L’Italia e il terrorismo in casa: che fare? La situazione secondo il rapporto Ispi

Pubblicato il 4 Marzo 2015 in , da Vitalba Paesano

Gli attentati che hanno insanguinato Parigi nei primi giorni di gennaio ci hanno drammaticamente ricordato che la minaccia del terrorismo di matrice islamista è quanto mai presente anche in Europa. Negli ultimi anni gran parte dell’opinione pubblica si era cullata nella falsa certezza che la minaccia jihadista fosse in qualche modo evaporata. La morte di Osama bin Laden, le illusorie promesse delle cosiddette “primavere arabe”, e la mancanza di attentati significativi in Occidente avevano portato molti a ritenere che la bushiana “Guerra al Terrorismo”, con le sue tensioni e pericolose avventure militaristiche, fosse ormai conclusa.

In realtà per gli addetti ai lavori l’attenzione e la preoccupazione per il fenomeno sono rimaste pressoché invariate dall’11 settembre 2001. E negli ultimi mesi era diventato palese che fosse in atto una drammatica recrudescenza del fenomeno. La sorprendente avanzata militare dell’Isis in Iraq, culminata con la dichiarazione del califfato nelle terre controllate dalla formazione dell’autoproclamatosi califfo al-Baghdadi, ha scioccato il mondo. Nonostante l’opinione pubblica occidentale si fosse sforzata per anni d’ignorare gli orrori compiuti dall’Isis e da altre formazioni jihadiste (e, va detto, dal regime di Bashar al-Assad) coinvolte nel conflitto siriano, tale colpevole apatia è stata scossa dai macabri video di decapitazioni di cittadini occidentali che l’Isis ha cominciato a diffondere durante la scorsa estate. E negli ultimi mesi notizie di attacchi terroristi e, in certi casi, vere e proprie carneficine operate da vari gruppi della galassia jihadista sono divenuti una quotidiana realtà. Dai rapimenti e uccisioni di centinaia di innocenti da parte di Boko Haram in Nigeria all’espansione e, in certi casi, controllo del territorio di gruppi terroristi legati all’Isis o ad al-Qaida in aree quali il Sahara, l’ormai fuori controllo Libia o il Sinai, da massacri di bambini in Pakistan ad attacchi contro occidentali nei paesi del Golfo, non passa giorno senza che ci sia una riprova della crescente aggressività̀ del movimento jihadista globale.

Come detto, gli attentati di Parigi hanno  haD’altronde l’allarme era risuonato chiaro e forte negli ultimi mesi. Attentati di piccole dimensioni, spesso perpetrati da soggetti isolati e privi di legami operativi con gruppi jihadisti (i cosiddetti lone wolves o lone actors), si erano visti in Canada (uccisione di un soldato canadese in Québec e attacco contro la zona del Parlamento a Ottawa), negli Stati Uniti (attacco a poliziotti a New York) e in Australia (assalto a una cioccolateria a Sydney).

In Europa i timori più forti sono per i cosiddetti foreign fighters, le schiere (secondo recenti stime Europol, circa 5000) di aspiranti jihadisti che si sono uniti all’Isis e altre formazioni jihadiste operanti tra Siria e Iraq. Sebbene gli attacchi di Parigi non paiono avere legami con questa dinamica, da mesi le autorità europee esprimono fortissime preoccupazioni per la possibilità̀ che foreign fighters di ritorno dal teatro sirio-iracheno possano pianificare attentati in un contesto europeo utilizzando tattiche e conoscenze apprese sul campo di battaglia mediorientale. Un primo assaggio di questa dinamica si è visto lo scorso maggio a Bruxelles, quando un jihadista francese di ritorno dalla Siria ha ucciso quattro persone all’interno del museo ebraico della capitale belga. Altri attacchi sono stati sventati in Gran Bretagna, Francia, Svizzera e Svezia.

In diversi tra questi paesi occidentali, dalla Gran Bretagna, alla Francia, al Canada, si sono discusse nuove norme per contrastare il fenomeno. A febbraio anche il governo italiano, per iniziativa del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha approvato un decreto legge. Le nuove norme prevedono alcune modifiche al Codice penale introducendo una pena da tre a sei anni di reclusio- ne per chi va a combattere il jihad nei teatri di guerra o supporta i combattenti organizzando, finanziando e facendo propaganda, anche via web. Misure più severe, fino a 10 anni di carcere, per i lone actors, che si auto-addestrano all’uso delle armi. Sarà inoltre istituita una black list dei siti internet che sostengono il terrorismo e sarà possibile oscurarli su disposizione dell’autorità giudiziaria. Tramontata l’idea di una Procura nazionale antiterrorismo è stato istituito un coordinamento centrale presso la Procura nazionale antimafia per le inchieste che riguardano il terrorismo. Inoltre, il decreto rafforza l’intelligence, favorendo le operazioni sotto copertura e allargando le garanzie funzionali per gli infiltrati.

Questo lo scenario che fa da sfondo al rapporto Ispi qui allegato. Una lettura attuale e importante che siamo convinti non solo gradirete, ma sulla quale vorrete aprire il dibattito