Recruitment & Facebook

Da Econonomia e Finanza La Repubblica

Recruitment, chi decide non dà spazio a Facebook

IL 59% DEI MANAGER INTERVISTATI RITIENE CHE I SOCIAL MEDIA NON SIANO EFFICACI COME STRUMENTI DI RECLUTAMENTO DEL PERSONALE, IL 47% NON LI USA E NON LI USERÀ
Daniele Autieri

Roma «Vi dovete ricordare che il mondo è aperto e che la selezione si fa in ogni dove, anche in metropolitana». Questo dicevano già nel 1999 i professori del master in risorse umane della New York University agli HR manager del futuro. In metropolitana, forse, ma non sui social network, almeno secondo Robert Half, la società di recruitment più antica al mondo, quotata al Nyse e leader sui mercati internazionali, che ha acceso un faro sull’Italia intervistando un campione nutrito di direttori del personale. E proprio i manager hanno confessano un’inversione a U rispetto alla vulgata informatica degli ultimi mesi che prefigurava un ricorso sempre più intenso al web per la selezione e l’assunzione di personale. Il 59% degli intervistati ritiene infatti che i social media come Facebook o Linkedin non siano efficaci come strumenti di reclutamento del personale, il 47% non li usa e quasi il 50% non li vede neanche per il futuro come possibili sostituti del curriculum. Una presa di posizione che appare in controtendenza con l’apparente interesse mostrato negli ultimi anni dalle aziende nei confronti del cosiddetto web 2.0. «In realtà – commenta Carlo Caporale, partner di Robert Half – è importante fare una distinzione tra i diversi strumenti disponibili in rete. Un sito come Linkedin, che raccoglie i profili professionali di milioni di persone nel mondo, è sicuramente più seguito rispetto a Facebook, considerato dai direttori del personale italiani

come un raccoglitore di informazioni più ludiche che lavorative». «Detto questo – prosegue Caporale – anche nel nostro campo vediamo che la ricerca di personale nelle aziende passa ancora attraverso i canali più tradizionali, quindi l’autocandidatura, l’indicazione da parte dei cacciatori di teste, o ancora l’inserzione di offerte di lavoro sui siti internet dedicati. Il ricorso ai social network, in quest’ambito, avviene semmai come strumento di controllo, una volta individuata la risorsa». All’inizio i profili professionali vengono passati al setaccio attraverso gli strumenti tradizionali e poi, per cercare di ottenere un numero maggiore di informazioni e magari verificare quanto scritto sul curriculum, si accede ai social network. Questa tendenza viene confermata anche dalla ricerca di Robert Half dalla quale emerge che il 12% dei dirigenti HR che setacciano i social network, lo fanno non per cercare aspiranti, ma per raccogliere più informazioni possibili su quelli che hanno già individuato. Attenzione, quindi, ai comportamenti e alle esternazioni concesse sulla Rete perché, come ha dimostrato un recente studio condotto dalle università statunitensi di Evansville, Illinois e Ausburn, «chi non è disciplinato nelle conversazioni o in quello che pubblica online, sarà un dipendente poco consapevole. E chi in Rete rivela una tendenza a continui voltafaccia nella vita di relazione, non sarà un candidato affidabile dal punto di vista della stabilità emotiva». L’occhio dei recruiter e dei direttori del personale potrebbe quindi facilmente cadere sulle tendenze personali dei 20 milioni di italiani che hanno un account su Facebook. In realtà, dietro il tira e molla sulla reale importanza dei social network nelle politiche di reclutamento aziendale, si nasconde un altro fattore di non poco conto: la guerra sotterranea combattuta dai cacciatori di teste tradizionali contro l’informatizzazione delle modalità di selezione del personale. «La verità – spiega Francesca Parviero, ex-direttore del personale e oggi titolare della HR Jungle, società di consulenza nell’ambito delle risorse umane – è che sviluppare piattaforme che sappiano scovare i talenti attraverso il web è molto più efficace e soprattutto molto più economico per un’azienda piuttosto che affidarsi a una società di recruitment. In genere le grandi multinazionali ma anche le medie aziende italiane in forte crescita, specializzate nel settore dei servizi, si stanno aprendo a questi strumenti». «Alla base – continua – c’è un problema culturale da superare che tiene alcuni manager legati ai vecchi schemi e alle vecchie modalità di selezione. Ovviamente il ricorso ai social network è maggiore per la ricerca dei profili di middle management, meno comune nel caso dei top manager, per i quali si battono generalmente altre strade».

redazione grey-panthers:
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