L’impatto del prezzo del petrolio sulla nostra vita. Ancora qualche riflessione

Pubblicato il 17 Gennaio 2020 in , da Giovanna Gabetta

Abbiamo visto che il prezzo del petrolio dipende da molti fattori, alcuni più tecnici, altri economici e politici. Sappiamo anche che ha delle importanti ricadute sull’economia e sulla nostra vita, ma forse è bene rifletterci un po’ più a fondo. Abbiamo poi potuto constatare che dopo gli anni ‘70 del 1900 il prezzo ha cominciato a crescere, anche se non in modo costante.

Stiamo parlando del petrolio grezzo, dell’insieme degli idrocarburi liquidi, che vengono utilizzati per lo più nel settore dei trasporti. E infatti, il prezzo del petrolio ha un effetto immediato sul prezzo del combustibile per la nostra automobile. Potremmo pensare quindi che per chi non ha un’automobile il problema non si pone? Sicuramente il prezzo del combustibile ci importerà in modo diverso a seconda della professione che facciamo. Per molte persone, infatti, l’automobile è indispensabile per produrre reddito, quindi se la spesa per il combustibile aumenta, occorrerà tagliare altre spese oppure utilizzare i trasporti pubblici, cosa non sempre facile da realizzare. Ma le conseguenze non si fermano qui, ce ne sono altre meno immediate.

Cominciamo a chiederci: come mai si consuma questa enorme quantità di petrolio nel settore dei trasporti? Perché l’economia globalizzata negli ultimi anni ci ha dato l’abitudine di trasportare moltissimi oggetti – anche di scarso valore, anche i rifiuti! – da una parte all’altra del mondo. Un caso emblematico di cui abbiamo già parlato è quello del vestiario, ma non è il solo. Perciò il prezzo del petrolio influisce sul prezzo finale di un buon numero dei beni che consumiamo. Se il prezzo del petrolio aumenterà, tutti questi beni aumenteranno di prezzo, perché costerà di più produrli, oppure trasportarli fino ai consumatori, o anche entrambe le cose. I costi di trasporto delle merci influiscono sulla vita di molte persone anche per via del loro lavoro. Se i trasporti diventassero meno convenienti, ecco che molti di coloro che, nel mondo globalizzato, lavorano in questo settore – come per esempio i camionisti – dovrebbero cambiare lavoro. Tanto per dare un’idea, negli Stati Uniti circa il 10% della forza lavoro è impiegata nei trasporti o in attività correlate[1]. Per questi lavoratori, è importante che il prezzo del petrolio sia basso.

Un’altra categoria che risente dell’andamento del prezzo del petrolio è quella del cibo e dei prodotti agricoli, perché l’agricoltura dipende fortemente dal consumo di combustibili fossili. Gli agricoltori potrebbero trovarsi nella necessità di aumentare il costo dei loro prodotti per recuperare le spese, ma potrebbero anche veder diminuire le vendite oppure i margini di guadagno. Dato che – come abbiamo già visto – tendiamo a produrre troppo cibo, e a sprecarne, un aumento del prezzo potrebbe essere una spinta a comportarci meglio… ma ovviamente questo vale per i Paesi (e le persone) che sono abbastanza ricchi. L’aumento del prezzo del cibo, infatti, avrebbe sicuramente grosse conseguenze, soprattutto nei Paesi poveri ma non solo. Pensiamo ad alcuni dei movimenti di protesta che sono in corso in diverse parti del mondo, per esempio i gilè gialli in Francia che si sono ribellati a un aumento proprio del costo della benzina, oppure le proteste in Cile contro l’aumento del costo dei trasporti pubblici, e non solo questi… forse ci dimostrano che qualcosa in questo senso sta già avvenendo.

Se poi vogliamo capire come il prezzo del petrolio influenza l’economia a livello macroscopico, la cosa si complica. Anche consultare i siti specializzati non serve a molto: secondo alcuni per esempio[2], attualmente se il prezzo cala si rischia la recessione; altri propongono una correlazione un po’ più complicata tra il prezzo del petrolio e il prodotto interno lordo[3]. Forse per capirci di più possiamo, come ci propone il rapporto appena citatto, esaminare in modo diverso i Paesi produttori di petrolio e i Paesi consumatori; oppure separare quelli ricchi e quelli poveri.  Si capisce facilmente che per i Paesi produttori è importante che il prezzo sia alto; mentre per gli importatori, l’economia andrà bene se il petrolio a disposizione avrà un prezzo basso. Per quanto ci riguarda, ad esempio, possiamo dire che l’Italia è un Paese ricco ma non produttore. Siamo sostanzialmente consumatori di petrolio importato. Abbiamo qualche giacimento relativamente piccolo di petrolio o di gas, ma quello che ci serve è molto più di quello che produciamo. L’Arabia Saudita e altri paesi del Golfo Persico invece sono produttori: sono in grado di soddisfare i bisogni interni, ma anche di vendere moltissima energia ad altri Paesi. Quindi, dato che in Italia dipendiamo dal petrolio e dal gas che importiamo – e che dobbiamo pagare -, possiamo dire che ci fa comodo se il prezzo è basso, mentre per i Sauditi è necessario che sia alto, per poter garantire a tutti i sudditi del regno il tenore di vita a cui sono abituati. Paradossalmente, i Paesi poveri, che hanno un basso livello di consumo di energia, potrebbero risentire meno degli altri di un eventuale aumento del prezzo…

La politica delle diverse nazioni quindi si dà da fare per influire sul prezzo del petrolio nel modo più favorevole; ma oggi deve fare i conti anche con le problematiche ambientali, che non possono essere trascurate. Per molto tempo ho pensato che la crescita del prezzo del petrolio sarebbe stata utile per far sì che il consumo scendesse, con diversi effetti positivi sull’inquinamento e sulla possibilità di non sprecare risorse importanti. Ma naturalmente, se il prezzo sale, i consumi scenderanno, e anche questo ci potrebbe portare alla recessione e a sofferenze nell’economia, con la perdita di posti di lavoro.

L’opinione che mi sono fatta alla fine  è che negli ultimi anni si sia effettivamente lavorato per tenere basso il prezzo del petrolio. Infatti il prezzo basso, o almeno relativamente basso,  è indispensabile per  tenere in piedi il sistema economico che oggi va per la maggiore, basato sulla crescita e sulla globalizzazione. E come si può lavorare per tenere basso il prezzo del petrolio? Negli Stati Uniti si è lavorato per aumentare la produzione, mediante lo sfruttamento dell’olio di scisto (shale oil) . È stato uno sforzo molto importante, che ha richiesto anche un grosso impegno finanziario, perché l’estrazione dello shale è particolarmente costosa. Però ha consentito agli Stati Uniti di diventare il maggior produttore mondiale di petrolio, togliendo potere ad altri produttori, come per esempio Arabia Saudita, Venezuela e Russia. Questo è avvenuto – almeno secondo quello che si può leggere – a spese di un grosso aumento del debito, necessario per compensare i costi dell’estrazione. Ancora una volta abbiamo visto che l’Economia è molto legata all’uso dell’Energia, passando attraverso la politica. Però molto spesso si tende a dimenticare la terza “E”, cioè l’Ambiente (in inglese, Environment). Non solo l’estrazione dello Shale Oil è economicamente poco favorevole, ma ha un grosso impatto ambientale.

Un altro argomento che mi piacerebbe approfondire è il ruolo dei bassi tassi di interesse e in particolare del Quantitative Easing, che – almeno a quanto ho capito – da una parte penalizza i capitali “inattivi”, e dall’altra aiuta chi vuole fare investimenti poco produttivi, come appunto quelli che riguardano l’estrazione dell’olio di scisto. Ma probabilmente per capirci qualcosa ci servirebbe un “vero” economista! Accontentiamoci di questi spunti di discussione.

[1]          Dati del Bureau of transportation statistics

[2]          https://www.wsj.com/articles/the-recession-caused-by-low-oil-prices-1452211556

[3]          Jessica Lambert, Charles Hall e Stephen Balogh, “EROI of Global Energy Resources: Status, Trends and Social Implications”, 10 Gennaio 2013, DOI 10.13140/2.1.2419.8724