L’amore in età avanzata, di Simonetta Diena*

Pubblicato il 11 Luglio 2016 in Letture Ideas

L’amore nell’età avanzata si rappresenta in molti modi. A volte è un desiderio acuto e persistente di ciò che si è perduto, di ciò che non si è potuto sviluppare, per difese e angosce e resistenze verso aspetti pulsionali che sembravano, allora, intollerabili. A volte invece è la rivendicazione di un diritto per molto tempo represso e negato, il diritto di essere riconosciuti nelle proprie possibilità di amare e di esser amati, diritto che è stato soffocato da educazioni repressive, o da considerazioni politiche/sociali/economiche. A volte è la nostalgia lancinante per qualcosa che c’è stato e si è perso da tempo, vedovanze ancora insopportabili, non sostituite da altre forme di affetti, o addirittura morti di genitori ancora insopportabili,a decenni di distanza dall’evento.

La psicoanalisi o la psicoterapia in età avanzata può essere un’esperienza affascinante, sia per il terapeuta che per il paziente, un’esperienza che permette al paziente di ricostruire la vicenda interiore in modo tale che gli ultimi anni della vita riescano a trovare un significato complessivo rispetto all’intera vita vissuta precedentemente.

A 70 anni il complesso edipico si manifesta e si rappresenta con lo stesso vigore e passione che in età più giovane, e complessivamente il funzionamento mentale ed affettivo non appare diverso rispetto alle analisi di persone più giovani.

Anche gli anziani hanno un inconscio, dei conflitti, dei desideri, la coazione a ripetere, i meccanismi di difesa, e il funzionamento di una terapia non è appunto molto differente nei suoi aspetti comuni, di lavoro sul transfert e controtransfert pulsioni e difese e coazioni a ripetere, fusione di Eros e Thanatos, di quanto non accada in età meno avanzata.

Quali sono le motivazioni che portano una persona così anziana a chiedere un’analisi o comunque una terapia, e quali sono le motivazioni per accettare tali pazienti in terapia? Terapie che beninteso devono essere però tarate secondo una scansione temporale differente, sia per quello che riguarda la durata complessiva, che per quello che riguarda il timing del setting, che deve comunque riuscire a rispettare bisogni e necessità di una persona anziana, con tutte le difficoltà che possono insorgere ad una certa età.

Nella mia esperienza, non enorme, ma discreta, mi sembra di potere dire che sicuramente la principale ragione che porta queste persone a chiedere un’analisi o comunque un aiuto terapeutico è la necessità di far i conti, almeno alla fine della loro vita, con quelle vicende che in un modo o nell’altro sono sempre riuscite a rinviare, nella loro soluzione o addirittura nella loro individuazione.

Essere vicini alla fase finale della loro vita le porta, più o meno coscientemente, a desiderare di potere dare un significato complessivo alla loro storia interna affettiva e personale, affrontando appunto quelle difficoltà che hanno speso preferito evitare di rappresentarsi adeguatamente.

Perché tutto questo coraggio così avanti con gli anni? A volte è sentita come una necessità di trovare un senso finale, un significatività a vicende che ormai hanno perso molto del loro carattere pulsionale pressante, o ad aspettative che hanno da tempo esaurito la loro persecutorietà esterna, anche se ancora si manifestano nel mondo interno. Soprattutto, sono le malattie, temute e il più delle volte subite, che portano una nota di urgenza ed intensità nel desiderio di essere aiutati concretamente.

L’ansia di morire con molti “unfinished businesses” che fino ad un certo punto non erano stati un problema li porta ad essere infelici ed insoddisfatti, fino al punto di desiderare quel rapporto terapeutico che o, come spesso accade, il più delle volte, hanno già avuto in età più giovanile, o, altrimenti, hanno desiderato avere ma hanno rimandato in vari momenti della loro vita. La Quinodoz, nel suo lavoro: “Growing old” (Int. J. Psychoanal, 2009 90:773-793) ritiene che sia “difficile rinunciare al nostro posto senza averlo prima trovato, lasciare la vita senza prima sentire che l’abbiamo effettivamente vissuta, chiudere la storia della nostra vita interiore senza averla prima trasformata in una storia intera, che ci appartenga veramente.”

Invecchiare non significa semplicemente lasciare passare gli anni, ma soprattutto dare un certo ordine a tutti gli eventi che si sono fino a quel momento sviluppati. Alcuni per esempio mettono in ordine i loro beni, altri scrivono la loro biografia, da lasciare magari ai nipoti, altri sistemano i loro libri o le loro fotografie o i loro filmati. In tutti c’è il desiderio di sopravvivere in questo modo nella memoria di chi rimane, e in terapia, a me sembra, nella memoria del terapeuta, che diventa così una sorta di esecutore testamentario di tutte quelle passioni e desideri che non sono riusciti a svilupparsi durante la vita. Testimone quindi, come sempre ma anche, in più, vendicatore, infine, dei torti subiti, delle piccole o grandi ingiustizie, dei tradimenti del passato, delle gelosie tra fratelli, degli abbandoni dei genitori e più recenti dei coniugi.

L’amore nell’età avanzata si rappresenta in molti modi. A volte è un desiderio acuto e persistente di ciò che si è perduto, di ciò che non si è potuto sviluppare, per difese e angosce e resistenze verso aspetti pulsionali che sembravano, allora, intollerabili. A volte invece è la rivendicazione di un diritto per molto tempo represso e negato, il diritto di essere riconosciuti nelle proprie possibilità di amare e di esser amati, diritto che è stato soffocato da educazioni repressive, o da considerazioni politiche/sociali/economiche. A volte è la nostalgia lancinante per qualcosa che c’è stato e si è perso da tempo, vedovanze ancora insopportabili, non sostituite da altre forme di affetti, o addirittura morti di genitori ancora insopportabili, a decenni di distanza dall’evento.

Spesso si ha a che fare con memorie represse, aspetti scissi che ritornano a galla, ricordi che la distanza permette di collocare, finalmente, nella loro giusta prospettiva. Spesso la terapia assume la forma dell’indennizzo, del riconoscimento finale di un’identità troppo a lungo soffocata e repressa. E’curioso assistere alla persistenza, a distanza di molti anni delle ferite narcisistiche. Spesso riaffiora la gelosia verso i fratelli, l’invidia feroce; a volte si assiste alla proiezione sui figli, di quei sentimenti che in passato erano stati originati dai genitori o dai fratelli/sorelle. I ricordi che erano stati troppo dolorosi per essere ricordati, riaffiorano a volte in modo totalmente inatteso, sia per il paziente che per l’analista.

Da un punto di vista della tecnica posso dire che l’attenzione al momento presente è, nella terapia degli anziani, particolarmente importante. La ricostruzione storica appare utile solo ed esclusivamente se si riesce a risignificarla nel tempo presente, soprattutto se si riesce a cogliere quei sentimenti, quegli stati d’animo, che sono stati costantemente mortificati, repressi e negati. Diventa centrale, con gli anziani, cogliere il tempo presente, l’attimo, il momento.

Fermare, o cogliere, o definire l’attimo è sempre importante nella terapia analitica. Ma non è forse sempre stato un elemento centrale nella storia della psicoanalisi e nella terapia analitica valutare piuttosto le esperienze del passato e come queste giochino un ruolo fondamentale nel determinare lo sviluppo delle vicende future, e che quindi sono le esperienze passate a dare forma e sostanza al presente, che così è sempre a rischio di diventare prigioniero di una ripetizione senza fine delle vicende traumatiche del passato? La ricostruzione storica delle vicende infantili primitive non è forse centrale nella terapia analitica? Ricordare, ripetere ed elaborare non è forse la trama preferita in un’analisi, quella che più si ripete nelle sue pur infinite variazioni personali? Forse che con gli anziani si lascia perdere, si trascura questo elemento centrale?

Il tempo presente, l’adesso, l’ora, è il momento in cui viviamo la nostra vita.

Peter Fonagy, in “Memory and Therapeutic action” (1999) sottolinea come “L’unico modo per sapere cosa succede nella mente dei nostri pazienti è stare attenti a come essi sono adesso con noi nel transfert (ed io aggiungo, nel momento presente.) L’azione terapeutica della psicoanalisi consiste soprattutto nell’elaborazione cosciente delle rappresentazioni di adesso delle relazioni d’oggetto di allora, principalmente attraverso l’attenzione al transfert da parte dell’analista.”

L’esperienze passate raccontate dal paziente acquistano significato quindi solo alla luce del presente, ovvero quando vengono, nel tempo presente, nel qui ed ora della seduta analitica, rievocate e ripetute. E in analisi, tra paziente ed analista c’è il problema della ricerca della parola più adatta ad esprimere esattamente lo stato d’animo, i timori, le angosce, le disperazioni, ma anche le speranze, i desideri, gli entusiasmi di un tempo passato, che attraverso il racconto, e la rievocazione ritornano a galla, e ritornano vivi come se stessero riaccadendo in quel momento.

Non la storia, non la trama narrativa, ma il vissuto, l’esperienza emotiva che le aveva accompagnate. E se, come spesso accade, proprio questi vissuti, queste esperienze emotive sono state represse, rimosse, negate, isolate, in una sola parola, se sono state erette barriere difensive verso tali sentimenti e vissuti, questi anche se ritornano nell’analisi, nel tempo presente, nell’attimo, nell’hic et nunc, ma quell’attimo viene misconosciuto, o viene definito in modo sbagliato, non si coglie esattamente la vicenda emotiva che lo accompagna, e si perde l’occasione, per l’analista, di aiutare il paziente a trovare un senso, nell’apres coup, nella rievocazione a posteriori dei conflitti e delle angosce che avevano bloccato il suo sviluppo e la sua capacità di vivere il tempo nel presente. L’analista dà forma temporale all’esperienza grazie alla capacità di modulare, attraverso un ascolto attento ed empatico le vicende del passato restituendo loro un senso nel presente.

I pazienti anziani hanno bisogno, forse più di altri, che l’analista trovi interessanti le loro vicende, in modo da riuscire loro stessi a darvi importanza. Tra tutte, sono le vicende amorose del passato, e le speranze amorose del presente, ad avere maggiore urgenza di accoglimento e riconoscimento.

E’ attraverso il riconoscimento di avere amato, e di essere stati amati, che le persone anziane riescono a pacificarsi con l’idea di una loro morte più o meno prossima. L’amore, che si riattiva nell’esperienza del transfert, come possibilità di essere amati dall’analista, e di amarlo, come è stato in passato, riconcilia con la vita, ed in ultima analisi con la morte .

Nella Passione secondo Giovanni di Bach l’Evangelista dice. “E quando ebbe affidato ciò che più amava, sua madre, a Giovanni, si preparò sereno ad andare verso la morte.”

E insieme a Giovanni, noi possiamo dire: “E quando ebbe affidato i suoi ricordi più preziosi all’analista, si preparò più sereno ad andare verso la morte”.

* Dott.ssa Simonetta Diena- Specialista in Psichiatria – Membro Ordinario della Società Italiana di Psicoanalisi- Milano

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