Il pranzo di Babette
Danimarca 1987; regia Gabriel Axel; sogg. dall’omonimo racconto di Karen Blixen; scen. Gabriel Axel; fot. Henning Kristiansen; mus. Per Nørgård; scenogr. Jan Petersen, Sven Wichmann; cost. Jacqueline Guyot; int. Stéphane Audran (Babette Hersant), Birgitte Federspiel (Martina anziana), Bodil Kjer (Philippa anziana), Vibeke Hastrup (Martina giovane), Hanne Stensgaard (Philippa giovane), Jarl Kulle (Lorens Löwenhielm anziano), Gudmar Wivesson (Lorens Löwenhielm giovane), Pouel Kern (il decano), Jean-Philippe Lafont (Achille Papin), Bibi Andersson (dama svedese), Lisbeth Movin (la vedova), Preben Lerdorff Rye (il capitano), Else Petersen (Solveig), Gert Bastian (mendicante); dur. 102′
Quando l’uomo ha respinto ogni idea
che riguardi il mangiare e il bere,
allora sì che mangia e beve nel giusto stato d’animo.
(Karen Blixen)
La chiave di lettura del film sta in un versetto biblico citato all’inizio e alla fine della storia, esattamente come nel racconto della Blixen da cui è tratto. Si tratta del versetto 11 del Salmo 84, considerato dagli esegeti un inno di ringraziamento e un oracolo dell’avvento messianico. Il versetto dice: «La misericordia e la verità si sono incontrate / la rettitudine e la felicità si sono baciate». All’inizio lo pronuncia il decano durante un incontro con i confratelli della sua congregazione, alla fine le parole vengono riprese dal generale Löwenhielm a conclusione della cena per il centenario di nascita dello stesso decano. Di mezzo, attraverso una serie di flash back e flash forward, si narra la storia di Martina e Philippa, le due figlie del religioso, e della loro governante francese, Babette Hersant, un tempo cuoca del parigino Café Anglais, tempio di mondanità, finita nello sperduto paesino del Jylland (Jutland) dove vivono le due sorelle per sfuggire alla repressione seguita alla Comune di Parigi.
Di mezzo, nella parte del film che narra la giovinezza delle sorelle, vediamo come due innamorati delle ragazze vengano respinti per un malinteso senso della religione, incarnata dal decano e dalla sua rigida morale protestante. Spasimante di Martina è lo stesso Löwenhielm, all’epoca giovane ufficiale di belle speranze, mentre l’innamorato di Philippa è Achille Papin, celebre tenore francese rapito dalla bellissima voce della giovane. Il cantante trova il modo di manifestare il proprio sentimento attraverso il duetto detto Della seduzione, dal secondo atto del Don Giovanni di Mozart con Philippa nel ruolo di Zerlina. Papin sogna infatti di fare della giovane non solo la propria compagna di vita, ma una stella internazionale della lirica.
L’importanza delle due citazioni sta proprio nel fatto che a tradurre in realtà il dettato biblico non è la bigotta morale di una comunità chiusa ed egoista quale quella guidata dal decano, ma il più laico dei banchetti, imbandito da un’artista dei fornelli che vi sacrifica tutti i propri averi e, con essi, la possibilità di tornare in patria.
Come spesso succede tra gli autori scandinavi, la religione diventa il bersaglio privilegiato di una critica che le contrappone la vita nelle sue valenze più naturali, nelle gioie terrene che prescindono dall’attesa mortificante della Gerusalemme Celeste. In molte occasioni, infatti, gli incontri tra i membri della confraternita, guidata dalle figlie del decano dopo la sua scomparsa, generano risentimenti e rancori anche se sempre frammisti a preghiere retoriche e vuote. I piaceri della carne, a cominciare dal cibo, risarciscono invece abbondantemente i mancati gaudi dell’anima.
La cena imbandita dalla cuoca francese riconcilia i cuori, appiana i dissidi, rinvigorisce persino amori sopiti da tempo e i dodici commensali (numero non casuale) al termine dell’inconsueta agàpe per la quale avevano fatto addirittura voto di non parlare delle vivande, si alzano da tavola trasfigurati. Dodici a mensa mentre il tredicesimo, Babette, messia femminile e laico, resta dietro le quinte ad apparecchiare i manicaretti che soltanto il generale, uomo di mondo, riconosce e apprezza per quello che sono.
Detto degli aspetti essenziali del film, in massima parte riconducibili al testo da cui trae origine, come gran parte dei dialoghi, ripresi quasi alla lettera, bisogna però anche sottolineare come non tutte le scelte formali del regista riescano a dare pregnanza formale all’assunto. Il sogno di Martina, per esempio, con il logoro repertorio delle sovrimpressioni e dei flou su risibili fiammelle che dovrebbero evocare le potenze infernali sono una delle poche cose non presenti nel racconto della Blixen. Lasciato a se stesso, il regista compone in maniera banale. Al pari della candela che si spegne sulle ultime parole (in off) dei dialoghi.
L’impressione è insomma quella che il film regga nella misura in cui non si discosta dal racconto da cui è tratto, ma mostri immediatamente dei limiti nel momento in cui deve, o vorrebbe, rendersene autonomo. Gli episodi degli “innamoramenti” risultano perciò un po’ schematici, la figura del decano è priva di spessore psicologico mentre, rispetto al testo, emerge in maniera determinante proprio il personaggio della cuoca francese che nelle pagine della Blixen è appena tratteggiato. A riprova indiretta della prevalenza della parola sull’immagine, va ricordato che nel resto della sua opera Axel non ha mai raggiunto la qualità formale esibita qui e che quando è tornato nel Jylland per il film Prince of Jutland (1994) il risultato è stato un’opera di cappa e spada non molto diversa dalle numerose banalità di ambientazione medievale prodotte negli ultimi decenni.
A riscatto del coté visivo (le scene e i costumi sono ineccepibili) va dato merito al regista di essersi ispirato figurativamente ai maestri della pittura scandinava del tardo ottocento come lo svedese Anders Zorn e il danese Vilhelm Hammershøi alle cui suggestioni si era mostrato sensibile anche Carl Theodor Dreyer. A proposito di quest’ultimo, bisogna aggiungere che Il pranzo di Babette ha inoltre il pregio di aver riunito sullo stesso set alcuni attori già noti per aver interpretato alcuni film del grande maestro. È il caso, per esempio, di Birgitte Federspiel, protagonista di Ordet (1955), come pure Lisbeth Movin (un’anziana della comunità) indimenticabile interprete di Dies Irae (1943). Preben Lerdorff Rye (un altro seguace della congregazione) ha lavorato con Dreyer sia in Dies irae sia in Ordet oltre che in film di Lars Von Trier. In una piccola parte appare l’icona bergmaniana Bibi Anderson, ma anche Jarl Kulle (il generale) ha interpretato numerosi film del maestro svedese. A tutti costoro, e a un agguerrito numero di comprimari, si è aggiunta poi la grande prestazione di Stéphane Audran che ha dovuto recitare in una lingua diversa dalla propria.
Il pranzo di Babette è stata la prima pellicola danese a ottenere l’Oscar come miglior film straniero. Pare sia il film preferito di papa Francesco.
Il menu
Brodo di tartaruga- Blinis Demidoff- Cailles en sarcophage- Insalata mista – Formaggi misti- Savarin- Frutta mista (datteri, mango, uva, ananas, fichi) – Caffè con tartufi al rum –Friandises: pinolate, frollini, amaretti
I vini
Amontillado bianco ambra- Clos de Vougeot (Bourgogne)- Veuve Clicquot (Champagne)