La plastica, un vecchio alleato, diventato pericoloso, indistruttibile nemico

Pubblicato il 6 Gennaio 2019 in , da Margherita Corti

Dal 1 gennaio 2019 non è più possibile trovare sugli scaffali dei supermercati cotton fioc con bastoncino in plastica. Nel 2021 posate, piatti, cannucce e tanti altri prodotti in plastica monouso saranno soggetti allo stesso destino, sostituiti da prodotti in materiale sostenibile. Finalmente l’Europa ha deciso di dichiarare guerra alla plastica, la fonte di inquinamento più preoccupante del nostro tempo.

Dal momento in cui è stata introdotta in commercio negli anni ’60, la plastica ha rivoluzionato le nostre vite, abituandoci alla sua colorata e versatile comodità, al punto che solo noi Europei ogni anno produciamo 25 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. Per capirci, stiamo parlando di un volume corrispondente a 77 volte il Duomo di Milano o a 180.000 balenottere azzurre, insomma quantità di certo non trascurabili, di cui però solo il 30% viene raccolto per essere riciclato.

Che fine fa tutto il resto? Viene disperso nell’ambiente e gran parte purtroppo finisce in mare. Al momento il Mediterraneo è infatti considerato tra i mari più inquinati da plastica del pianeta, con concentrazioni di rifiuti simili alle isole di rifiuti galleggianti dell’Oceano Pacifico. Insomma, siamo a uno stato di inquinamento così avanzato che se non iniziamo a ridurre il modo in cui utilizziamo e ricicliamo la plastica, entro il 2050 nei nostri oceani ci saranno più rifiuti che pesci.

Ma la plastica non dovrebbe degradarsi con il tempo? Tra i prodotti sintetici la plastica è tra quelli a più alta resistenza, poiché si decompone in centinaia di anni, a volte mai del tutto.

Inoltre, i detriti in plastica sono soliti frammentarsi in parti molto piccole (inferiori ai 5 mm di diametro) formando le microplastiche di cui si parla tanto. Oltre che in questi processi di frammentazione, le microplastiche sono già presenti in prodotti per l’igiene personale e la cosmesi (scrub, dentifrici, trucchi, …) ma non solo: sono prodotte anche durante il lavaggio in lavatrice di capi d’abbigliamento sintetici e con l’abrasione degli pneumatici sulla strada!

Nell’acqua, queste particelle sono in grado di assorbire e concentrare gli inquinanti disciolti presenti nell’ambiente (pesticidi, sostanze di scarico, …) e, grazie alle loro ridotte dimensioni, vengono facilmente ingerite dagli organismi acquatici, accumulandosi lungo la catena alimentare, fino ad arrivare anche sulle nostre tavole.

Questo, tuttavia, non è  ancora il solo modo in cui ingeriamo microplastiche. I nostri depuratori e impianti di potabilizzazione, infatti, non sono dotati di sistemi in grado di filtrarle, lasciandole arrivare all’acqua che beviamo. Le microplastiche hanno così un impatto sull’ambiente e sulla nostra salute molto maggiore di quanto le loro piccole dimensioni possano far pensare.

Qual è il pericolo concreto? Non tutti i rischi per la nostra salute e quella degli ecosistemi dovuti alla plastica sono stati ancora compresi. Le specie animali acquatiche sono quelle soggette a maggiori danni anche di natura fisica. Difatti, pesci, tartarughe e uccelli possono rimanere intrappolati o incappare in rifiuti in plastica, correndo il rischio di ferite, mutilazioni e strangolamenti. Gli stessi possono ingerire plastica in modo diretto scambiandola per una preda o indirettamente ingerendo altro. In questo modo rischiano di morire per soffocamento o malnutrizione, causata dall’ostruzione del tratto intestinale. Molte specie, anche presenti nella nostra dieta alimentare, sono in grado di trattenere la plastica ingerita per diverse settimane con dirette conseguenze sul loro comportamento, la loro crescita e le loro capacità riproduttive.

Potremmo illuderci che queste problematiche non abbiano lo stesso impatto sull’uomo, purtroppo la realtà è un’altra. Molti laboratori scientifici di grandi e importanti enti di ricerca di tutto il mondo stanno indagando gli effetti delle plastiche anche sulla nostra specie al fine di prevenire un male che potrebbe rivelarsi incurabile o irreversibile.

Insomma, è fondamentale rivalutare il nostro rapporto con la plastica, e alle volte basterebbe davvero poco: piccoli e semplici gesti quotidiani in grado di fare la differenza.

Le grandi associazioni ambientaliste italiane, tra cui WWF, Legambiente e Greenpeace, sono promotrici del grande mantra delle tre R: riduci, ricicla e raccogli. Cerchiamo innanzitutto di fare nelle nostre abitazioni una corretta raccolta differenziata seguendo le linee guida comunali (ebbene sì, ogni Comune ha le sue). Allo stesso tempo cerchiamo di fare attenzione a ciò che compriamo, evitando i prodotti monouso, l’utilizzo di cannucce in plastica nelle nostre bevande, i prodotti alimentari con un packaging esagerato e l’utilizzo di bottigliette di plastica per l’acqua così come flaconi di detersivi e shampoo. Per questi ultimi, esistono nuove alternative solide “nude”, ovvero prive di packaging, mentre per i primi validissime alternative biodegradabili. Se una città grande come San Francisco sta arrivando a vietare la vendita di bottigliette d’acqua in plastica negli edifici pubblici possiamo provarci anche noi. Diffondiamo tra i nostri amici queste informazioni, cercando di far diventare anche loro consumatori consapevoli. Insomma, per salvare i nostri mari e tutelare la nostra salute occorre agire tutti, subito e in prima persona.


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