascibile, purché si tolga di torno subito.

– Sono qua, guarda, sono venute benissimo!

Ci raggiunge Mimì, correndo sui suoi trampoli, incespicando davanti al vecchio che insiste a non togliersi di torno.  Siamo tutti emozionati.

Apriamo il pacco seduti al tavolino nel bar accanto. Mimì si rovescia addosso la birra, sporgendosi per vedere meglio, ma si pulisce senza fare le solite scene. Non so proprio dove Alex sia andato a pescarlo, questo impiastro, ma non dico niente. Alex è mio amico e  sopporto in silenzio la sua ragazza. Ecco le locandine:  le osserviamo soddisfatti  Sono proprio belle, con disegni sofisticati,  colori molto tenui, grigio, nero.

Il teatro deve essere quel garage in disuso che avevo visto l’anno scorso.  L’avranno sicuramente sistemato con cura, ora è il teatro della Zona.  Il titolo scelto mi preoccupa un po’:  “Godot è arrivato”.  Che ne sapranno di Godot, i ragazzi che abitano in quella periferia multietnica, parola che non sempre significa “vivacità culturale”.   Ma anche i nostri amici, per quanto riguarda la cultura … non facciamo i presuntuosi.  Temo che possa prestarsi a equivoci; ma forse il testo non è così intellettuale come penso.

Interpreti: ah, la protagonista è Margherita, una compagna di Alex dell’Accademia, un bel pezzo di ragazza. Guardo Mimì per vedere come reagisce, le belle ragazze le danno molto fastidio, anche perchè ci lavora insieme. Non sembra preoccupata, bene.  Gli altri interpreti… il nome di Alex è un po’ in fondo, scritto a caratteri piccoli. Non preoccupiamoci, l’importante è cominciare.

Beviamo un altro paio di birre, anche se è primo pomeriggio, ma siamo eccitati e continuiamo a parlare a voce alta.

– Fantastico! Ce l’hai fatta. Dobbiamo distribuire la locandina a tutti gli amici.  Si paga per entrare?

– Eh, sì. Ci sono tante spese, sai.  Il noleggio del teatro, elettricisti, sicurezza. Poi i costumi, le scene.  Ma il biglietto costa solo 8 Euro.

– Peccato, fosse stato gratis… Ma vedrai, verranno tutti i nostri amici, sarà un trionfo.

– Sarà l’inizio. Sai quanto è importante per me.  Ho sempre desiderato recitare, la mia vita è l’arte drammatica.  Ma i miei sono sempre stati contrari.

– Posso capirli, loro si preoccupano per te. La strada è lunga, difficile, ci vogliono raccomandazioni, bisogna conoscere le persone giuste.

– Non hanno mai cercato di capirmi, gli bastava chiedermi: “Hai studiato? Mi raccomando, devi applicarti bene. Con una laurea avrai senz’altro successo nella vita.”

Ma che cosa è il successo?  Loro sicuramente non l’hanno avuto.

Penso alla famiglia di Alex.  Brave persone, tranquille. Hanno sempre lavorato, con piccoli impieghi dignitosi, piuttosto monotoni, nonostante siano nati in un periodo – intorno agli anni `60 – esaltante, pieno di sconvolgimenti sociali e culturali, che non li hanno sfiorati.

– Nel periodo della contestazione, della ribellione al mondo borghese, loro cosa facevano?  – aveva detto Alex una volta – Ascoltavano ancora le canzoni di Sanremo, si commuovevano con i film strappalacrime.  A casa si parlava solo delle promozioni al supermarket, su detersivi, biscotti, scatolette. Discutevano soltanto delle incapacità dei capi, l’invidia dei colleghi, il lavoro non riconosciuto, i soliti furbi…

Avevano insistito perché  Alex frequentasse il liceo scientifico, dove lui aveva trovato materie noiose, professori che non si impegnavano.  Il peggio poi era arrivato con l’università, Scienze Politiche alla Statale, una laurea che “apre tutte le porte”. Ma nei corsi c’era una gran confusione, e tutti lo guardavano con sufficienza.  In realtà era Alex che guardava con sufficienza i compagni, che non avevano i suoi interessi letterari e artistici.

– Avrei voluto fare il DAMS, – aveva detto – quella sì che era la mia strada.  Arte, musica, teatro, vivere tutti insieme, Piazza Grande.  Ma non mi hanno voluto mandare là, costa troppo,  Bologna è lontana, troppe distrazioni, poi quella è una laurea che non apre le strade giuste, per le quali sono necessarie solide raccomandazioni.

Così lo hanno iscritto a Scienze Politiche, per fare l’impiegato in un ufficio, come il padre.

– È una vita miserabile, da schiavi, lo dice sempre anche lui.  E poi mi obbliga a fare la sua strada!

I genitori pagano ancora le tasse universitarie, che sono basse, ma Alex è fuori corso e non intende finire.  Un esame ogni tanto, con voti scarsi, giusto perché i genitori possano dire:

– Nostro figlio studia all’Università.

Alex frequenta invece con profitto i Centri Sociali e lì si è anche iscritto a una scuola di teatro.

– Mi hanno detto che ho proprio il fisico giusto:  alto, spalle larghe, scattante. Ho anche lineamenti decisi, riconoscibili, un bel ciuffo di capelli, sguardo in tralice.

– Questo è stato il modo per convincerti a pagare la retta per l’iscrizione!

– Bell’amico che sei, grazie dell’ incoraggiamento.

La voce invece deve essere impostata.  Fa esercizi continui, respirazione addominale, controllo della pronuncia, degli accenti, vocali larghe e strette.

Poi mi viene a parlare, un giorno come Lino Banfi, il giorno dopo come Vittorio Gassman e mi assilla con continue domande: che ne penso, se mi piace, se non sembra davvero loro. Ma forse avere una voce caratteristica, riconoscibile, anche con inflessioni singolari, sarebbe ancora meglio.  In televisione una voce personale ha molto successo.  Il vero sogno di Alex è di arrivare in TV. Significa fama immediata, universale. Per ora studia il look, i movimenti, i tic.

Fa continue prove di espressioni facciali, di parlate in gergo e in diversi dialetti, imita un attore, poi un altro.

Lo vedremo adesso in un vero teatro, in una vera recita.  Sono molto emozionato, è il mio più caro amico, sin dal tempo delle elementari.  Abbiamo però preso strade diverse subito.

Io avevo una passione e dopo il liceo ho seguito alcuni corsi per disegnatori di fumetti, a quanto pare avevo un certo talento – secondo quanto dicevano gli addetti ai lavori- e così provando e riprovando, mandando CV in giro, lavorando anche gratis in certi periodi, ho trovato l’occasione giusta e adesso ho il mio giro di “clienti”.  Insomma, non mi lamento.

Però Alex per me è come un fratello e cerco di aiutarlo, anche tenendolo su di morale con qualche scherzo. Come quella volta che, con la complicità di un collega, gli telefono:

– Buongiorno, il signor Alex?

– Sì, chi parla?

– Abbiamo avuto il suo CV e abbiamo notato che dice di avere una voce impostata, da attore.

– Sì è vero, ma se è per vendere o proporre qualcosa le dico subito che non sono portato per quel tipo di lavoro commerciale.

– No, non si tratta di vendere, anzi, avrei da proporle un’ottima occasione di lavoro. Lei è fidanzato?

– Perché?

– Abbiamo ricevuto una richiesta da uno stimato cliente per un posto dirigenziale in una azienda commerciale.

– Ok, io non ho mai fatto questo tipo di lavoro, ma ne possiamo parlare.  Ancora non capisco però la domanda sulla fidanzata

– Vede, il nostro cliente ha una sola figlia e niente figli maschi, per cui gli piacerebbe conoscere un giovane che possa ricoprire anche  il ruolo di genero, mi capisce, a cui lasciare l’azienda e la figlia. Potrebbe essere un’ottima opportunità, non le pare?

Silenzio di tomba……

– Mi spiace ma non credo di potere.

– Il suo amico Marco era così sicuro che avrebbe accettato…..

Le risate che non riesco a trattenere fanno capire ad Alex che è uno scherzo, e tutto è finito in risate.

Il teatro è pieno, tranne le ultime file.  Gli spettatori sono tutti quanti giovani,  in gran parte sono amici di Alex e della sua “compagnia teatrale”.  Ne conosco alcuni, da quella parte del pubblico il successo della rappresentazione appare sicuro, l’amicizia crea solidarietà. Ci sono anche alcuni ragazzi del luogo.

Questi non sembrano certo  tipi che frequentano teatri e circoli culturali, al massimo si sballeranno un po’ in discoteca.  Che altro potranno fare qui, in questa zona, alla sera?  Forse pensano che si tratti di uno spettacolo musicale, si vedono molti strumenti all’ingresso, questo magari li avrà attirati.

È un quartiere molto periferico, tipo dormitorio. Chissà cosa fanno qui, alla sera, per far passare il tempo.  Il Consiglio di Zona ha una bella sede, anche il teatrino è piacevole, meglio di quanto mi aspettassi, ma c’è un’aria moscia in giro, solo il nostro gruppo di amici di Alex è rumoroso, eccitato.

Ecco, si alza il sipario.  Qualche applauso di incoraggiamento.

I quattro attori sono seduti su dei cubi; indossano delle palandrane a sacco.

Il primo si alza dal cubo, declama con voce stentorea dei monologhi, di cui non capisco il senso.  Chissà gli altri spettatori…  Dopo un lungo silenzio, si volta, pizzica il suo strumento, quindi  si accascia sul cubo, con la testa fra le gambe.  Incontro lo sguardo dei miei amici, sono tutti silenziosi.

A turno si alzano dai loro cubi anche gli altri attori, e ripetono la scena, più o meno uguale, sempre con suoni lamentosi tratti dai loro strumenti.

Luci livide si alternano sulla scena, inquadrando vari angoli.

A un tratto si sente un craac… Un lampo, poi tutto piomba nel buio.

– Un attentato!  Un corto circuito!  Al fuoco!

Il pubblico sembra preso dal panico, tutti si alzano in piedi, gridano, vogliono buttarsi verso l’uscita.  Devo scuotere Mimì per le spalle, sta strillando senza controllo, è lei il vero pericolo, sta spargendo il terrore.

Ed ecco che Alex si erge sul palco come un eroe omerico, e con voce stentorea grida:

– Fermi tutti, niente paura!  Fa tutto parte dello spettacolo, vogliamo mettere in evidenza come l’emotività, e non la razionalità, guida i nostri comportamenti!

Mentre il pubblico ascolta Alex, mostrando una certa perplessità, il tecnico delle luci ripara, mezzo nascosto dagli strumenti, il guasto.

Lo spettacolo riprende; che serata!  Per fortuna si è arrivati alla scena finale.  Alex è l’ultimo a parlare:  si alza dal cubo, guarda il pubblico con aria lugubre e con uno straziante:  “È arrivato Godot!” lascia il palco.

Cala il sipario.

Siamo tutti titubanti, ma sappiamo cosa si deve fare:  “Bene!  Bravi!”

Battiamo le mani fino a farle dolorare.

Gli attori si inchinano, guardandoci increduli, ma noi continuiamo a chiamare gli attori con entusiasmo.  Siamo amici o no?

Osservo Alex, che in mezzo  a questi “Bravi! Bravi!” sembra rinfrancarsi un po’.  Ma quando esco sullo spiazzo con Mimì per aspettare Alex sento i commenti degli altri.  Il momento più apprezzato è stato il black out, ha dato una scossa alla recita, e Alex si è comportato da eroe.

Ma i commenti dei residenti…

– Che cavolo vuol dire?  – Sono robe da intellettuali.  – Dì pure che è una vaccata…

Hanno fatto tutto loro, gli allievi di questa scuola di teatro, dialoghi, sceneggiatura, costumi, scenografie, luci.  Ma che razza di soggetto hanno scelto?  Mezzo intellettuale, mezzo politico.

Temo che non interessi proprio nessuno, direi anch’io che è una cavolata.

Alex è bravo, si impegna molto, ma la sua è una particina da niente.  Si muove bene, ha proprio un bel fisico, anche la voce è migliorata. Mimì è molto soddisfatta, guarda solo lui, di tutto il resto non le importa nulla.

Ma quando esce dal camerino Alex sembra ancora pieno di adrenalina:

– Come vi è sembrato lo spettacolo?

– Bellissimo, complimenti a tutti.  Andiamo a mangiare qualcosa?

– No grazie, una Coca e basta, ho soltanto  sete.  Adesso devo riposare.  Dai, ci vediamo domani?

– Certo, bisogna festeggiare.  È stata una impresa importante.

Siamo seduti noi tre, Alex, Mimì e io, nel nostro locale abituale.  L’entusiasmo un po’ finto della serata precedente è finito e ci guardiamo in faccia.

– È stata una grande delusione, è vero?  Dite la verità.  Mi sembra che non riuscirò mai a farcela, il  teatro è un mestiere  molto difficile.

– Non si può certo pretendere troppo, con questa scarsità di mezzi.  Tu sei stato bravo, ma alcune cose dovrebbero essere migliorate.

Certo che la ragazza di Alex (i suoi si ostinano a chiamarla fidanzata perché fa più serio) non lo aiuta molto. E’ sempre lì ad assillarlo: – devi farti valere, devi frequentare persone più interessanti, devi fare dei provini per la televisione…….devi, devi, devi……

A dirla tutta lei non mi piace per niente. D’accordo, non deve piacere a me, ma proprio non la trovo adatta al mio amico. E’ troppo ambiziosa.

Alla fin fine i genitori di Mimì (si chiama Immacolata ma si fa chiamare Mimì perché fa chic!, però a me fa venire in mente Mimì Tirabusciò….) sono operai del Sud immigrati a Milano per lavoro.  Gran brava gente, che si aspetta molto dalla figlia e quindi l’hanno cresciuta facendole pensare di essere la più bella e la più brava.

E lei ci crede.

Sì, non è brutta, a parte che è un po’ secca e un po’ piatta, occhi un troppo tondi e capelli tinti biondi, con il vezzo di mettersi dei rossetti rossissimi ( lei dice tipo Marilyn (sob), si veste con tailleur pantaloni neri, camicia bianca e tacco 12 anche di giorno. Dice che deve vestirsi così perché, nel campo della moda dove lavora e dove vuole fare carriera, deve essere sempre “a posto”.

Moda… lei va in giro a dire che fa la fashion stylist, ma io so che sta dietro le quinte delle sfilate e degli eventi a mettere a posto i vestiti e il guardaroba, ma tant’è, convinta lei…

Credo che abbia fatto le superiori e poi un corso privato e costosissimo all’Accademia del Lusso, ottenendo un attestato di Assistant stylist.

Quando si esce in compagnia con gli amici parla solo di moda, di cosa ha fatto  questa o quella modella, di vestiti… Penso che la sua ambizione sia diventare una signora borghese-chic che ha il marito attore famoso, che dà ricevimenti nella sua bella casa in centro e fa costosi acquisti  in Via Montenapoleone, ogni tanto va alle sfilate a Parigi e viaggi in crociera. Devono essere i sogni anni ’50, visti nei fotoromanzi, che le hanno ficcato in testa i suoi genitori, quando sono arrivati a Milano. E martella il povero Alex, perché è attraverso lui che vorrebbe arrivare ad avere quello che vuole. Io spero quasi che il mio amico si trovi un lavoro molto banale  e Mimì veleggi verso qualcun altro.

Ma poi mi dico che voglio tanto bene ad Alex e se lui la ama… E così la sopporto sperando che si stanchi prima lui.

Nel tentativo di difendere  Alex e aiutarlo, Mimì si rivolge a me.

– Cosa fai tu per il tuo amico?  Tu hai avuto fortuna, hai trovato subito collaborazioni, adesso esce addirittura un albo tutto disegnato da te.  Possibile che tu non faccia niente per aiutare il tuo amico?

Mi guardano entrambi, Mimì come se io fossi un traditore, Alex con occhi che sembrano pieni di speranza.  Ma forse c’è qualcosa che posso fare, chissà.

Ieri in agenzia è entrato un tipo un po’ scalcagnato, con una grossa pancia, gambe storte, un sigaro spento in bocca.  Sembrava una macchietta di Danny De Vito.  Sentivo che il mio capo era piuttosto seccato.

– Caschi male con me, non posso aiutarti.  Guarda bene i miei collaboratori, tutti mezzi artisti dall’aria sfigata.  Vedi qualcuno che potrebbe coprire quel ruolo? Tu invece dici di aver bisogno di un personaggio aitante, fisico atletico.  E poi, come si fa a sostituire un attore come il tuo?  Gli spettatori si accorgerebbero subito che non è lo stesso di prima.

– Giro le scene senza far vedere la sua faccia, nessuno si accorgerà di niente.  Siamo bravi nel mestiere. Si tratta  di due giorni soltanto, poi il mio protagonista dovrebbe tornare.  Si è beccato solo un’ influenza, almeno lo spero.  Ci sono anche dei bei soldini.  Datemi una mano a trovare un sostituto per un paio di giorni.

Non avevo sentito altro e non ci avevo dato peso.  Immaginavo che girasse uno di quegli spot per profumi maschili: fisico atletico, proprio quello che ci vuole per un profumo.  Così, se uno si spruzza addosso mezzo litro di quel liquido, pensa di riuscire  a rimorchiare benissimo.

Però adesso mi sembra che possa esserci un’opportunità.  Il famoso fisico atletico  può trovare finalmente una sua collocazione, anche la faccia è bella, potrebbe fare buona impressione.

– Che ne pensi, Alex?  Vuoi provare a sentire quel regista?

– Sarebbe magnifico, Alex. – interviene Mimì – Pubblicità sui giornali, magari in TV!  Il teatro non dà questi successi.  Presentati, di corsa.

Arriva il fatidico giovedì e Alex si veste con l’unico completo grigio che tiene per le occasioni speciali, si pettina bene, mette il dopobarba “buono”, anche un po’ di deodorante, non si sa mai l’agitazione faccia brutti scherzi e in sella alla sua Vespa si avvia all’appuntamento.

– Ma dove cavolo è questo indirizzo, non si arriva mai, è finito pure l’asfalto: non  avrò mica sbagliato, no ecco là un capannone, vado a chiedere.

Parcheggia la Vespa, suona il campanello, attende e finalmente, clac, si apre la porta.

Entra incuriosito e timido: -Permesso? Sono Alex, sono amico di Marco, ho appuntamento col dott. Giovannetti.

-Entra pure ragazzo (la voce sembra provenire da un luogo molto lontano).

Sì, ma dove  -si chiede- qui c’è una tenda, provo a scostarla

Apre la fatidica tenda e strabuzza gli occhi, la saliva si asciuga in bocca, il corpo rimane paralizzato.

– Beh, che hai, sei diventato di cera? gli chiede una ragazza, forse neanche ventenne, vestaglia semiaperta su un corpicino esile nudo, sigaretta in bocca, trucco pesante.

– Faccio l’attore e sono qui per un provino.

– Ah, bene, ecco un altro in cerca di gloria, gli fa eco un giovanottone tutto muscoli, anche lui in una mise discinta

Timidamente Alex chiede che film stanno girando.

Tutti i componenti di quella troupe squinternata, dagli operatori ai macchinisti, agli addetti alle luci, e anche il regista stesso lo guardano come si può guardare un alieno.

– Ma tu da dove vieni, che cosa ci fai qui? Non sei venuto a sostituire  lo Spadaccino che si è ammalato, e noi si deve finire il film? Silvy sei pronta?

Silvy si presenta: una bella ragazzona mora, seno procace, sorretto da un reggiseno a balconcino, che più che coprire, scopre, tanga microscopico, reggicalze e calze a rete.

– Che è arrivato il sostituto? Nnamo bello, che si fa notte.

– Scusate, non capisco, voglio sapere la trama del film e che parte dovrei interpretare, non ho preparato niente…

– Caro figliolo, non hai capito, qui giriamo film porno, molto ben remunerati, se uno ci sa fare. Mai fatto niente del genere? Neanche mai visto  niente del genere?

– In verità no, non mi aspettavo proprio una cosa di questo tipo (e  intanto pensa che correrà da Marco e gli strapperà tutti i capelli, certo è opera sua)

– Allora è tutto pronto, non vedi il letto, la ragazza, la musica, ti decidi?  Dai, questo è solo un provino…vedremo dopo.

Quel letto a forma di cuore lo turba, i lunghi bocchini in bocca a quelle ragazze pittate come bambolone, scialli ovunque, scarpe disseminate sul pavimento di cemento, tutto intorno sa di sciatteria e di degrado.

E’ questo quello che sono disposto a fare per un minimo di gloria? E poi come si fa a fare l’amore così a freddo e impreparati? E se faccio una figuraccia? E come lo dico a Mimì?

Quelli lo incalzano, deve decidere, in fin dei conti che male c’è a provarci?

– Oh bravo, rimani in giacca e cravatta e vai vicino a Silvy e fai…

– Alex -si dice- ma cosa fai- scappa via subito!

– Scusate, ci devo pensare, vi farò sapere.

– Ma come, sai quanto guadagnerestI? Subito ti potresti comprare quello che vuoi, appartamento,  macchina…

– Grazie, vi farò sapere .

Esce dal portone e a gambe levate si dirige verso la sua adorata Vespa. Gira la chiave, muove il pedale, brrrrrrrr, brrrrrrrrrrrr, non parte, non farmi scherzi proprio adesso. Riprova, ma niente

Ci mancava anche questo!

Siamo seduti al solito bar, due birre per me e Alex e un calice di vino bianco

– secco e fresco mi raccomando- per Mimì, e siamo ansiosi di sentire come è andato il colloquio di lavoro di Alex.

Sappiamo solo che è scappato, incavolatissimo, e non ci ha detto una sola parola per tutto il pomeriggio.  Ma ora comincia a raccontare.

Sulle prime, ascoltandolo, ho un attimo di perplessità: è serio o ci prende in giro? Poi mano a mano che prosegue a spiegare, la mia fantasia di fumettista si mette in moto e disegno una vignetta satirica con Alex che fissa con occhi fuori dalle orbite un ammasso di corpi nudi…

Con la coda dell’occhio guardo Mimì e mi sembra di vedere del fumo uscirle dalle orecchie. Ghigno tra di me e aspetto.

– Spero che tu stia scherzando… Hai detto che ci devi pensare un po’ ? Ma sei matto?

– Perché? – dico io- potrebbe fare carriera, in fondo è sempre cinema no? E lui vuole fare l’attore… guarda per esempio Rocco Siffredi… è anche pieno di soldi.

Mi guardano con la bocca aperta e Mimì sprizza scintille dagli occhi, penso voglia fulminarmi.

– Non dire stronzate, Alex non è il tipo.

– Vorresti dire che non ho gli attributi per fare l’attore porno?

– Non dico questo, ma pensa alle malattie che potresti prendere…hai mai sentito parlare di AIDS.  Come mai si è ammalato l’attore che deve essere sostituito?  No, caro mio!

– Guarda che non siamo nel Medioevo – rincaro io – adesso si prendono tutte le precauzioni, potrebbe essere la sua vocazione… e potresti controllarlo, andare sul set, magari offrono una particina anche a te… hai il fisico adatto.

Penso che per un attimo Mimì voglia  uccidermi, beve un sorso di vino, guarda Alex e me e poi comincia a ridacchiare…e alla fine ridiamo tutti e tre come degli scemi.

Mi sento un po’ in colpa, ma proprio non potevo immaginare quello che sarebbe successo.  In realtà avrei dovuto avere qualche sospetto.  Rivedo la scena con  quell’ometto laido, non avrebbe certamente potuto lavorare nel cinema o per la televisione.  Forse che io, nel mio subconscio, abbia voluto dare una spallata ad Alex?  Forse, sotto sotto, volevo realmente fare uno scherzo cattivo.  Basta, non facciamo lo psicoanalista da quattro soldi.

Devo mettermi di buzzo buono e inventarmi qualcosa per il mio amico e anche per Mimì.

Il mondo del teatro, il mondo della moda…Non è che li conosca bene, e credo che ci sia molta competizione.  Ma cercherò, mi impegnerò, con questi lavoretti non hanno molte speranze.

Ci ho pensato per qualche giorno, ma proprio non mi veniva in mente niente.

Una  mattina, improvvisamente, in un bel viale alberato del centro, il traffico delle auto si blocca.  Guardo se posso infilarmi in una via laterale, mentre altre auto iniziano a suonare i clacson, quando improvvisamente tutto si zittisce.

Allungo il collo per vedere quello che sta succedendo, e sento delle note di blues struggenti.  Stanno scendendo piano dall’atrio di una dignitosa casa borghese alcuni uomini anziani che suonano questi magnifici strumenti a fiato, la cui musica arriva direttamente nel cuore.  Precedono lentamente una bara che viene posata sul carro nero infiorato e scandiscono la camminata dei vecchi amici che accompagnano il suonatore che li ha lasciati.  Dietro si incolonnano le auto, piano piano.  Nonostante sia orario di lavoro, nessuno suona il clacson, nessuno fa ruggire il motore.

Sento una grande commozione. Ecco cosa possiamo fare! Possiamo rendere memorabili ed unici gli eventi tristi o gioiosi della vita enfatizzandoli.  Possiamo renderli  unici!  Alex, con il suo talento teatrale, drammatico.  Mimì, con la capacità di intuire la moda, il gusto per gli abiti, i colori.  Ne parlerò subito a loro.  Dobbiamo però trovare la formula giusta.

E così ci siamo messi subito a progettare, Alex, Mimì ed io.  Ci siamo trovati tutte le sere, impegnandoci a tirar fuori idee, una via l’altra.  Abbiamo trovato un locale, lo abbiamo rimesso a nuovo, è stato completamente trasformato.  Adesso ormai siamo pronti.

Io ho preparato depliant, cartoncini da visita, biglietti di invito per l’inaugurazione, eleganti e graficamente intriganti.  Non è stato molto facile rendere la nostra idea con scritte e disegni, ma il risultato ci soddisfa.

Alex si è entusiasmato subito a questa idea e ha cominciato a fantasticare su possibili eventi da realizzare, mettendo a disposizione la sua inventiva e creatività: come preparare gli sposi qualche giorno prima dell’evento e fargli provare le pose per le foto in luoghi romantici, oppure al cimitero vicino alla tomba dei propri defunti, ostentando  segni di rispetto e devozione, ingaggiare la banda del quartiere, che di solito segue i funerali per  far suonare le canzoni o musiche preferite in chiesa, e ancora molte altre idee, quante idee presero a frullargli in testa.

Qualche mese dopo circolavano delle cartoline pubblicitarie molto colorate con la dicitura:

Un giorno indimenticabile

PROPONETE I VOSTRI SOGNI 

E NOI LI REALIZZIAMO

Abbiamo  aperto la nostra agenzia:  “Un giorno indimenticabile” sottotitolo “Proponete i Vostri sogni e noi li realizziamo”.

Forse il nome è troppo lungo, ma deve essere solenne.  Penso che sia bello rendere teatrale, scenografico, qualche momento che capita nella vita di ciascuno, in modo che si possa ricordarlo  come un importante momento : nascite, compleanni, matrimoni, feste di tutti i tipi: per nubilato/celibato, laurea, funerali… Naturalmente anche per i nostri amici animali.

Ecco i primi clienti, una bella coppia elegante. Sembrano felici.  Mimì li accoglie con un sorriso.

– Benvenuti.  Desiderate?  Forse un matrimonio particolare?

– No, un divorzio, ma che sia spettacolare.  Dovete sorprendere tutti, che lo ricordino a lungo.

Siamo chini sul progetto di un divorzio strepitoso, Alex ed io. Penso a litigi, tradimenti, lotte, quando si spalanca la porta di colpo e irrompe Mimì, tutta eccitata:

– Fermi tutti, ragazzi!  Una coppia indiana miliardaria ha deciso di sposarsi a Firenze. Vogliono un matrimonio che faccia epoca.  Che ne dite di far attraversare l’Arno dal corteo nuziale, su una decina di elefanti, sfilando sul Ponte Vecchio?  Come vi sembra questa idea?

– E brava, Mimì, hai capito tutto.

Situazione 1

Non so con quale animo si siano disfatti di me, non c’è stato nemmeno un confronto, una discussione, niente; qualcuno ha deciso che ero di troppo e non si è fatto avanti nessuno a dire che sì, però potevo ancora essere utile, così mi sono ritrovata scaraventata in mezzo a queste lordure, a questi fumi nauseabondi.

Ma dico io a nessuno è venuto in mente che se non fosse stato per me, la Luisa poteva anche presentarsi all’altare, al suo sposo, in sottoveste. No, nemmeno una parola in mia difesa, morta la vecchia Maria con lei sono finite nella tomba tutto quanto le era appartenuto, come se si fosse voluto togliere d’intorno tutto quanto poteva ricordarla. Era una megera, d’accordo, ma perché ci devo andare di mezzo anch’io? Il mio dovere l’ho sempre fatto. Forse qualcuno temeva che un giorno avrei potuto parlare? Eh sì! Di cose interessanti ne avrei avute parecchie da raccontare.

Grazia Faini

Scosse e scossoni

Quando la terra ha tremato io ero in cantina insieme al vecchio Pietro che tentava di aggiustare la caldaia. Non so neppure perché lo stessi facendo, visto che mi avevano appena licenziato. In mezzo al ciarpame di anni di dimenticanze – vecchie cose, parti di attrezzi rotti, cumuli di vecchie riviste ormai marcite, polvere e puzza di chiuso –  lo guardavo girare come un forsennato la chiave inglese su un bullone che, come il resto della palazzina, era lì lì per sbriciolarsi.

Darmi da fare è l’unica terapia in grado di non farmi dar di matto. Mentre le mani si muovono, il cervello è libero di formulare pensieri coerenti, e di ritrovare la calma. Quella che avevo perso il mese precedente, dopo la disgrazia.

Una settimana dopo la morte della signora Maria, proprietaria e padrona dello stabile e della mia sussistenza, sono stata chiamata dai parenti riuniti in consiglio nella sala grande del suo appartamento.

– Angela, abbiamo preso una decisione – ha detto il nipote di Roma, guardando ostentatamente l’orologio. Gli scappava il Frecciarossa, a quello, se perdeva tempo con me. Me lo ricordavo da bambino, quando passava da Milano in visita con i suoi e con aria furbetta tentava di irritare la zia facendo quello che sapeva era proibito. Maria era una vecchia megera, d’accordo, ma lui non era da meno. Poi, chi l’aveva più visto? Neanche una scappata, una cartolina.

– Ci dispiace, ma vedi quento è grande qui, tutto spazio sprecato..e per chi poi? – il nipote della Brianza dondolava da un piede all’altro guardando sua moglie, l’architetto, che mi fissava torva a braccia conserte. – Insomma, si è deciso di dividere la palazzina in appartamenti e di vendere. E’ così vero, cara?

– Sta dicendoti che da domani puoi considerarti libera di cercare un altro lavoro come badante. – Detesto la parola badante, io mi sono sempre considerata una dama di compagnia, come si diceva una volta.

– Qui faremo grandi cambiamenti – e si guardava in giro golosamente misurando, calcolando, programmando, ascoltando il suono degli euro che già tintinnavano nel suo portafoglio .

– Se non crolla tutto prima, naturalmente – il commento della signorina Luisa arrivava a proposito. Di solido restava ben poco, la Signora era stata una donna tirchia fino alla fine, e non si sarebbe portata niente nella tomba se non le maledizioni di chi in quella casa ci aveva vissuto. Ma l’immobile aveva un gran valore, centrale com’era e considerato edificio storico.

– Io resterò a vivere qui fino al giorno del matrimonio – a Luisa brillavano gli occhi – se vuoi restare a farmi compagnia mi faresti contenta.

La signorina Luisa sapeva bene che avevo un debole per lei, fin da quando, ragazza iscritta all’università, era venuta ad abitare dalla zia di Milano. Avevo seguito il suo sbocciare, il maturare, l’avevo sorpresa a piangere e a ridere, e quando si era innamorata di quello là che me l’avrebbe portata via avevo investigato per garantirmi che fosse un tipo a posto e che l’avrebbe resa felice.

Avevo accettato: non mi sarei persa il matrimonio per niente al mondo. Poi sarebbe stato tempo di pensione, all’età che avevo non me la sentivo proprio di ricominciare in un’altra casa.

Pietro era messo come me, sapevo che progettava di ritirarsi al paese, ma voleva fare il suo lavoro fino in fondo.

Quindi, quando Luisa ci aveva chiamato per mostrarci in anteprima il suo splendido abito da sposa,

mentre si rigirava sorridendo felice con la pelle d’oca sulle braccia nude, si era detto che un po’ di calore non avrebbe nuociuto a nessuno. Non aveva mai visto niente di più bello di quella visione, e io pure.

Attrezzi in mano era sceso in cantina: voleva che quello fosse il suo regalo di nozze alla sposa, delle stanze calde che le scaldassero il cuore.

Alla prima scossa Pietro aveva pensato che l’edificio crollasse per vecchiaia, mi aveva guardato interdetto, e poi – Il terremoto! Ha gridato

– Il vestito! – gli ho urlato in risposta.

Veloci come saette mi si incrociavano nella mente i pensieri. E’ in casa Luisa? No, è al lavoro. Se restiamo qui sotto non è detto che qualcuno ci troverà, forse è meglio che scappiamo. Se ne viene un’altra ‘sti muri non reggeranno. L’abito da sposa…. l’abito era nella camera da letto padronale, appeso all’anta dell’armadio, all’esterno perché il tulle e il pizzo non si sgualcissero.

Siamo scattati su per le scale come lepri impaurite. Nell’atrio Pietro si è diretto al portone, io su per lo scalone due gradini alla volta.

– Angela, sei matta? Corri fuori!

– Vado a prendere il vestito, tu scappa!

Ma quando sono uscita dalla camera da letto l’ho visto ancora lì, impalato in mezzo all’atrio, il cranio lucido di sudore e la bocca semiaperta.

– Prendi! Ho gridato, e gli ho lanciato l’abito dalla balaustra del primo piano. Ha volteggiato nell’aria con leggerezza, un uccello di nastri lucidi di seta e piume candide, ed è planato giusto sulla sua testa, infilandosi a metà fra la faccia e la spalla. Io mi sono precipitata dabbasso proprio mentre arrivava la seconda scossa, ho raggiunto Pietro che tentava di raccogliere sul suo corpo metri di tulle e pizzo come una mummia col suo sudario, e siamo usciti sulla strada.

Pietro era lì sul marciapiedi, con quella nuvola bianca fra le braccia, attento che nessuna parte toccasse terra, e alle sue spalle cadevano calcinacci, si sbriciolavano intonaci, le ringhiere vibravano oscillando e i lampadari decidevano di suicidarsi due piani più sotto. Era uno spettacolo.

La piccola folla che si era radunata in strada ci guardava perplessa, un omone in abito da sposa con in mano una chiave inglese e una anziana signora scarmigliata con il fiatone.

– Se non era per me, Luisa finiva per presentarsi all’altare in sottoveste –  soleva ripetere a distanza di anni Pietro a tutti quelli che, per sentire la storia dal protagonista, gli offrivano un bianchino al bar del suo paese.

Io? Io adesso ho cambiato lavoro. Faccio la bambinaia. Luisa ha avuto due gemelli e li ha chiamati Angela e Pietro. La palazzina è stata venduta e ogni tanto passo a vedere come la stanno ristrutturando. Sento chiaramente la signora Maria  rigirarsi nella tomba.

Wanda Roda

 

La sarta invisibile

E ora sono qui a fare l’orlo a un paio di pantaloni, mentre loro festeggiano e domani saranno tutti al matrimonio a brindare.

Mi hanno detto che è colpa mia se Maria è morta, io che sapevo che soffriva di cuore l’ho lasciata senza le sue pastiglie, ma io come potevo sapere che non le aveva prese.

Mi hanno detto che è colpa mia perchè ho chiamato l’ambulanza troppo tardi, ma io pensavo che dormisse,  certo dopo tante ore mi è venduto il dubbio ma non sono una maga, sono una sarta anzi per tutti una sartina anche se la vera artista ero IO mentre mia sorella si prendeva tutti I meriti.

Se devo essere sincera penso che Maria abbia fatto apposta a morire per rovinare il matrimonio di Luisa e Franco e in ogni caso un po’ se la sono meritata.

Certo che è stato un brutto colpo per Maria sapere che il  suo amato Franco si sarebbe sposato con Luisa, lei era innamorata di Franco da quando era bambina, fra loro c’era stata una storia giovanile finita per colpa di Franco. Lui diceva che non era fatto per mettere su famiglia. La storiella ha retto fino all’anno scorso quando in paese è arrivata Luisa, giovane, simpatica, carina. Colpo di fulmine. Lei 25 anni lui 45, lei senza arte ne parte lui imprenditore, lei senza permesso di soggiorno lui piemontese da generazioni … Ma quando c’è l’amore …

Maria l’ha chiamato, si è umiliata con lui, è arrivata a farsi un lifting per sembrare più giovane ma nulla è valso ha dovuto arrendersi e anche il suo cuore alla fine si arreso … per sempre.

Tutti in paese dicono che dalla notizia Maria era peggiorata,  sempre di cattivo  umore e dicono anche che continuavano a farsi fare i vestiti da noi perchè c’ero io, la sorella invisibile, sempre gentile, silenziosa, ed io, mentre prendevano le misure, sentivo i loro pettegolezzi, le loro confidenze e ora hanno paura che con un bicchiere di vino di troppo  mi lasci andare e racconti tutti I segreti anche quello della storia di Franco e mia sorella, la loro fuga d’amore finita perchè entrambi erano rimasti senza soldi e poi la Rita che ha tradito il marito, Giovanni che tutti pensano a Londra a studiare mentre è scappato da qua perchè vuol diventare una pop star per non parlare della Giulia che ha venduto la casa di sua madre per seguire uno spostato in Costa Rica, io lo so perché ha avuto bisogno della mia firma per il fido in Banca.

Insomma tutti con uno scheletro nell’armadio.

Ecco ho finito l’orlo, meglio che ora mi metta a guardare la posta, tutti questi biglietti di condoglianze, dovrò anche ringraziare, ma guarda questo biglietto a colori, che fantasia, che tatto, chi sarà questo cafone …. Mamma mia, altro che biglietto di condoglianze questo  è il biglietto d’invito per il matrimonio di Luisa e Franco. Che carini, che gentili, che persone squisite, si sono ricordate di me. Ora devo trovare qualcosa da indossare domani, elegante ma non sfarzoso, sono in lutto ma a un matrimonio.

Sarà una grande festa e sarà anche la mia grande occasione perché tutti potranno ammirare il vestito della sposa cucito da me.

Povera Maria, chissà se ci vedrai dall’Alto, povera Maria anche a te per il tuo ultimo viaggio ho messo un vestito cucito da me, ma questo rimarrà per sempre il nostro segreto.

Elisabetta Agiman

 

Macchina per cucire Singer

Erano tutti intorno a me, valutandomi con occhio critico.  Sicuramente stavano calcolando quanto avrei potuto render loro, ma ci sono anche altri valori a questo mondo, oltre al denaro.  Tutti spilorci e gretti, aveva ragione lei, Maria.

– Che cosa ne facciamo, di quel ferro vecchio?

– È ancora bella, ben tenuta.  Funziona benissimo, avete visto.  Magari in un mercatino …

– Ma non è facile da usare.  Quelle di adesso sono più comode, più piccole.  E poi fanno tanti lavori in più, anche ricami.

– Così però si controlla meglio il lavoro.  Hai visto quante cose veramente belle ha fatto, quella vecchia megera, con questa macchina?  Il vestito di nozze della Luisa, se lo ricordano tutti …

Sembrava così strano che la vecchia Maria, sempre scontrosa e acida, capace perfino di scacciare i bambini piccoli se le andavano vicino, sempre arrabbiata col mondo intero, fosse capace di cucire vestiti fantasiosi, leggeri, eleganti.  Il meglio lo dava ai vestiti da cerimonia, che lei non avrebbe mai potuto indossare, e neanche sognare per sé.

A me però raccontava molte cose, mentre, al ritmo costante del pedale, girava, aggiustandola, una linea del tessuto, toccando delicatamente la stoffa con quelle sue mani secche.  Aveva molto gusto, e anche piacere nel vedere i suoi lavori riuscire così bene.

Raccontava pezzi della sua storia, spesso con voce astiosa, talvolta invece come sognante.

– Avrei dovuto morire, sarebbe stato meglio per tutti!  Quella puttana egoista, con il marito disperso in Russia, mettersi con quel mezzo delinquente, comportarsi senza pensare a quello che può succedere.

A volte parlava con voce quasi intenerita.

– È stato vero amore, anche se non  poteva dirlo a nessuno.  Una ragazza bellissima, giovanissima, sposata al figlio della padrona del paese, perché facesse dei figli degni della  loro famiglia, quasi come la storia di quella povera Diana, guardate come è finita.  E il principe Charles non ha certo pagato niente, per il suo schifoso comportamento, tutto va sempre bene, per i ricchi e i potenti.

Ma quando ha saputo che il marito stava per tornare – e qui il piede si muoveva furiosamente, le dita quasi strappavano le stoffe delicate; ero costretta a incepparmi per farla calmare, come rimetteva a posto l’ago poi riprendeva ad appassionarsi al lavoro – la moglie ha partorito aiutata dalla madre badessa, sempre pronta ad aiutare la famiglia più importante del paese.

Aveva chiesto che la bambina venisse portata lontano, dove nessuno avrebbe conosciuto i particolari di questa storia, ma la badessa temeva che qualcuno, assoldato per questo compito, avrebbe parlato.

– Anche secondo me la cosa più semplice sarebbe stata quella di lasciarmi morire.  Si sarebbe dimenticato tutto facilmente, specie in quel periodo del dopoguerra.

Una suorina però l’aveva vista, e non riusciva a darsi pace.  Lei non poteva fare nulla, direttamente, ma la sua famiglia si sarebbe presa cura della bambina.  Fu pattuito un piccolo compenso per le spese, per i primi anni di vita della bambina, a patto di mantenere il silenzio su questa storia.

Purtroppo  i contadini che l’avevano accolta, minati da pesanti fatiche e vitto insufficiente, morirono abbastanza presto, e così la suorina che l’aveva tanto amata.

– Mi sono trovata sola, a sedici anni, con l’unica eredità di questa macchina da cucire.  Per fortuna ero proprio brava, il lavoro era continuo, e mi apprezzavano molto.  La vita non era troppo dura, allora.

Intanto, però, i padroni del paese avevano avuto un figlio, e poi una figlia.

– Mia madre mi incaricò di confezionare i vestitini per loro.  Specialmente per la bambina, mia sorella, facevo dei vestitini deliziosi.  Mi figuravo che mia madre, colpita dalla mia abilità, mi avrebbe preso in casa, anche senza riconoscermi come figlia, ma standomi vicino e volendomi bene.  L’avrei ripagata del suo amore con tutti i vestiti che avrei confezionato per la famiglia, lavorando continuamente!

Invece niente.  Una cameriera veniva, tutta altezzosa, portando i bambini per le prove, poi tornava a ritirare i vestiti e a pagarla per il lavoro.  La signora non si faceva mai vedere, e non diceva nulla, se era contenta o no.

– La bambina, Luisa, aveva otto anni meno di me.  Era brutta come il padre e stupida come la madre.  All’inizio facevo degli abitini molto graziosi, ma lei diventava sempre più sgarbata e cattiva. Così iniziai a studiare tutti i suoi difetti:  come era sgraziata nel fisico, nei comportamenti.

Facevo vestiti sempre più belli ed eleganti, ma sempre capaci di far risaltare questi difetti.

Tutti li notavano, tranne lei e la madre.  Diventai sempre più cattiva, e godevo della mia cattiveria.

La strada per quella poveretta della Maria era stata imboccata.  Aveva trovato piacere nel rispondere alla stupida cattiveria con malignità, e aveva allargato questo comportamento anche agli altri.

Ben presto divenne conosciuta come l’acida zitella, e più avanti come la vecchia megera.  Questi nomignoli non la infastidivano, anzi, li accettava come un riconoscimento.

– Il mio capolavoro è stato l’abito da sposa di Luisa.  Il magnifico abito metteva in risalto non la snellezza flessuosa, come lei credeva, da quello che le avevo detto, ma la sua secchezza rigida.

La stoffa morbida color panna faceva risaltare l’incarnato giallastro, i morbidi drappeggi volteggiavano sul suo incedere sghembo.

– Ma ancora meglio riuscì la mia vendetta sulla madre della sposa, mia madre.

Il sofisticato tailleur verde strizzava la figura ormai inflaccidita, il colore livido rifletteva la pelle traslucida e pesante, i lineamenti, una volta belli, ormai mostravano la volgarità dei suoi sentimenti.

– I miei vestiti sono stati visti in tutta la loro bellezza ed eleganza, mia madre e mia sorella in tutta la loro povertà, fisica e spirituale.

Ora lei, Maria, è morta.  Le sue cose, vecchie, senza importanza, sono destinate al macero.  Rimango solo io, la vecchia Singer, con tutti i segreti di una vita a cui non è stato concesso l’amore.  Penso che sia giusto anche per me ormai essere mandata in una discarica.

Adriana Sica