Welfare invisibile: caregiver, un ruolo da valorizzare

Pubblicato il 13 Ottobre 2011 in da redazione grey-panthers

Nel nostro Paese, il “welfare invisibile”, cioè l’assistenza sociale non strutturata e quindi  informale, coinvolge centinaia di migliaia di persone: familiari, badanti, operatori di istituzioni no profit e di cooperative sociali. Un impegno complessivo di milioni di ore dedicate all’assistenza degli anziani e delle persone non autosufficienti di ogni età. Attualmente non esistono dati che offrano un quadro preciso dei caregiver informali, ma si stima che siano oltre 6 milioni di Italiani, quasi 1 su 10. Le medie assegnano una persona da assistere a ciascun caregiver, ma non è infrequente osservare persone che si occupano contemporaneamente della gestione e supervisione di più persone non-autosufficienti (genitori, suoceri, zii).

“A fronte di uno dei cambiamenti più importanti della nostra epoca, quale l’aumento dell’aspettativa di vita e la conseguente cronicizzazione delle principali patologie” – spiega il Prof. Trabucchi, Direttore scientifico Gruppo Ricerca Geriatrica di Brescia – “più nessuno, istituzioni, medici o privati cittadini, può evitare di confrontarsi con una componente così fondamentale dell’organizzazione sociale, quale la rete informale dei caregiver. Un mondo spesso ancora nascosto e scarsamente riconosciuto, fatto di persone che dedicano il proprio tempo all’assistenza di chi è anziano e non più autosufficiente presso il proprio domicilio, trovandosi spesso a gestire anche il quadro clinico-assistenziale relativo alla polipatologia”.

 Il caregiving rappresenta, quindi, una funzione che si avvicina a quella di un servizio di valenza istituzionale, assieme a quelle più strettamente cliniche, delle quali peraltro rappresenta il braccio operativo. Nessuna prescrizione farmacologica, riabilitativa che incide sul piano degli stili di vita è destinata, infatti, al benché minimo successo se non è sostenuta dal sistema di caregiving.

In un Paese come l’Italia, che ha una quota di anziani destinata a salire nel 2016 a nove milioni e mezzo di ultrasettantenni (pari cioè a tutti gli abitanti della Lombardia), i caregiver familiari, soprattutto le donne (madri, mogli, nuore e figlie), sono i soggetti che da sempre, all’interno del nucleo familiare, si sono fatte carico delle esigenze dei familiari più deboli.

Prevale ancora l’approccio culturale familista, per cui i figli che lavorano dovrebbero assistere i propri genitori anziani in caso di bisogno. Questa attitudine a considerare l’assistenza all’anziano come un “affare di famiglia”, assieme all’avversione delle famiglie italiane verso il ricovero in strutture residenziali, comincia a porre, anche a seguito dell’aumento del tasso di occupazione femminile, crescenti problemi di conciliazione tra lavoro remunerato e compiti informali di assistenza, a cui va ad aggiungersi anche la carenza di servizi domiciliari adeguati.

A fronte di questo scenario sociale, ben si comprende come, per fronteggiare i bisogni di cura degli anziani non autosufficienti, un numero crescente di famiglie italiane si rivolga al mercato privato, assumendo direttamente assistenti familiari straniere e sostenendone la spesa: sono le badanti, ormai un elemento strutturale dell’assistenza agli anziani, stimate in 774.000 di cui 700.000 straniere. Il lavoro privato di assistenza da parte degli immigrati è divenuto in Italia una soluzione sistematica per affrontare esigenze assistenziali di lungo periodo, tanto più se i tradizionali servizi domiciliari non sono in grado di soddisfarle in misura adeguata. Vista la consistenza del fenomeno, diviene quindi importante comprendere quale impatto esso abbia sul ruolo svolto dalla famiglia e dai servizi formali quali Assistenza Domiciliare Integrata e Servizio di Assistenza Domiciliare (l’Assistenza Domiciliare Integrata –ADI- consiste nell’integrazione di interventi di natura sanitaria e di natura sociale, da erogare in modo coordinato e unitario secondo il piano assistenziale individualizzato. È di competenza complessiva delle Asl, dei Comuni per le prestazioni sociali. Mentre il Servizio di Assistenza Domiciliare –SAD- fornisce all’anziano interventi di sostegno nelle attività della vita quotidiana e nella cura della propria persona).

In questo scenario, la formazione delle assistenti familiari è uno degli interventi più ricorrenti nella regolazione del mercato privato di cura. I percorsi formativi per l’assistente familiare, definiti a livello regionale, possono ricoprire due funzioni: quella di garantire un livello di competenza di base e di offrire un percorso di crescita professionale.

Presentare un approfondimento sul tema dell’assistenza informale in Italia, il cosiddetto “welfare invisibile”, evidenziare le possibili soluzioni e risposte per far fronte ai diversi bisogni dei protagonisti di questo sistema sono i principali obiettivi del Dossier “Io mi prendo cura. Caregiver informali in Italia” che il Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia ha presentato di recente con il contributo di TENA e alla presenza dei rappresentanti di alcune tra le ‘voci’ più rilevanti del settore, la Cooperativa Sociale “Anziani e non solo” e la “Fondazione Manuli”.

“Quasi sempre i caregiver informali, sia che si tratti di familiare sia delle badanti, arrivano all’attività di cura del tutto impreparati e privi delle conoscenze necessarie a prestare un’assistenza adeguata ai bisogni dell’anziano” spiega Loredana Ligabue, Direttore della Cop. Soc. Anziani e Non Solo, “Ciò espone a forti rischi derivanti da impreparazione, non consapevolezza del ruolo. Sovente l’impegno connesso all’attività di cura impedisce la frequenza a corsi organizzati con precise scadenze temporali. Per fare fronte a tali problematiche, e facilitare l’accesso alla formazione, Anziani e Non solo ha messo a punto un sistema formativo accessibile anche on line, che ha consentito a quasi duemila badanti di formarsi come assistenti familiari e a oltre 150 familiari di formarsi al ruolo di caregiver, alla gestione della risorsa assistente familiare, alla relazione con i servizi territoriali nonché a fare fronte a necessità di supporto nelle funzioni di vita quotidiana o di primo soccorso del proprio familiare. La formazione dei caregiver informali è condizione base per la progettazione di una nuova domiciliarità in grado di offrire una qualità di vita connessa a qualità assistenziale”  conclude la dottoressa Ligabue.

Lo scenario del caregiving italiano è oggi caratterizzato da una serie di movimenti che mettono in luce la sostanziale fragilità del comparto, nel quale agiscono realtà diverse, molto spesso prive di protezione ed esterne a qualsiasi organizzazione. Di conseguenza i singoli attori sono esposti a mille difficoltà, sul piano psicologico (la solitudine, l’incertezza sul futuro, il contatto con una sofferenza prolungata e spesso molto grave), sul piano tecnico (la mancanza di informazioni sulle principali metodologie di nursing geriatrico e non, a fronte di condizioni che richiederebbero interventi di una certa specificità), sul piano normativo (modalità di assunzione, tempi di lavoro, assicurazioni) e sul piano economico.

Al contrario, nello scenario della nostra società a oggi non si identificano interventi che si facciano carico in modo coordinato di questi complessi bisogni.

Non si può, infine, trascurare di riconoscere l’obbligo morale di una società civile verso persone che, per necessità e/o per scelta personale, dedicano la vita agli altri, risolvendo problemi individuali e collettivi che non affrontati avrebbero un impatto ancora più forte sulla collettività.

La condizione del caregiver e lo scenario nel quale opera rappresentano un punto di partenza sul quale costruire processi sociali che favoriscano in futuro lo svolgimento di un servizio sempre più importante. La crisi progressiva della famiglia, che si incrocia con le attuali difficoltà economiche dei sistemi di welfare, richiede di porre attenzione particolare a questo ambito, poiché solo provvedimenti seri ne potranno preservare il ruolo tanto rilevante, allo stesso tempo rispettando al massimo la libertà e la dignità dei caregiver informali, siano essi appartenenti alla famiglia o persone dipendenti.

Sulla base di queste considerazioni è necessario portare avanti a livello nazionale una grande campagna al fine di ottenere il riconoscimento sul piano culturale e sociale ed economico dell’importanza del caregiving; il riconoscimento pieno da parte del Governo, delle Regioni e degli Enti Locali della famiglia come realtà di servizio alle persone non autosufficienti; la definizione dei compiti e dei doveri dei caregiver; il diritto e dovere ad una formazione adeguata sul piano tecnico e della relazione; la strutturazione da parte delle Aziende sanitarie di piani assistenziali che prevedano l’inserimento organico dei caregiver. Attraverso il Piano assistenziale si devono definire i compiti del caregiver, diversificandone l’impegno e di conseguenza gli interventi rispetto alle esigenze della persona non autosufficiente.

In farmacia e sul web una comunicazione che aiuta:

In alcune framacie si può ritirare l’opuscolo  informativo  ‘Un tempo per prendersi cura degli altri, un tempo per prendersi cura di se stessi’ realizzato da TENA sui vari aspetti pratici che riguardano non solo l’assistenza quotidiana al proprio caro, ma anche la gestione del  cambiamento  nella vita di chi se ne occupa. Tanti consigli utili per prendersi cura dei propri cari, da come migliorare la loro alimentazione, come affrontare i problemi del sonno, gli sbalzi di umore, alle soluzioni per migliorare la qualità della vita in coloro che soffrono di incontinenza, conciliando nello stesso tempo, e per quanto possibile, le necessità personali di chi li assiste. Analoghe informazioni anche su www.tena.it nella sezione Prendersi cura di una persona cara.