Avventure di viaggio: “Incontri in Angola” di Luciana Santioli

Pubblicato il 18 Settembre 2013 in , da redazione grey-panthers

fatta da pastore ionaMi sono avvicinata al mio viaggio-esplorazione ben sapendo che l’Angola è  una meta poco battuta dal turismo, ma molto interessante dal punto di vista paesaggistico, perciò sono stata attratta dall’idea di contattare una terra “vera”, una parte dell’ “Africa nera” che tanto mi è cara anche per le mie origini somale.

Ora, al ritorno dal viaggio, porto nel mio bagaglio molte emozioni forti: l’impotenza rispetto a condizioni di vita tanto disagiate, la forza dirompente delle contraddizioni esistenti, ma tra tutto emerge la gioia degli incontri fatti, che mi hanno dato calore, permettendomi di calarmi maggiormente in una realtà cosi complessa e difficile.

VladimirVladimir alle cascate Binga. Arriviamo alle cascate Binga in orario per il nostro picnic di ferragosto, il posto è deserto, solo un guardiano all’ingresso. Mentre siamo presi ad ammirare il paesaggio, ci si affianca Vladimir (nella foto), un ragazzino angolano di dodici anni. Condividiamo con lui il cibo che stiamo mangiando, cercando di scambiare qualche parola. Sono soprattutto i suoi occhi che parlano: ci osservano profondi e, con la sua espressione dolce, con la sua presenza discreta, senza chiedere nulla, ben presto Vladimir diviene parte del nostro gruppo, condividendo emozioni laddove la difficoltà del linguaggio ostacola la comunicazione. Ci guarda con attenzione mentre scattiamo foto alle cascate, è interessato alla preparazione dell’autoscatto per il gruppo e accetta, con un sorriso un po’ stupito,  la mia macchina fotografica  quando gli chiedo di farci lui una foto. Infine ci riaccompagna alla macchina. Quest’incontro è durato meno di un’ora, ma riparto in compagnia del suo sorriso che non dimenticherò.

I pastori del parco Iona. È mattina quando ci inoltriamo nel parco Iona, la strada è sterrata, ma in buone condizioni. Il paesaggio si presenta desertico, sassoso con contrafforti di pietra dai colori dorati e dalla forma molto variegata, costituiti da materiale sabbioso, levigato dal tempo e dal vento. La strada  corre dritta tra le pietre e le numerose  Welwitschia mirabilis, piante millenarie tipiche di questa zona.  Gli unici rari incontri, in questo percorso, sono piccoli gruppi di pastori. Incontriamo un primo gruppo per strada:  camminano, ai piedi hanno sandali ricavati dai copertoni delle macchine, ci chiedono dell’acqua. Quando li rivediamo al ritorno, dopo diverse ore, li ritroviamo ancora sulla stessa strada, ci chiedono ancora acqua e ci colpisce la voracità con cui la bevono.

Arriviamo poi a un piccolo assembramento di pastori semi-nomadi: i ragazzini giocano in gruppo con un bastone, ragazzi più grandi sono vicino all’abbeveratoio accanto ad alcune mucche scarne, una donna a seno nudo, con accanto un bambino, è un po’ in disparte, poi si allontana, elegante e flessuosa, con un recipiente d’acqua sulla testa.

Ci avviciniamo, rispondono un po’ stupiti al nostro saluto e proviamo a instaurare una semplice conversazione fatta più di gesti che di parole. Dal loro comportamento, dall’espressione dei loro volti, capiamo che non è frequente che qui arrivino dei bianchi, ma sono molto cordiali, incuriositi,  accettano di farsi fotografare e “fare foto” diventa un gioco condiviso nel momento in cui  la macchina fotografica passa anche nelle loro mani.

Incontriamo altri due giovani lungo la strada accanto a un pozzo, probabilmente sono di guardia, un pannello solare serve ad alimentare la pompa, anche loro  rispondono, cordiali, al nostro saluto, ci sorridono e ci chiedono del cibo.

mercatookokIndimenticabile è stato anche l’incontro con le donne nei vari mercati sparsi per il paese. Mercati caotici, coloratissimi, dove le donne ti offrono banane, mango, papaia, cipolle, patate e peperoni. Qualcuna ha un pollo ancora con le piume che tiene tra le mani, qualche altra un vassoio sopra la testa, con polli già cotti. Le più giovani hanno tutte un figlio legato con disinvoltura sulla schiena. Inizialmente un po’ schive, titubanti nel farsi fotografare, basbimba al mercatookokta qualche sorriso e qualche parola, e mi porgono i loro figli orgogliose.  Una  di loro si fa seguire sul retro del mercato, qui la figlia  è appoggiata su un cumulo di mais,  e lei mi chiede di farle delle foto.

Accorrono altre donne, ognuna col figlio, sono felici di rivedere le immagini dei loro bambini nel display della macchina fotografica! Mi colpisce una donna che a gesti mi fa capire che gradirebbe una foto da sola: una femminilità timidamente reclamata, oltre quella dell’essere madre!

 

 

tombua 2 okI ragazzini di Tombua. Raggiungiamo Tombua, un villaggio fondato dai pescatori dell’Algarve, di domenica mattina:  strade di terra, polvere ovunque e un fetore diffuso,  ma c’è fervore tra la gente che si sposta in gruppi per le strade.  Davanti alla chiesa, nella piazza, numerosi sono i bambini e gli adolescenti. Vengono attratti dalla macchina fotografica e subisco letteralmente il loro assalto: “amiga! amiga!” cercano di attirare la mia attenzione, si intrufolano nello spazio che corrisponde all’inquadratura delle mie foto, mi portano i più piccoli per farli fotografare. Sono curiosi e felici di vedere le loro immagini sul display:  quanto sarebbe stato bello essere in possesso di unatpmbua 3 polaroid o di un mezzo per stampare rapidamente delle foto così da lasciare loro un ricordo!

Più in là, su una spiaggia, altri ragazzini giocano: uno spinge con abilità un copertone di gomma, altri parlottano tra loro, mi vedono, mi chiamano, chiedono di essere fotografati e, ancora una volta, la macchina fotografica diventa l’occasione per interagire quasi una forma di gioco. È come se, per loro, entrare nell’inquadratura corrisponda alla possibilità di entrare, anche solo virtualmente, in un altro mondo, meno duro!

spiaggia 2Un altro incontro è stato quello con un gruppo di ragazzi che, felici, si rotolano da una duna di sabbia, verso il mare, offrendomi immagini molto gioiose e poetiche. Quando si accorgono della mia presenza, interrompono il loro rotolarsi e uno di loro mostra orgoglioso ciò che ha pescato, altri si intrattengono con un pallone, che da queste parti non manca mai nei gruppi di ragazzi. Non ci sono parole in quest’incontro, ma un’intesa fatta di gesti ed emozioni condivise. Con un ragazzino inizia un gioco che dura alcuni minuti: io scatto delle foto, lui si nasconde e fa capolino da dietro al pallone: sorridiamo! Dopo le foto scendo verso la spiaggia per bagnarmi i piedi nell’oceano e ben presto da dietro lo scoglio arrivano in gruppo  schiamazzando su barchette improvvisate con  buste di plastica e polistirolo: è il loro modo di festeggiarmi!  Grazie!

namibeAi giardini di Namide, invece, mi imbatto in un gruppetto di adolescenti che stanno facendosi foto col cellulare, sono curati nel vestire e mi colpiscono alcuni particolari indossati da uno di loro: il cappellino peruviano, la sciarpa  con su scritto “Canada”, quasi a rinforzare un’appartenenza al mondo intero. 

namibe 1Anche con loro il fare foto diventa un gioco, ma le loro esperienze sono ben diverse dai bambini incontrati sulla spiaggia o nel parco Iona: posseggono il cellulare e conoscono  i network, si atteggiano in pose da  “divi”  e con le mani ripetono i gesti di un famoso DJ. Ci lasciamo con un appuntamento su Facebook.

La semplicità dei giochi fatti con nulla o con oggetti riciclati, che ci riportano a un’epoca ormai per noi molto lontana, coesistono con i cellulari, con il potere dei network: anche da queste contraddizioni emergono i forti contrasti che caratterizzano questa terra, estremi nelle condizioni di vita: il contrasto dei colori forti degli abiti, il contrasto che sprigiona l’asprezza di alcuni paesaggi incontaminati, nelle lunghe spiagge che vengono battute dall’oceano, negli infiniti spazi naturali, interrotti da cumuli di immondizie,  da agglomerati di  capanne fatiscenti, dalla vivacità caotica dei mercati.

Un recente articolo pubblicato su Il sole 24 ore, riporta che l’Angola  è il paese più felice dell’Africa: secondo il World happiness report del 2013, uno studio voluto dalle Nazioni Unite per stabilire i livelli di felicità nel mondo, ai primi posti della classifica mondiale ci sono paesi del Nord Europa, ma nel continente africano è l’Angola il Paese che ha livelli di felicità più alti, al 61esimo posto.  Ma che cos’è la felicità?  E quanto ha a che fare con un atteggiamento ottimistico che riesce a intravedere possibilità per il futuro, piuttosto che con condizioni di vita e oggetti posseduti?

          L’Angola, quindi, è un paese pieno di contraddizioni, che suscita nell’immaginario collettivo molte paure: pericoli di mine inesplose per la guerra civile che lo ha devastato e rischi sanitari. Oggi, invece, chi arriva in Angola, si confronta con  un paese pacifico, con una popolazione ospitale e cordiale, che ben accetta il confronto con il turista, a cui non è certo abituata. I segnali di devastazione della guerra sono ancora molto presenti e, nell’interno, verso i confini con il Congo e  lo Zambia,  ci sono molti territori dove è ancora elevato  il pericolo di mine inesplose, ma è un paese  in grande crescita[1] pur con grandi problemi: la  problematicità delle infrastrutture, le precarie condizioni igienico sanitarie e la piaga dell’analfabetismo: è curioso notare che nelle facciate degli spazi di vendita piuttosto che scritte ci sono disegni di ciò che viene offerto.

         Nuova immagine Accanto al senso d’impotenza, al mio ritorno, porto con me l’emozione di questi incontri, e i sorrisi della gente, con i loro sguardi profondi, diventano una promessa-speranza per un futuro migliore, per un avvenire in cui la crescita e la costruzione prendano il posto di tanta distruzione avvenuta, per un futuro in cui gli sforzi siano mirati a integrare le tradizioni con il brusco avvento del “moderno” e a superare i grandi problemi con cui il popolo angolano si confronta quotidianamente.

 

 

Questo viaggio è stato organizzato da Accademia geografica mondiale www.accademiageograficamondiale.com



[1] Il tasso di povertà in Angola è sceso dal 63% del 2002 al 38% del 2009 (Wikipedia), ma l’aspettativa di vita è sempre molto bassa (i dati riportati dall’ambasciata riferiscono 41 anni per gli uomini e 49 per le donne, altre fonti riportano che questo tasso sta fortunatamente crescendo).

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